SCOTELLARO E LUCANO
di Rocco Altieri
Con questo scritto di Rocco
Altieri, “Odissea” apre un confronto pubblico sull’esperienza umana e sociale di Riace.
Già nel suo
cognome Mimmo Lucano porta il marchio che lo accomuna alla vicenda di Rocco
Scotellaro, il sindaco lucano di Tricarico (Matera), anche lui accusato di
cattiva gestione negli affari amministrativi e perciò arrestato e defenestrato.
Eletto come sindaco nelle elezioni del 1946 nelle liste del partito socialista,
Rocco
Scotellaro nel 1950 viene accusato ingiustamente di concussione, truffa e
associazione a delinquere e per questo arrestato e destituito. Si colpisce al
cuore il sindaco di Tricarico per distruggere un progetto politico convintamente
sostenuto da personalità di rilievo come Carlo Levi e Rossi Doria, un esempio costruttivo,
alternativo
al blocco delle clientele e del malaffare, giudicato pericoloso dai gruppi
mafiosi dominanti, perché potrebbe ispirare altre parti del Sud a ribellarsi.
Duramente provato dalla
persecuzione giudiziaria e dall’arresto, minato nella salute, Rocco Scotellaro
muore d’infarto nel 1953 all’età di soli 30 anni.
Nel 1954 la Mondadori, per
interessamento di Carlo Levi, manda in stampa nella prestigiosa collana poetica
dello Specchio, che già ospita autori come Ungaretti, Saba, Quasimodo, Zanzotto,
la sua raccolta di poesie È fatto giorno, che
nel 1954 riceve il Premio Viareggio. Così scrive Levi nella prefazione all’opera:
“Con queste poesie egli si afferma non soltanto come poeta, ma come l’esponente
vero della nuova cultura contadina meridionale, la cui espressione e il cui
valore primo non può essere che poetico. (Allo stesso modo con cui, ma su un
piano razionale, storico e critico, un altro giovane, Piero Gobetti, lo era
stato, nel primo dopoguerra, per il mondo operaio e intellettuale del Nord)”.
Riace città dell'accoglienza
È fatto giorno, siamo entrati in
giuoco anche noi
con i panni e le scarpe e le
facce che avevamo.
Le lepri si sono ritirate e i
galli cantano,
ritorna la faccia di mia madre al
focolare.
È fatto giorno annuncia
l’ingresso nella Storia di chi, fino ad allora, il mondo dei cafoni
meridionali, ne era stato escluso. È “l’affermazione dell’esistenza di un
popolo intero” che si mette in cammino, come scrive Levi nella prefazione.
Tutta l’opera letteraria di
Scotellaro è strettamente collegata alla società contadina, a cui
orgogliosamente rivendica di appartenere.
L'ambito letterario in cui si
dimostra più prolifico è la poesia, con oltre un centinaio di composizioni, ma è
autore anche di un romanzo, L'uva puttanella, di un'inchiesta, Contadini
del sud, di un'opera teatrale (Giovani soli) e di diversi racconti, riuniti
nel libro: Uno si distrae al bivio, scritti che sono stati
meritoriamente raccolti di recente in un unico volume: Tutte le opere,
edito nel 2019 dalla Mondadori nella collana Oscar baobab, rese così di nuovo
accessibili al lettore di oggi.
La tensione verso il riscatto
politico e sociale della civiltà rurale s’invera nelle composizioni dal 1945 al
1947, in cui i “cafoni” sono determinati a esprimere la propria ansia di
liberazione. La sua lirica diventa incalzante, sferzante, per certi aspetti
epica, celebrando l’anima più profonda del Sud contadino.
La composizione Sempre nuova è
l'alba viene definita da Carlo Levi, nella prefazione a "È fatto
giorno", come la "Marsigliese del movimento contadino":
Riace multietnica
Non gridatemi più dentro,
non soffiatemi in cuore
i vostri fiati caldi, contadini.
Beviamoci insieme una tazza colma
di vino!
che all'ilare tempo della sera
s'acquieti il nostro vento
disperato.
