UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

mercoledì 9 aprile 2025

SUL CONCETTO DI DIFESA
di Angelo Gaccione


 
Liberarsi del perverso e mortifero concetto di difesa.  
 
Difesa: non c’è parola più abusata di questi tempi. Politici europei di ogni grado e livello, gazzettieri che fanno il controcanto, professori universitari, e persino intellettuali tutt’altro che sprovveduti ne decantano il potere taumaturgico, la potenza salvifica. L’innamoramento per il concetto di difesa è trasversale, non è patrimonio esclusivo delle destre fasciste e guerrafondaie, dei nazionalisti e militaristi a tutto tondo per i quali la guerra è sempre stata “sola igiene del modo” come gli cantava il poeta. Progressisti e liberali (con le dovute eccezioni, ovviamente) la pensano allo stesso modo in fatto di difesa, e non si rendono conto che difesa e guerra non sono un binomio, sono semplicemente la stessa cosa. Ci si può ingenuamente domandare come sia possibile che delle menti argute prendano un abbaglio così macroscopico e cadano in questa trappola tanto evidente e tanto rimarchevole sul piano dei fatti e degli eventi tragici della storia. “Non siamo affatto per la guerra, ma la difesa è indispensabile” dicono progressisti e liberali in buona fede, ed immediatamente assumono la lingua dei bellicisti. Ne introiettano la sostanza. Nel loro intimo sono sinceramente pacifisti, ma vogliono la difesa perché il mondo è quello che è.


 
Perché ci sia la difesa occorre un esercito, possibilmente più potente di quello del loro nemico: dunque ci vuole un esercito europeo. E perché un esercito europeo possa garantire la difesa occorre dotarlo di mezzi di distruzione superiori o pari a quelli del nemico. Va da sé che se il nemico ha migliaia di ordigni nucleari, la “dottrina della difesa” richiede che anche tu dovrai dotartene, anche a costo di affamare i tuoi compatrioti con una spesa gigantesca e inderogabile che la difesa richiede. Tu ti difendi dal nemico e il nemico si difende da te. Tu non cerchi la guerra, vuoi solo difenderti. Il nemico non dice apertamente di volere la guerra, ma si è armato per garantirsi la difesa, esattamente come te. Tu non ti fidi di lui e lui non si fida di te. Questa rincorsa alla difesa, cioè alla guerra, diventa necessaria come la dose di eroina per il drogato e non può che aumentare sempre di più. Perseguendo questa rincorsa alla difesa, cioè alla guerra, la guerra diventa sempre più probabile, poi, alla prima crisi, decisamente inevitabile, necessaria. Come abbiamo visto, la difesa getta le basi per la guerra e l’avvicina inesorabilmente. Rinunciare alla difesa equivale, dunque, a rinunciare alla guerra.


 
Non abbiamo accennato, finora, al dato epocale in cui ci troviamo a vivere. Siamo in piena era nucleare con decine di Stati in possesso di ordigni di distruzione in grado di cancellare tutti gli esseri viventi e le piante, di causare una apocalisse ambientale. Il loro impiego non solo provocherebbe l’inverno nucleare per decenni, ma contaminerebbe il pianeta per secoli e secoli rendendolo invivibile. Poiché nessuna difesa della vita è possibile, in caso di uso di tali armi, ne discende che la difesa è una parola vuota, un mito che espone l’umanità alla sua scomparsa. Sparirebbero sia gli artefici e i sostenitori della difesa con i loro beni e i loro privilegi; spariremmo noi disarmisti e pacifisti; sparirebbe tutto il patrimonio architettonico, artistico, scientifico e culturale che la civiltà ha tanto faticosamente impiegato a realizzare. Se questo è l’esito della difesa, cioè il ritorno al buio primordiale senza la presenza di alcuna forma di vita sulla terra, dobbiamo chiederci se è questo che vogliamo. Se vogliamo davvero preparare la fine dell’avventura umana. Non sarebbe meglio rovesciare questa logica di morte impiegando risorse e sforzi per ricostruire, attraverso una diplomazia degna di questo nome, rapporti internazionali di confronto e di collaborazione come avviene sul piano scientifico, culturale, sanitario, e durante le calamità naturali? È questo il ruolo che dovrebbe assumere l’Europa se fosse saggia, non perseguire un riarmo foriero di ulteriori rovinosi pericoli. Ed è questo che noi disarmisti auspichiamo.



