DANTESCA
di
Franco Toscani
Dante
e "la caligine del mondo"
(a
"Salvino" Dattilo e Attilio Finetti)
1. L'inesauribile patrimonio culturale di Dante
rivolto all'umanità
planetaria
Come vera e propria festa e
compendio dello spirito umano, la Divina
Commedia convoca in una possente e mirabile costruzione nel contempo
poesia, narrazione, storia, politica, teologia, filosofia, scienza, arte,
letteratura, immensa cultura e dottrina, fertile immaginazione, humanitas, tensione morale, virtù civili
e quant'altro, elementi e aspetti tra i più disparati che sono tenuti
armoniosamente insieme da una straordinaria capacità di canto e di suggestione
poetica. Perciò non ha molto senso distinguere rigidamente in Dante la
"poesia" dalla "non poesia", come ha fatto un pur grande
critico e filosofo come Benedetto Croce ne La
poesia di Dante (1921) e altrove. Essere poeti richiede per
Dante, oltre che la strenuitas ingenii
e l'artis assiduitas, anche l'habitus scientiarum (cfr. De vulgari eloquentia, II, IV, 9).
Il
punto essenziale consiste proprio in ciò: nel convogliare in altissima poesia e
con una prodigiosa varietà di mezzi espressivi l'enorme materiale di memorie e
speranze, esperienze e fatti storici, incanti e orrori, piaceri e dolori, virtù
e colpe, tensioni terrene e vagheggiamenti celesti di cui tratta la Commedia. Per questi motivi Dante
Alighieri non è soltanto il maggiore genio poetico italiano, ma è tuttora
potente luce, una delle luci irrinunciabili per l'umanità intera, per l'umanità
planetaria di difficile gestazione.
Noi
qui non potremo approfondire gli aspetti principali del capolavoro dantesco né
svolgeremo un discorso storiografico-letterario, ma cercheremo di occuparci
soprattutto della "caligine del mondo" nel grande poema,
focalizzeremo dunque la nostra attenzione sulla superbia, tema che, nelle
nostre intenzioni, ci farà comprendere pienamente una delle ragioni essenziali
dell'attualità di Dante e del rinnovato interesse contemporaneo per la sua
opera.
Il
tema al centro del nostro discorso emerge già nel primo Canto dell'Inferno, allorché Dante non può
raggiungere il "dilettoso monte" (cfr. Inferno, I, 77) che rappresenta la vita virtuosa alla base della
felicità umana, perché è ostacolato da tre fiere (il riferimento è qui a Geremia, 5,6) - una lonza (la lussuria),
un leone (la superbia), una lupa (la cupidigia) -, le quali rappresentano
simbolicamente le tre disposizioni peccaminose che impediscono agli individui
una conversione dei cuori e delle coscienze e minano profondamente la vita
sociale, civile e politica dei popoli. Il fine etico-politico di redenzione è
già qui presente, sia pure soltanto abbozzato. Il leone, simbolo della
superbia, "parea che contra me venisse/ con la test'alta e con rabbiosa
fame,/ sí che parea che l'aere ne tremesse" (Inferno, I, 46-48).
Altrove
l'Alighieri stesso ammette di essere stato molto tentato nella sua vita dalla
lussuria e dalla superbia dell'ingegno, non invece dalla cupidigia, che - come impietatis et iniquitatis genitrix (Epistulae, XI, 14) e inordinatus appetitus cuiuscumque boni
temporalis, secondo la definizione scolastica - era per lui alla base della
corruzione sociale e politica.
Noi
qui tenteremo di seguire le indicazioni del poeta per cercare ancora una volta
di imparare qualcosa da un grande classico, fonte permanente di nuova vita e di
nuove possibilità per noi, per il futuro dell'umanità. Non pochi studiosi hanno
già da tempo giustamente sottolineato l'importanza della dimensione profetica (o profetico-apocalittica)
nella Commedia (cfr., ad esempio, Inferno, I, 100-111; Purgatorio, XXXIII, 43-45; Paradiso, IX, 139-142; XXII, 14-15;
XXVII, 61-63, 142-148), tema su cui è rinvenibile un'ampia bibliografia.
Dal
mero lirismo stilnovistico della fase giovanile, che pure ha dato risultati
poetici eccellenti, nella Commedia la
poesia di Dante si fa più complessivamente impegnata, più pronta a misurarsi
col destino dell'uomo e coi problemi dell'umana convivenza e civiltà. L'intento
del grande poema - come l'autore stesso chiarisce anche nelle Epistulae (XIII, 39-40) - non è tanto o
soltanto lirico, contemplativo, speculativo, ma è anche e soprattutto
etico-pratico e politico, per superare lo status
miseriae e condurre gli uomini alla felicitas.
Dante tende a oltrepassare la "selva oscura", come "selva
erronea di questa vita" (cfr. Inferno,
I, 1-3 e Convivio, IV, XXIV, 12), in
vista di una redenzione che vuole
essere sia personale, dai propri errori e peccati, sia di tutta l'umanità dal
suo stato di corruzione, disordine e decadenza. Per ogni essere umano che viene
al mondo vi è infatti un campo sempre aperto e problematico di donazione di
senso e di azione, come ben sapeva il poeta in versi celeberrimi:
"Considerate la vostra semenza:/ fatti non foste a viver come bruti,/ ma
per seguir virtute e canoscenza" (Inferno,
XXVI, 118-120).
Come
si sa, i classici non valgono e non appartengono soltanto al passato, ma hanno
tutto l'avvenire davanti a sé. Dante non ha bisogno di retoriche celebrazioni,
ma di essere riletto e rimeditato sia per godere del suo canto sia per
procedere meglio nel nostro arduo cammino di umanizzazione. Concentreremo
dunque la nostra attenzione soprattutto su alcuni aspetti rilevanti dei Canti
X, XI, XII, XVII del Purgatorio.