LA GENESI DELL’ANTIPOLITICA
di
Franco Astengo
Napolitano
Edito
in questi giorni dal "Corriere della Sera" il volume Giorgio
Napolitano, il presidente venuto da lontano (prescindendo dalla rima
che si può pensare involontaria) ospita, tra gli altri, un saggio di Enrico
Polito “La sfida dell'antipolitica”. Un saggio che merita un appunto di
attenzione ben oltre la richiamata biografia dell'appena scomparso presidente
emerito della Repubblica Italiana. Polito ricorda, infatti, quella che
definisce "battaglia molto delicata all'interno del suo partito"
condotta da Napolitano, in quel momento presidente del gruppo parlamentare del
PCI alla Camera dei Deputati, al riguardo dell'intervista rilasciata - nel 1981
- da Enrico Berlinguer ad Eugenio Scalfari sulla "questione morale". In
quell'intervista Berlinguer compì un deciso passo in avanti nell'elaborazione
della strategia dell'alternativa, adottata dopo aver abbandonato quella del
"compromesso storico" alla vigilia delle elezioni anticipate del
1979, sostenendo che : "i partiti erano ormai ridotti a macchine di
potere e clientela con l'eccezione del PCI, convinzione sulla quale fondava
un'orgogliosa rivendicazione della "diversità comunista".
Polito
proseguendo nel suo saggio sostiene che Napolitano fu decisamente contrario a
quella impostazione: "non perché non vedesse gli elementi che del resto
erano sotto gli occhi di tutti, di vera e propria degenerazione del sistema dei
partiti, che stavano cambiando la natura di forze storiche della democrazia
italiana come il PSI e la DC, e che non lasciavano immuni neanche ambienti
della stessa area migliorista del PCI".
Il
futuro Presidente della Repubblica- secondo Polito - temeva a quel punto che un
giudizio liquidatorio sui partiti si potesse trasformare in un rigetto delle
istituzioni della democrazia parlamentare, piantando in questo modo i primi
semi di quell'antipolitica che mai avremmo allora potuto immaginare vincente
quarant'anni dopo. "Eravamo sbigottiti - ricorda Polito citando ancora
direttamente Napolitano - perché in quella clamorosa esternazione di Berlinguer
coglievamo un'esasperazione pericolosa come non mai, una sorta di rinuncia a
fare politica visto che non riconoscevamo più alcun interlocutore valido e
negavamo che gli altri partiti, ridotti a macchine di potere e di clientela,
esprimessero posizioni e programmi con cui potessimo e dovessimo confrontarci".
A quel punto Polito aggiunge: "come si vede il virus dell'antipolitica
ha radici antiche e progenitori insospettabili".
In
seguito nel saggio citato si ricorda anche il famoso articolo di Napolitano
uscito sull'Unità (di cui Polito era redattore) il 21 agosto di quello stesso
1981 in ricordo della scomparsa di Palmiro Togliatti. Quel dibattito andrebbe
però inquadrato meglio nel momento specifico nel quale fu pubblicata
l'intervista di Berlinguer. 1981 (pochi mesi
dopo la strage alla stazione di Bologna): la lista degli appartenenti alla P2
fu scoperta il 17 marzo 1981, nella fabbrica “La Giole”, di proprietà di Licio
Gelli, a Castiglion Fibocchi presso Arezzo, durante una perquisizione
ordinata dai magistrati Colombo e Turone, nel corso delle indagini sul
presunto rapimento di Michele Sindona.
Il “Piano di rinascita democratica”
della loggia massonica Propaganda 2 (P2), scritto probabilmente nel 1976 dal
maestro venerabile Licio Gelli insieme ad alcuni “consulenti” esterni ha
rappresentato il vero punto “politico” al riguardo degli obiettivi della
Loggia. Il testo del piano fu sequestrato nel 1982 all’aeroporto di
Fiumicino nel doppiofondo della valigia di Maria Grazia Gelli, la figlia, che
rientrava in Italia da Nizza.
“Qual era in definitiva l’obiettivo della P2: scomporre e ricomporre in una sintesi più avanzata, di vera e
propria “rottura” nel rapporto tra società e politica per ricomporlo in una sintesi autoritaria; questo era il senso del Documento
sulla “Rinascita Nazionale”.
Ingrao
La difficoltà più grande che si è
incontrata nel cercare di produrre un progetto politico di alternativa
all’interno della vicenda politica italiana, nel corso dei decenni che ci
troviamo immediatamente alle spalle a partire almeno dagli anni’70 del XX
secolo, ha riguardato l’impossibilità di riconoscere quella che era la
“contraddizione di fondo”: il cosiddetto “oggetto del contendere”.
Si trattava e si tratta della
“questione democratica”, o meglio ancora della “questione della qualità della
democrazia”, posta attorno al nodo dell’attuazione o dell’arretramento dei
principi contenuti nel nesso implicito che lega la prima e la seconda parte della
Costituzione repubblicana.
Sull’ “arretramento costituzionale”
puntava il documento di Gelli e molti passaggi, in verità, sono stati attuati
nel corso degli anni.
Il tema “dell’attuazione” della Costituzione
era stato affrontato, fino a quel momento, principalmente dal Centro di Riforma
dello Stato, presieduto da Pietro Ingrao. Erano stati prodotti
materiali di riflessione molto importanti, fino a elaborare un progetto
sufficientemente compiuto di riforma dell’architettura dello Stato che non
divenne però mai oggetto di confronto politico concreto, restando il PCI fermo
a una rigida suddivisione nel rapporto tra struttura e sovrastruttura e
delegando l’agire sul terreno della politica sempre e comunque, all’impronta
della “doppiezza” togliattiana.