Difesa e riarmo ci obbligano ad uno sperpero insensato di gigantesche quote di ricchezza; sono una continua tentazione muscolare per i governi e una pericolosa scorciatoia per le crisi. L’impiego delle preziose conoscenze acquisite dal personale militare per la tutela dei territori, la cura dell’ambiente, come presidio di protezione civile - unito a una credibile diplomazia pacifica - sarebbero garanzia di vera sicurezza e difesa. Non metteremmo in pericolo la vita di un solo uomo e saremmo percepiti come un continente di pace. Il nostro bellissimo Paese potrebbe indicare la città di Assisi, città mondiale della pace, come sede permanente per la risoluzione delle divergenze internazionali. Lo abbiamo suggerito più volte e lo ribadiamo. Come italiano e uomo di cultura ne sarei fiero. Se l’Europa vuole salvarsi è questa la strada; quella della difesa e dell’esercito europeo non farà che alimentare la diffidenza, accelerare i pericoli che già corriamo, lavorare alla sua fine e alla nostra. Riflettiamoci, prima che sia troppo tardi.

 

 

 

 

 

  

martedì 8 aprile 2025

A TRIESTE DOMANI
Alle 11.30 presenza solidale in Tribunale



Esortiamo tutti e tutte ad essere presenti domani (mercoledì 9 aprile) alle 11.30 al tribunale di Trieste, nell'aula 113 pianoterra, in solidarietà a due persone processate per una presunta violenza commessa ad un giornalista di Tele Quattro, durante una manifestazione contro il green pass nel dicembre 2021. Solamente per aver messo la mano davanti all'obbiettivo della video camera che li stava arbitrariamente filmando, la procura li ha portati a giudizio per violenza privata. La vera violenza è invece quella che fanno i giornalisti di regime, con la loro propaganda spacciata per informazione, ieri sul Covid oggi sulla guerra. Da parte nostra invece, non dobbiamo lasciare nessuno solo difronte alla repressione di regime, rilanciando unità e solidarietà!

Coordinamento No Green Pass e Oltre

OCCUPATA L’UNIVERSITÀ STATALE







ANNIVERSARIO DI UN MASSACRO
di Tayeed Dibiee

 
 

Nell’aprile 2002 a Nablus Israele ha compiuto un ulteriore massacro.
In quell’occasione Israele non ha commesso un massacro solo contro la popolazione della città, ma anche contro il patrimonio, la storia e le antichità palestinesi nella Città Vecchia. Ha deliberatamente preso di mira edifici storici, alcuni dei quali risalgono all’epoca romana, poiché la Città Vecchia fu costruita sul suo sito attuale 2.000 anni fa. Fu un’aggressione in cui Israele uccise un gran numero di civili, tagliò l’acqua, l’elettricità e le linee di comunicazione e assediò la città, impedendo l’entrata e l’uscita di persone e merci da e verso la stessa. Numerosi feriti sono rimasti uccisi nella moschea di Al-Baik nella Città Vecchia, utilizzata come ospedale da campo, dopo che l’occupazione ha impedito alle ambulanze di entrare nella Città Vecchia per soccorrerli. Le urla dei feriti riempivano la moschea e i cadaveri dei morti riempivano il cortile esterno. L’odore della morte pervadeva la Città Vecchia, con cadaveri nelle strade, l’odore della polvere da sparo che riempiva nasi e petti, le macerie degli edifici che bloccavano le strade, distruzione ovunque, i bombardamenti che assordavano le orecchie, si sentivano le urla della gente, il rumore dell’acqua che fuoriusciva dai serbatoi perforati dai proiettili o dalle schegge dei missili, il rumore degli edifici che crollavano. Le persone hanno vissuto i giorni più bui della loro vita. Eppure si sollevarono rapidamente, scrollandosi di dosso la polvere della guerra e della morte che Israele aveva seminato ovunque. Con le loro mani e grazie all’iniziativa degli abitanti della città, le macerie sono state rimosse, le strade sono state aperte e gli aiuti sono stati distribuiti alla popolazione, anche se alcuni edifici non sono stati ricostruiti. Gli antichi edifici storici non possono essere riportati al loro antico splendore. Abbiamo perso un’eredità storica insostituibile.



