VOTO E
SOVRANITÀ
di Fulvio Papi
Nella foto il sociologo Franco Rositi |
Alcuni anni fa il prof. Franco Rositi,
ottimo sociologo che meritava una maggiore attenzione, fece questa
osservazione: le motivazioni che conducono i votanti a una scelta elettorale
sono sempre molto ampie e talora imprevedibili: reazioni emotive, pigrizie
psicologiche, conformismo di gruppo, dipendenze familiari, dispetti,
risentimenti, sfoghi di rabbia, decisioni segrete e inconfessabili, riflessioni
politiche. Sono poi i commentatori che, di fronte ai dati quantitativi dei voti
danno luogo a processi di razionalizzazione secondo quei criteri che sono
emergenti dalla loro professione e che confermano che un sistema democratico è
un sistema di convenzioni legittimate, le nostre disperse soggettività
diventano figure idonee alla scena politica. D’altra parte anche una qualsiasi
proposizione scientifica, a parte gli effetti del tutto diversi, richiede una
trasformazione del genere. In più ogni votazione è sotto la protezione
dell’antica concezione della modernità secondo cui è in gioco la “sovranità
della volontà popolare”. Il sostantivo “sovranità” dovrebbe da solo suggerire
prospettive storiche. Tuttavia qualche ricordo in più che spieghi meglio il
significato della proposizione non è futile. La volontà popolare può nascere come
bandiera dei ceti borghesi contro i privilegi regali, può essere la bandiera
che a Valmy salvò la rivoluzione, può essere la battaglia di metà Ottocento per
le costituzioni, può essere una civile competizione che evita il conflitto, ma
anche l’argomento che giustifica ogni legittimazione del potere: Hitler vinse
le elezioni con il 43 per cento. E paradossalmente potrebbe capitare che alle
elezioni comunali con una percentuale del 20%, un signore con meno del 7 o 8%
(teniamo conto dei ballottaggi) può diventare il primo cittadino, essendo
magari, solo un capobanda ben organizzato. Un principio etico non è uguale a un
assioma matematico, e quindi può essere discusso nei suoi ipotetici effetti.
Per esempio sono convinto che gli affezionati al potere (e ai suoi vantaggi)
sono sinceramente convinti che il 32 per cento dei votanti per il referendum
sulle famose piattaforme marine, seguì la loro vittoria poiché hanno
consigliato l’astensione. Dal punto di vista che desiderano adottare hanno
ragione. Ma gli sarà mai capitato di leggere qualche storico greco secondo cui
“oi polloi” (i più) non hanno affatto
sempre ragione? Almeno come sospetto è una questione di stile tenerlo presente,
infatti è molto probabile che i perdenti siano giovani con gli occhi aperti sul
mondo, persone che hanno una cultura ecologica, sociologica, ambientale,
economica (a quali energie si rivolgono oggi i capitalisti?). Sono persone che
si domandano quali alleanze vi sono tra petrolieri e costruttori di auto che da
tempo potrebbero funzionare con altri sistemi energetici. È un peccato che chi
governa debba farlo contro questa parte più preparata sui temi contemporanei, e
più disponibile alla democrazia. Non desidero affatto fare calcoli, previsioni
e ipotesi che vanno lasciati ai profeti televisivi, ma facendo qualche calcolo
primordiale tra le astensioni e i voti espressi, fossi al posto di chi comanda
(un tono più signorile e problematico non farebbe male) avrei qualche
inquietudine. Magari non solo per i numeri, poiché anche i liceali sanno che
Tocqueville temeva la dittatura della maggioranza, e Stuart Mill temeva per la
libertà personale, nell’Inghilterra conformista, puritana e coloniale. Sono del
tutto disposto a pensare che la risposta dei vincitori non sia “io me ne
infischio perché sono la provvidenza”. (Per carità leggere subito i Vangeli). E
allora?