Libri
APRO L’ANIMA E GLI OCCHI
di
Gabriele Scaramuzza
Eugenio Borgna
Ho
ricevuto con grande piacere Apro l’anima e gli occhi di Eugenio Borgna,
plaquette delicata e profonda, in cui le parole inducono come sempre effetti
terapeutici. Al centro sta il tema della comunicazione come “relazione,
colloquio e dialogo”, che “sono parole”, ma “sconfinano le une nelle altre, e confluiscono
in una ideale comunità di intenti: fondata sulla interiorità e sulla
reciprocità”. Poco oltre leggiamo: “si comunica con il linguaggio delle parole,
che è la comunicazione verbale, e con il linguaggio del silenzio e della
solitudine, degli occhi e degli sguardi, delle lacrime e del sorriso, che è la
comunicazione non verbale”. All’inizio sta una poesia di Clemente Rebora: versi
che “parlano dell’anima e degli occhi che sono il Leitmotiv delle mie
considerazioni, colgono le radici della comunicazione, di ogni comunicazione, non
solo in psichiatria, ma nella vita”.
Tornano
toni e termini da sempre di casa nella scrittura di Borgna, ma che qui
compaiono in una luce che l’età (e il farsi in essa più vividi dei “problemi
ultimi”) rende più struggenti. Non molto nuova è la problematica trattata; ma
encomiabile, e necessario, è il riproporsi di una persona, e insieme di una
figura di psichiatra, che va contro quanto purtroppo per lo più si pratica nel
nostro mondo. Una tonalità spirituale, certo non religioso-confessionale,
percorre il discorso. Vi si mescolano poesie e testi in prosa di provenienza
diversa, e in questo situarsi oltre le consuete distinzioni di genere e di
appartenenza, quasi attingendo a una fonte comune da cui solo in seguito si articolano
le nostre separazioni, sta uno dei maggiori pregi del testo di Borgna.
Ho
scritto più volte su di lui: richiamo qui quanto meno il penultimo capitolo di Smarrimento
e scrittura (Mimesis, Milano 2019), e il capitolo “Il respiro della
libertà” in Passaggi. Passioni, persone, poesia (Mimesis, Milano 2020). Per
questo non starò a riprendere qui temi che già ho già percorso; li ricordo
appena: gentilezza contro aggressività, fragilità, e il comunicare appunto, che
in sé coinvolge sguardi, sorrisi, lacrime, timidezza, malattia, silenzio (dove
il riferimento è in un primo tempo a Etty Hillesum). E solitudine, paura, le
ultime ore della vita, speranza e saggezza, morte. Particolarmente toccante il
paragrafo “Si comunica ancora nella malattia di Alzheimer?”, grazie anche ai
rinvii a Roberta Dapunt e Mariapia Veladiano, nomi nuovi per me. Tornano nomi
di poeti e scrittori amati da Borgna, ricorrenti nei suoi testi, ma anche nomi
che qui si trovano per la prima volta: Paolo di Tarso, Agostino, Giovanni
XXIII, Benedetto XVI, Leopardi, Angela di Foligno, Giovanni della Croce, Dickinson,
Hölderlin, Gide, Rilke, Anna Maria Cànopi, Giovanni Pozzi, Simone Weil, Romano
Guardini, Clemente Rebora, Virginia Woolf, Stefan Zweig e anche Ernst Bloch e
Walter Benjamin, Riccardo Muti e Massimo Cacciari, l’oncologo David Khayat. Nuovo
per me è il nome di Jean-Loup Charvet, che ha scritto sull’eloquenza delle
lacrime.
E
vengo al punto che più mi ha preso, anche perché è nuovo per me negli scritti
di Borgna: quello che tocca il canto, la musica. Nel capitolo “Il silenzio e il
canto” una piacevole sorpresa sono state le parole, inattese, con cui Massimo
Camisasca (nella sua Lettera Pastorale del Natale del 2019) rievoca Maria
Callas, mia passione non solo giovanile (ne ho parlato in Passaggi e da
ultimo in Scelte, che verrà prossimamente edito da Mimesis): “Qualche
anno fa ho visto alla televisione una delle rare interviste filmate a Maria
Callas. Rispondendo a una domanda su quale fosse, secondo lei l’esperienza più
importante che aveva vissuto nel canto e che voleva trasmettere, disse più o
meno così: ‘Il silenzio. Tutta la grandezza del canto sta nei silenzi tra le
parole”.
La
grandezza di Maria Callas non sta solo nella voce, ma anche nei silenzi che la
avvolgono; e i silenzi sono gesti, presenza scenica, mimica, sguardi; nelle
rappresentazioni cui ho potuto assistere, i silenzi erano profondità dell’animo,
vertigini di senso che le parole da sole non dicevano. Voglio concludere con le
parole di Ingeborg Bachmann, non importa se le ho già citate altrove: “Mi sono sempre stupita che chi ha ascoltato Maria Callas
non sia mai andato oltre l’avvertire in lei una voce straordinaria […]. Non si
è mai trattato, oh per niente, soltanto di una voce, in un periodo in cui si
potevano ascoltare tante voci eccezionali. […]. Ogni sua frase, piuttosto, il suo modo di inspirare, di piangere, la sua gioia, la sua precisione,
la sua voglia di fare arte, la sua tragicità inconsueta, sono sotto gli occhi
di tutti. Straordinarie sono non solamente
le sue
colorature, pur già sconvolgenti, le sue arie, la sua capacità di
sintonia coi partners, bensì anche semplicemente
il suo respiro, la sua espressione. […]. Ecco un'artista: è l'unica persona
che in questi decenni abbia legittimamente calcato la scena con lo
scopo di far agghiacciare, patire, rabbrividire la platea; è stata sempre
l'arte, ah l’arte, e continuò a essere sempre un essere umano: il più debole, il più infelice, la Traviata. […]. Non
ho proprio motivo di vergognarmi
delle lacrime che ho pianto. Sono tante le lacrime che si
versano per ragioni assurde: ma quelle versate per la Callas tanto assurde
non erano. È stato l'ultimo evento al quale uno spettatore spera di partecipare”.
Eugenio Borgna |
Eugenio
Borgna,
Apro
l’anima e gli occhi.
Coscienza interiore e comunicazione,
Interlinea,
Novara 2021,
pp.
107, € 10.