E ora, 23 anni dopo, sembra che tutto ciò sia stato solo una piccola prova di ciò che Israele sta facendo oggi a Gaza. All’epoca l’occupazione sosteneva di voler eliminare il terrorismo, proprio come sostiene oggi. Tuttavia, Israele vuole eliminare il popolo indigeno palestinese dalla sua terra ancestrale e per riuscirci usa il pretesto di eliminare il terrorismo. Tutto ciò che ha fatto dalla sua fondazione nel 1948 non è altro che una serie di politiche sistematiche che prendono di mira l’esistenza palestinese, a vantaggio del progetto espansionistico imperialista sionista che cerca di raggiungere la sua regola aurea (più terra e meno arabi).
 

 

 

 

IL DILEMMA
Destra, sinistra o entrambe le cose?  
 


Un racconto di Cataldo Russo.

Qualcosa era accaduto durante la notte. Non si sa bene come fosse avvenuto, ma qualcosa di strano e imponderabile era successo. Quali mani o, meglio, quale Dio si fosse scomodato perché tutto ciò avvenisse, non si sa, ma di sicuro si era trattato di cataclisma che nella piana dei Sette Canali aveva colto tutti di sorpresa. Non era possibile che tutti quelli che da sempre adoperavano la mano destra, all’improvviso si erano svegliati mancini, mentre tutti quelli che si erano beccati rimproveri, punizioni e perché no, anche qualche sonoro ceffone, perché non volevano abituarsi a cambiare mano, quella mattina usavano il coltello e la penna con la mano destra a meraviglia. 
Persino giocatori blasonati per l’uso eccelso del piede mancino come Maradona, Messi, Gullit si erano improvvisamente scoperti destrorsi, e pugili che avevano costruito la loro carriera sul destro al fulmicotone si erano svegliati mancini.
Ma il cambiamento non si limitava solo a mani e piedi, ma investiva tantissime altre parti del corpo, dalla masticazione alla minzione, dal braccio da dare alla sposa nell’accompagnarla all’altare al porgere l’altra guancia per accogliere il ceffone dello schiaffeggiatore di turno.
Per esempio, chi da sempre usava la mandibola destra per la masticazione ora usava la sinistra e viceversa, e chi dirigeva gli schizzi durante la minzione un po’ più a sinistra ora li dirigeva decisamente a destra. Ma questo era niente di fronte ai cambiamenti che stavano avvenendo in campo politico.
Al Bar Sport tutti quelli che si erano caratterizzati e professati di destra, sostenendo che bisognava fare piazza pulita di migranti, extracomunitari, percettori di redditi a sbafo, nullafacenti e teorizzatori dell’espropriazione delle proprietà private, quella mattina si professavano tolleranti, accoglienti e collettivisti, con sulla punta della lingua lo slogan quello che è tuo è anche mio.
Persino il barone Pompeo Denari, che nella sua vita aveva sempre restituito pan per focaccia e che non aveva mai porto l’altra guancia a chicchessia, nemmeno per una carezza, quella mattina sembrava disposto a baciare la mano del boia di turno.



