IL CANTO DEGLI ALBERI
di Zaccaria Gallo

Hermann Hesse
Hesse, di
rado, negli ultimi anni della sua vita, si allontanava da Montagnola. Schivava
gli incontri e le manifestazioni che erano indette per celebrare la sua
personalità di scrittore e poeta, ma non poteva evitare che il mondo lo
cercasse e lo andasse a trovare, innanzitutto spedendogli migliaia di lettere,
o direttamente chiedendo di poterlo incontrare di persona. Questo non solo lo
imbarazzava, ma gli procurava una sorta di fastidio, tanto che, ripeteva spesso,
si sentiva come un animale rinchiuso in un giardino zoologico. Erano gli anni
in cui i suoi libri toccavano impressionanti quantità di tirature ed erano
letti in tutte le parti del mondo. Si pensi ad esempio a Siddharta. Ebbene in India si stampò, tradotto, in svariati idiomi
indiani. In una sola parte del mondo, negli Stati Uniti, Hesse non solo non
veniva pubblicato interamente, ma veniva anche spesso presentato con delle
traduzioni orribili, tanto che pur avendo conseguito il Premio Nobel per la Letteratura,
erano pochi gli americani che lo leggevano veramente. Hesse non si fece
sfuggire il commento che era convinto che pochi americani capissero quello che
lui con la sua poesia e con la sua visione filosofica della vita andava
proponendo. Rifuggiva dunque dalla fama, che considerava alla stregua di una
malattia della vecchiaia, contro cui nulla si poteva fare, come poco si poteva
fare per arrestare attraverso di lei un leggero inevitabile rimbambimento. E
gli onori, i premi che gli venivano conferiti non erano altro che sintomi di
questa malattia. Basti ricordare quello che accadde nell’autunno del 1955. Dopo
essere stato insignito dell’ordine “Pour le meritè” nell’autunno del 1955, gli
veniva assegnato il Premio per la Pace dei librai tedeschi. Avrebbe dovuto
andare a ritirarlo a Francoforte. Ma lui era fatto così: la sua idea era che
non voleva sentire obblighi verso nessuno e aveva pertanto, da tempo, deciso di
non muoversi dalla sua villa in campagna a Montagnola, dal suo giardino, dai
suoi alberi adorati, che vivevano accanto a lui nei boschi vicini, per andare a
ritirare né premi né onorificenze. A Francoforte ci andò sua moglie, Ninon, a
ritirare quel Premio. Mentre questo avveniva nella città tedesca, Hesse si
recava nel suo giardino: aveva con sé le forbici per potare le siepi e i rami,
il setaccio per i semi da raccogliere da terra, un estrattore di legno per le
erbacce. Alla fine dopo aver raccolto delle noci, ammassò le bucce delle
castagne, accese un bel fuoco e rimase a guardare gli alberi che aveva di
fronte e che lo avrebbero ispirato nella stesura del suo libro Il canto degli alberi. Solo dopo aver
fatto tutto questo, rientrò in casa e, accesa la radio, ascoltò il discorso di
ringraziamento che Ninon stava facendo ai librai di Francoforte. Lui aveva
lavorato come libraio a Tubinga e Basilea. Il suo amore e il suo rapporto con i
libri, era stato sempre profondo. Spesso li produceva lui stesso, cucendoli a
mano e illustrandoli con bellissimi disegni, o per donarli agli altri, come
aveva fatto con i prigionieri di guerra durante la prima guerra mondiale, o per
raccogliere del denaro, che utilizzava per aiutare alcuni studenti privi di
mezzi a frequentare l’Università. Amava i giovani e i giovani lo hanno sempre
ricambiato con un amore che al tempo di Siddharta diventò non solo venerazione
ma per una loro intera generazione divenne il motore che li spinse a scendere
nelle piazze contro la guerra nel Vietnam. La sua scrittura incoraggiò quei
giovani a fare delle scelte personali, che spezzavano la dipendenza di ogni
essere umano da un potere costituito quando questo potere va oltre le regole
dell’umanità, soprattutto con le guerre. Oh, quanto ce ne vorrebbe oggi, per
quello che stiamo vedendo accadere in Palestina e a Gaza. Non tutti i suoi
lettori inevitabilmente erano così affascinati, e le opinioni su di lui, soprattutto
di una certa critica militante americana, non sempre furono favorevoli alla sua
opera, nonostante il Premo Nobel. Ma Hesse aveva raggiunto, soprattutto dopo il
suo contatto con la filosofia zen, la capacità di andare oltre questi attacchi.
Anzi, sapendo che questo essere
apprezzati e nello stesso tempo disistimati può accadere a chiunque durante la
propria vita si occuperà di questo nella sua lirica “Gradini”, che è una poesia sul coraggio di
ricominciare, nonostante tutto, sul coraggio di vivere e di saper oltrepassare
i limiti della vita stessa.