Spuntano ai pali ancora
le teste dei briganti, e la
caverna -
l'oasi verde della triste
speranza -
lindo conserva un guanciale di
pietra...
Ma nei sentieri non si torna
indietro.
Altre ali fuggiranno
dalle paglie della cova,
perché lungo il perire dei tempi
l'alba è nuova, è nuova.
Carlo Levi mette in scena nel
grande telero, denominato Lucania ’61, realizzato su richiesta di Mario
Soldati in occasione delle manifestazioni celebrative per il centenario
dell’unità d’Italia, l’epopea tragica di Rocco Scotellaro, il sindaco poeta. Il
dipinto di Levi è sicuramente il suo capolavoro come pittore, come lo è Cristo
si è fermato a Eboli nella narrativa. È ora esposto nel Palazzo Lanfranchi a
Matera e raffigura il ciclo della vita e della morte di Rocco Scotellaro, e,
con essa, della tragica fine della civiltà contadina del meridione.
Nelle sembianze del sindaco di
Tricarico, al centro nel grande telero, a chi ne fissa il viso, mentre parla
nella piazza circondato dai cafoni, si scorgono sorprendentemente le stesse sembianze
volitive di Mimmo Lucano, assediato nella piazza di Riace dalla folla dei
migranti curdi. Levi sembra dotato di una prodigiosa chiaroveggenza artistica, trasfigurando
in mito perenne la figura dei due sindaci sia nell’espressività del viso
nell’atto di sollecitare la folla a una nuova coscienza, come Socrate
nell’agorà ateniese, sia nel raffigurare l’espressione pallida e sconfitta,
sofferente
ma serena di Rocco Scotellaro giacente morto, simile a quella di Mimmo Lucano, duramente
provato, appena conosciuta la sua ingiusta e pesante condanna.
La mia bella Patria
Io sono un filo d'erba
un filo d'erba che trema
E la mia Patria è dove l'erba
trema.
Un alito può trapiantare
il mio seme lontano.
Riace multietnica |
Rocco Scotellaro
L'uva puttanella, il romanzo
autobiografico iniziato nel 1950 e rimasto incompiuto a causa della morte
improvvisa, narra la vita dell'autore, dalla sua infanzia fino alle vicende che
lo portano in carcere e alle dimissioni da sindaco. Nonostante la narrazione
sia frammentaria e disomogenea, gli eventi negativi sono la base per una
riflessione ampia e profonda sul contesto storico in cui l’autore vive,
concentrandosi in modo particolare su quel sottoproletariato rurale (paragonato
agli acini maturi, ma piccoli, di uva puttanella) di cui ben conosce angosce e
tribolazioni, riuscendo a unire a questi sentimenti la ricerca di soluzioni e
risposte adeguate.
“Intellettuale di tipo nuovo” è, per
Italo Calvino, Rocco Scotellaro che “in modo forse più completo d'ogni altro
s'era avvicinato all'ideale d'uomo che la gioventù della Resistenza conteneva
potenzialmente in sé, impegnato sul fronte più avanzato della lotta sociale e
sul piano più qualificato della cultura letteraria nazionale”. I suoi interessi
spaziano dall'economia all’educazione degli adulti, dall'organizzazione
sindacale alla politica, mentre la scrittura si muove tra poesia, narrativa,
inchiesta antropologica, giornalismo.
Franco Fortini riferendosi alla
poesia di Scotellaro, durante un convegno del 1955, usa l’espressione “margini
della storia” per descrivere il luogo nel quale Scotellaro nasce, vive, scrive
e lotta. Da quei margini, da quelle periferie, i versi del poeta lucano danno
voce a un mondo che resiste e vuole liberarsi, “là, nell’ombra delle nubi
sperduto, / giace in frantumi un paese lucano”, come scrive nella lirica
“Lucania”.
Rocco Scotellaro |
Reintroduzione dell'asino a Riace
Mi hanno messo le manette già una
volta
sto bussando alle locande per un
letto
così scrive nella “Benedizione
del padre” (1948).