Chi invece si creava problemi nel servire i clienti ai tavoli del suo bar era Mario Schipano, il titolare del locale, che era in gran confusione perché anche lui quella mattina usava la mano sinistra per servire caffè, cappuccino e bibite, anziché la destra e per questo temeva di poter offendere i clienti di destra, che poi erano la maggior parte, che avevano sempre preteso che le bevande fossero somministrate loro con la mano destra.
Come al solito, il povero Mario si sbagliava perché non ci poteva essere cosa più gradita per gli ex clienti di destra che, essendo diventati tutti mancini, poter essere serviti con la mano del cuore. Fra complimenti e qualche rimostranza Mario riuscì a cavarsela senza aver perso un cliente quel giorno. Anzi, ricevette più di una pacca sulla spalla in segno di approvazione.
Anche nella seduta comunale di quella sera le cose erano completamente cambiate. In primis i banchi che di solito erano occupati dalla destra furono presi dalla sinistra e viceversa. Nessuno protestò ad onor del vero ad eccezione dell’uomo delle pulizie che, avendo usato lo Chanteclair per pulire i banchi di destra e il proletario Cif ammoniacale per quelli di sinistra, ora temeva seriamente che potesse determinarsi un’allergia a livello dei deretani  che, essendo abituati a dimorare troppo a lungo sugli scanni del potere, qualche irritazione la rischiavano seriamente.
Lo speaker del Consiglio, un ometto tutto verve e tic, che nel Principe di Galles grigio, taglia 42 ci stava due volte, che da un po’ di tempo si era conformato, sebbene a fatica, al linguaggio del risarcimento nei confronti delle donne per tutte le discriminazioni subite nel corso dei secoli, dando loro la precedenza, sempre, in qualunque manifestazione, quella mattina anziché iniziare con “signore e signori” esordi con il vecchio e abusato “signori” per entrambi i sessi. Il povero uomo temeva una sonora levata di scudi per cotanto ardire invece fu sommerso da una cascata di complimenti da parte di tutti che trovavano eccessivo l’ostentazione del fair play.
Il primo a chiedere la parola, non appena il segretario dichiarò aperta la seduta, fu un consigliere di minoranza di estrema sinistra, un rompicoglione della miseria, che non gli andava bene mai nulla e su ogni cosa chiedeva e pretendeva la verbalizzazione. Il suo discorso, ripulito dalle solite e colorite espressioni da scaricatore di porto, era moderato, contenuto e persino un po’ forbito quella sera.
“Cusa l’è!”, esclamò uno dei banchi della maggioranza, “Sei stato a colloquio con il Santo Padre questa mattina?”.
L’uomo non rispose. Gli andò vicino e gli porse un garofano bianco con sfumature di rosso e di verde. L’altro prese il fiore, se lo portò al naso, l’odorò e gli strinse la mano in segno di ringraziamento e riconciliazione. Cinquant’anni di insinuazioni, di accuse, di denunce, di processi e di lotte all’ultimo fendente sembravano essersi stemperati in quella stretta di mano.




Anche l’ordine del giorno era cambiato. Cosa fosse stato o non fosse stato, non ci è dato saperlo, ma era cambiato. Quello che all’origine era: “misure di difesa del territorio e dei cittadini dall’invasione degli extracomunitari: installazione di mille telecamere di ultima generazione con occhio a 360 gradi, era diventato stranamente “misure di accoglienza degli stranieri e rimozione di mille telecamere dalle piazze e dalle vie principali del paese perché violano la privacy. 
La discussione che ne seguì non fu proprio da fratelli di latte o da ramoscello d’ulivo, ma rispetto alle risse cui ci si era abituati sembrava che tutti fossero passati prima del Consiglio Municipale dal confessionale di Padre Perdono. La sinistra, che si era sempre battuta per le politiche di accoglienza, di fronte all’esproprio del suo più grande cavallo di battaglia da parte della destra, l’accoglienza appunto, ora argomentava che bisognava contingentare gli ingressi, espellere gli indesiderati, installare nuove telecamere perché i cittadini andavano difesi e tutelati da possibili atti di violenza da parte dei troppi stranieri che circolano sul territorio esercitando l’arbitrio e l’impostura.
Le schermaglie che ne erano scaturite e che minacciavano di degenerare in un corpo a corpo da tango argentino, si stemperarono tutte nella votazione che ebbe esito di parità: dieci voti la destra e dieci la sinistra.  A questo punto, visto che entrambi gli schieramenti sostenevano che la volontà popolare è sovrana, la cosa saggia da fare fu lasciare le cose così com’erano, e cioè che ognuno si arrangiasse e si regolasse in base ai propri convincimenti personali e politici se accogliere o respingere i migranti. In fondo, l’accoglienza o la non accoglienza, è soltanto un punto di vista che dipende da quale angolo guardi il problema, dicevano i più. 
Al secondo punto all’ordine del giorno c’era l’esproprio di un’area di cinquemila metri quadrati nel centro del paese per farci un centro sociale e di accoglienza. Anche su questo ordine del giorno le parti risultavano invertite. I paladini dell’inviolabilità e sacralità della proprietà privata ora sostenevano che si doveva procedere con l’esproprio perché in democrazia conta la volontà della maggioranza ed essa era stata chiara: esproprio. La sinistra, che nel corso del tempo aveva presentato più d’una interrogazione sull’argomento dicendo che bisognava passare ai fatti espropriando, ora invece sosteneva la sacralità della proprietà privata che nessuno, dicasi nessuno, ha il diritto di mettere in discussione.