L'intervista di Berlinguer, oggetto
delle critiche di Napolitano, aveva rappresentato un tentativo di rottura di
quello schema ma non si riuscì a tramutarne i contenuti in linea politica
coerente.
D'Alema
Emerse poi la linea dettata da
Massimo D’Alema “del paese normale”, ennesimo tentativo di legittimazione
“nazionale” del partito nato nel 1921 che, pure, aveva cambiato nome, simbolo,
pelle. Un’analisi sviluppata in ritardo, quella del “paese normale”,
perché nel frattempo, ed è questo il punto che intendevo toccare, era sorta
un’altra opzione - ben più importante e pericolosa di quella
dell’interclassismo nazional-popolare della DC (nella quale albergavano,
comunque, spunti autoritari da Tambroni al “gaullismo” di Fanfani).
Era sorta,infatti, un’opzione
dichiaratamente di destra, insieme destrutturante e autoritaria, che prendeva
le mosse sul piano teorico dal dispositivo destrutturante al riguardo della
consistenza giuridica dello Stato di origine nietzschiana incrociato con
l’ipotesi assolutistica di Carl Schimtt.
Raccogliendo quegli spunti teorici
cui ho fatto appena cenno l'obiettivo era appunto quello già richiamato:
scomporre e ricomporre in una sintesi più avanzata, di vera e propria “rottura”
nel rapporto tra società e politica: questo il senso del Documento sulla
“Rinascita Nazionale”.
Quel documento, sulla “Rinascita
Nazionale” apparentemente ricolmo d’indicazioni pragmatiche (molte delle quali,
via, via, attuatesi con grande precisione) rimane, a mio giudizio, la pietra
miliare al riguardo del progettarsi e dell’attuarsi dell’avventura di destra in
Italia ed è da lì che si deve partire quando si cerca di comprendere le radici
dell'antipolitica e dei diversi sviluppi determinatisi in seguito nel sistema
politico italiano fino all'approdo al governo di destra attualmente in carica.
Berlinguer
Il PCI aveva, inizialmente, intuito
la portata del pericolo che veniva dal raccogliersi attorno alle istanze della
P2 dell’insieme della destra e del “perbenismo italiota”: l'intervista di
Berlinguer rappresentò sicuramente il punto più alto di quella intuizione. Intanto il progetto della destra che - come aveva dimostrato la
discesa in campo di Berlusconi (iscritto alla P2) andava avanti e scavava nel
profondo il sistema politico, quello informativo e riducendo ai propri disegni
la stessa struttura industriale del Paese ed egemonizzando quella finanziaria,
ridotta a scorribande per “raider” come troppi episodi ci hanno dimostrato. Si è inquadrata in questo tentativo di destrutturazione
complessiva anche la riforma della Costituzione portata avanti dal PD a
segreteria Renzi: tentativo sconfitto dal voto referendario in circostanze
sulle quali dovremmo comunque interrogarci, a distanza di sette anni, sulla
differente confluenza del voto “contro” e del voto “per” (intendendo come “per”
ancora una volta una proposta di attuazione costituzionale che sicuramente in
quel voto risultò minoritaria ma che comunque non fu raccolta e considerata). Il fatto è che, nel frattempo, PDS, DS, PD,sono rimasti fermi,
almeno fino all'avvento dell'attuale segreteria, all’idea della
“governabilità”, fino a concedere spazio
ad altri soggetti che, come nel caso del Movimento 5 Stelle, erano arrivati ad
accumulare consenso esasperando e sfruttando il concetto di “democrazia
diretta” e comunque risultavano organici al disegno di "arretramento e
destrutturazione costituzionale". Oggi la destra di governo pretende di assumere l'egemonia
culturale nella modifica delle condizioni di vita delle persone.
Tra soggetti, movimenti, lobbies più
o meno mascherati lo scopo rimane quello di affermare una propria concezione
del potere come sovrapposizione di semplice comando su di una società sfibrata
dall'egemonia dell'individualismo competitivo (situazione resa ancora più
complicata dal succedersi di emergenze di diverso tipo e dalla difficoltà di
riuscire a considerare stabili necessari riferimenti sovranazionali,
essenzialmente a livello europeo). Il potere è ormai
inteso come partecipazione alla governabilità quale fattore esaustivo
dell'agire politico, escludendo così retroterra ideale, partecipazione,
rappresentanza politica (e articolazione della rappresentanza).
In sostanza cosa sta avvenendo:
1) affermazione dell'autonomia
dell'imprenditorialità politica in funzione lobbistica nell'esercizio del
potere;
2) sviluppo della forma di
"recitazione della democrazia".
3)
Pericolo vero: affermazione di un populismo capace di incrociare una dimensione
di insorgenze sociali al riguardo delle quali è finora mancato uno sviluppo di
analisi seria e concreta.
Per la sinistra dovrebbe essere
arrivato finalmente il momento di affrontare questi livelli della questione.
Bisognerà prenderne atto cercando finalmente di comprendere che ci troviamo in
una situazione specifica rispetto alle difficoltà emergenti nelle diverse
sfumature del modello di “democrazia liberale”: forse quell'intervista di
Berlinguer (1981) può ancora essere definita come "profetica" pur con
tutti i limiti di derivare dall'analisi di una esperienza come quella del
compromesso storico che poteva essere giudicata come realizzata "in
ritardo" rispetto alle contraddizioni emergenti nella società e nella
politica di allora.