I componimenti a carattere
espressamente politico sono pieni di invocazioni, chiamando direttamente in
causa i nuovi protagonisti della storia: i contadini sfruttati e quelli morti
ammazzati. La poesia di lotta in Scotellaro ha i nomi precisi dei contendenti:
i “braccianti salariati” e i “padroni”.
Una riforma agraria incompiuta
non ha modificato sostanzialmente i rapporti di sfruttamento nelle terre
meridionali e spinge le moltitudini all’esodo disperato dalle campagne.
I suoi versi vanno oggi riletti,
avendo ben presenti le lotte dei braccianti africani, asiatici, dell’Europa
orientale che popolano le campagne del Sud, quelli magistralmente raccontati da
Alessandro Leogrande in Uomini e caporali, quelli che in tanti luoghi
d’Italia si ribellano allo sfruttamento, si organizzano in leghe bracciantili, scioperano.
E se ci affoga la morte
nessuno sarà con noi,
e col morbo e la cattiva sorte
nessuno sarà con noi.
I portoni ce li hanno sbarrati
si sono spalancati i burroni.
Oggi e ancora duemila anni
porteremo gli stessi panni.
Noi siamo rimasti la turba,
la turba dei pezzenti,
quelli che strappano ai padroni
le maschere coi denti.
(giugno 1948)
Reintroduzione dell'asino a Riace |
Carlo Levi al Sud
I folgoranti reportage narrativi
di Contadini del Sud, anche a distanza di oltre cinquant’anni, sorprendono
per l’acume sociologico del suo autore e rappresentano l’immagine di un popolo multiculturale
e multilinguistico che rivendica per sé un futuro e non vuole sparire
inghiottito dalle metropoli del Nord, da Milano e da Torino.
Nel dopoguerra il sodalizio
culturale e politico di Rocco Scotellaro, Carlo Levi, Manlio Rossi Doria,
Danilo Dolci, ha interpretato in Italia la resistenza nonviolenta di una
civiltà contadina che vuole liberarsi dallo sfruttamento e si oppone
energicamente al mito del progresso e della industrializzazione, ma viene duramente
sconfitta dall’avanzare del consumismo.
Una tale visione politica,
travolta dal boom economico degli anni Sessanta, trova una rinnovata
affermazione, a noi più vicina, nell’arrivo in Calabria di Danilo Dolci, terra
cui dedica la fase più feconda della sua vita di educatore maieutico negli anni
Novanta, teso all’obiettivo di generare una nuova coscienza collettiva,
passando dal trasmettere al comunicare, intesi come “legge della vita”. Va
menzionato il sodalizio che si stabilisce in questi anni tra Danilo Dolci e i
“Quaderni Calabresi” dell’avvocato Francesco Tassone di Vibo Valenzia, tra
Danilo e gli educatori nonviolenti delle scuole di Palmi, i proff. Raffaello
Saffioti, Ottavia Gagliostro e Rosellina Scarcella, i tanti Laboratori-Seminari
che dal 1993 si svolgono a Lorica, nella Sila.
C’è un filo rosso che unisce e fa
della Calabria una terra di spirito profetico dotata, in cui alberga il cuore
pulsante della feconda costruzione di alternative nonviolente possibili.
L’esperienza esemplare di Mimmo
Lucano non si può spiegare, non si può comprendere senza tener presente l’humus
culturale e politico da cui nasce.
La speranza del Sud risorge miracolosamente
a Riace in Calabria, allorché sbarca una nave di profughi curdi. È merito della
grande sensibilità umana e politica di Mimmo Lucano, uomo semplice e autentico,
specie rara di politico non machiavellico, intuire che, attraverso l’arrivo di
quegli immigrati in un territorio desertificato dall’esodo verso il Nord
industriale, possa rivivere il sogno di una nuova economia fondata
sull’agricoltura e sull’artigianato, un’alternativa nonviolenta alla
conurbazione malata della Padania inquinata e soffocata dallo smog delle sue
industrie e delle sue automobili.