Il roboante discorso del sindaco, dottor Carlo Privato, che solo la settimana prima aveva difeso a spada tratta la proprietà privata, dicendo che essa è inviolabile perché racchiude gocce di sudore che si sono sedimentate nel tempo, ora si diceva a favore dell’esproprio. Lo disse con un tale fervore che al segretario del partito popolo sovrano caddero in un solo colpo 12 denti, fra incisivi e molari.
Il terzo punto all’ordine del giorno era la costruzione del Ponte della Cuccagna, che avrebbe dovuto unire le due sponde delle regioni più estreme d’Italia divise soltanto da una striscia di mare larga pochi chilometri.
Pietro Converso, che da decenni guidava cortei di protesta contro la costruzione di un’opera inutile, di grande impatto ambientale, costosissima, gradita soprattutto alle mafie, e rischiosa per via dei terremoti e maremoti che in quell’area non sono proprio rari, sosteneva con argomentazioni articolate e precise che bisognava iniziare l’opera che per troppi anni era stata inutilmente avversata, perché sarebbe stata di grande giovamento per le economie delle due regioni meno sviluppate d’Italia. Anzi, sarebbe stato il volano del loro rilancio.
Alla fine della discussione in cui fautori e contrari non si erano risparmiate accuse, la votazione venne rinviata perché ci si accorse che mancava il parere dell’armocromista sulla scelta del colore in cui dovevano essere dipinte le campate dell’avveniristico ponte.



Fra le varie ed eventuali c’era “contributo a fondo perduto a favore di istituzioni private: scuole, asili, cliniche, centri sportivi, eccetera”. Era questo un punto che era stato sempre glissato per via delle grandi liti che scatenava fra i due schieramenti. La destra, da sempre favorevole al foraggiamento delle istituzioni private, ora sosteneva che compito dello Stato è quello di rafforzare e qualificare i servizi pubblici non certo quello di distrarre soldi a favore dei privati,  mentre quelli di sinistra, che in passato avevano fatto le barricate contro il finanziamento delle istituzioni private, sostenevano che in uno stato veramente democratico e garantista ognuno deve avere il diritto di potersi scegliere liberamente il servizio che più gli aggrada, sia esso privato o pubblico. La discussione non fu proprio pacifica per le accuse che i due schieramenti si scambiarono. Alla fine però fu trovata la sintesi e cioè, per principio, in uno paese laico e democratico lo Stato deve garantire il servizio di cui un cittadino ha bisogno, ma nello stesso tempo ognuno, proprio perché individuo e con esigenze personali diversificate, ha diritto di rivolgersi al privato senza che ci sia l’esborso di un centesimo.
Giovanni Peloso continuò a grattarsi la testa. Non sapeva se avesse sognato o se tutto quello che aveva visto e sentito era reale. Le carte erano state mischiate così bene che non era per niente semplice capire cos’è la destra e cos’è la sinistra oggi. Professarsi dell’uno o dell’atro schieramento sembra essere solo una questione umorale, dipendente da come ci si alzava la mattina e dalla qualità della caffeine che introitiamo con il primo caffè. In fondo, da un po’ di tempo la differenza fra destra e sinistra è stata ridotta a simboli esteriori che riguardano tanto l’abbigliamento quanto la scelta del locale o della discoteca dove passare la serata. Il paradosso è che lo stesso paio di scarpe di pseudomarca se comprato al mercato a prezzo stracciato è di sinistra, se comprato in un negozio alla moda a prezzo quintuplicato diventava di centro ma se comprato in una boutique di via Montenapoleone e dei Parioli a Roma, a prezzo più che decuplicato, è chiaramente di destra.
Giovanni finì di grattarsi la testa, poi commentò amaramente: “È proprio vero che più ci rubano gli occhi più ci affanniamo a cercare le ciglia.