Carlo Levi al Sud |
Lucano con Zanotelli
Riace, Badolato, Cropani, Decollatura,
Serra San Bruno, Acri, Mormanno sono i tanti luoghi, i tanti piccoli comuni che
non devono morire ma che possono costituire la vera via di uscita a un modello
di sviluppo distruttivo.
I nuovi arrivati in Calabria sono
i nostri “salvatori”, i portatori di saperi e di abilità che i calabresi di
oggi hanno dimenticato: come intrecciare le ceste di vimini, modellare le
pentole di creta, lavorare al telaio e al tornio, cucire gli abiti, fare le
maglie coi ferri, i ricami con l’uncinetto.
Riace torna a vivere in una
mescolanza di lingue, di culture e di religioni diverse. Nascono cooperative,
si aprono laboratori, riaprono le botteghe del fabbro, del falegname, del calzolaio,
del sarto. I contributi europei vengono utilizzati per riadattare le case diroccate
e abbandonate.
Chi prende a pretesto errori
nella contabilità di un’impresa complessa e gigantesca come quella di far
rinascere una comunità, è assimilabile a quei burocrati e giudici che si
dichiarano non responsabili, denunciati da Hannah Arendt nella Banalità del
male. Costoro dicono di agire solo per obbedienza alla legge, senza
preoccuparsi minimamente delle conseguenze abnormi delle loro decisioni
punitive.
Teresa Mattei, partigiana
antifascista, la più giovane donna eletta nell’Assemblea Costituente, ha
compreso questi nessi per prima, riunendoli idealmente nella sua treccia arcobaleno.
Solidale col sindaco di
Tricarico, per ricordarne il martirio, quando le nasce il figlio, Teresa lo
chiama Rocco, nello stesso modo che Luchino Visconti più tardi, ugualmente
ispirato, dà questo nome al protagonista del suo film più famoso: “Rocco e i
suoi fratelli”.
Teresa, fondatrice della Lega per
il diritto dei bambini alla comunicazione, invita più volte Danilo a promuovere
laboratori maieutici nelle scuole della provincia di Pisa, invitando le
famiglie a non guardare più la televisione.
Infine, prima della morte
avvenuta a Usigliano di Lari il 12 marzo 2013, Teresa ha modo di conoscere e sostenere
attivamente il modello di accoglienza di Riace, avviato da Lucano nel 1998, con
lo sbarco dei duecento profughi provenienti dal Kurdistan.
Teresa Mattei ha riconosciuto in
tutti e tre un palpitare di nessi, il sentire il mondo con l’animo del poeta.
Mimmo Lucano ha lo spirito del
poeta, simile a quello di Rocco Scotellaro e di Danilo Dolci. La natura profonda
del poeta è quella di sentire e immaginare altre realtà, di tracciare nuove
strade, di immaginare nuovi mondi possibili. Con Rocco, Danilo e Mimmo la
poesia si è fatta impegno, lotta e martirio, perché finalmente il sogno di
un’umanità senza violenza, senza sfruttamento, senza armamenti possa
realizzarsi.
Manifestazione per la pace a Riace
Anche le piante dopo scaricate,
si riposano.
Mi sento come un limone lunare
che non riposa mai.
Si chiamano lunari perché ogni
luna butta le sue zagare
senza risparmio, non tutte
infruttano –
casca la vecchia foglia dalle
nuove,
gialle le deperite, come noi.
Quando si coglie l’ultimo limone
giallo maturo, è verde il piccolo
e affaccia il nuovo fiore, in
ogni tempo
senza darci la secca.
Si raccolgono quando non c’è
altri
e hanno altro valore.
Arrivano a cent’anni come noi
se si è sinceri, non ci viene il
male
si resiste meglio:
a guardare una pianta di lunari
non pare mai inverno.
Danilo Dolci, Il limone lunare,
Bari, Laterza, 1970
Manifestazione per la pace a Riace |