UNA “STRANA COPPIA”  
di Luigi Mazzella
 



La strana coppia” (The odd couple), la divertente commedia di Neil Simon, portata sullo schermo da Gene Saks con due geni hollywooodiani della risata, Walter Matthau e Jack Lemmon, non c’entra proprio  nulla con  ciò che intendo raccontarvi oggi  di Ursula Von der Leyen e Antonio Tajani. Anche, anche se entrambi i predetti personaggi sono, sotto certi profili, un pochino strani, essi non sono una coppia. Naturalmente, i “ritratti” che l’opinione pubblica (nella quale mi includo) ne ha sono quelli che possono dedursi dalle descrizioni dei giornalisti. Ursula è “narrata”, almeno nelle parole dei suoi avversari politici,  come prepotente, aggressiva, prevaricante, invasiva, tendente a occupare spazi sempre più ampi rispetto a quelli di sua competenza. Antonio è rappresentato, invece, anche attraverso foto che lo riproducono con uno sguardo costantemente dimesso, come una persona conciliante, remissiva, usa a obbedir tacendo (come si diceva, un tempo,  dei carabinieri), refrattaria al comando e alle responsabilità, impacciata come uno scolaro al primo giorno di scuola. Può darsi che ciò che si racconta di loro non sia esatto se non addirittura falso.
E con i tempi di rancore diffuso oggi dominante non è improbabile che sia così: gli eventi recenti, però, susseguiti all’imposizione dei dazi da parte di Donald Trump sembrerebbero confermare la vox populi.
A quanto risulta, né l’una né l’altro hanno, ufficialmente, messo in dubbio il diritto degli Stati Uniti d’America di scegliere liberamente la propria politica fiscale, ammettendo che in tale diritto rientrasse con certezza quello di imporre dazi sui beni provenienti dall’estero nel momento del passaggio in dogana: con altrettali indubbi effetti sulla politica commerciale internazionale. La “strana coppia” si è trovata sul tavolo la questione su chi dovesse negoziare con gli Stati Uniti (Paese ricevente): se l’Unione Europea (secondo Ursula) o il Paese produttore ed esportatore del bene (secondo quanto suggerito al Ministro degli Esteri italiano e suo collega alla Vice Presidenza del Consiglio da Matteo Salvini e dalla Lega). L’uso della logica avrebbe favorito certamente una ragionevole soluzione del contrasto ed evitato a Tajani di prendere l’ennesima decisione contraria al suo partner di coalizione, che fa sghignazzare il Partito Democratico trasversale e transnazionale, perdente in America ma ancora forte e aggressivo in Europa. È noto, però, che la razionalità è latitante in Occidente (come dice il titolo del mio ultimo libro). E, nella diatriba, non si è voluto tener conto che è solo il Paese produttore ed esportatore e non l’Unione Europea nel suo insieme che riceverà un danno per l’eventuale calo nelle vendite causato dai dazi. Monsieur De La Palice (modernizzato in Lapalisse) avrebbe dedotto che è conseguentemente una esclusiva prerogativa del Paese produttore ed esportatore trattare con lo Stato che impone il dazio (al fine di  trattare per una riduzione eventuale della sua portata o altro).
Se, per esempio, viene in ballo il parmigiano reggiano è solo l’Italia che ha competenza per affrontare un problema che per altri Paesi europei deve restare una res inter alios acta. Così come sarebbe per l’Italia un’eventuale trattativa relativa al salmone, affumicato o non che sia.
Il remissivo e succube Tajani, chinando il capo di fronte alla pretesa di Ursula, ha ritenuto, invece, nell’ennesimo conflitto con Salvini, le buone ragioni della Commissaria Europea a ritenere il problema comerientrante nella politica commerciale dell’Unione. Ora è chiaro che tale politica attiene, invece, a mio avviso, a un campo ben diverso: quello di adottare normative valide all’interno dell’Unione per indirizzare uniformemente l’attività dei suoi membri e magari anche negoziare e concludere accordi internazionali purché validi e riguardanti unitariamente  tutti i Paesi membri. Nel caso in esame gli eventuali accordi riguarderebbero gli Stati Uniti e, di volta in volta, il singolo Paese produttore e sarebbero diversi e specifici per ognuno di essi. Non si tratterebbe, in altre parole, diadottare strategie (arti e scienze di operazioni) commerciali di natura diversa dalla linea comune europea che non può esservi, data la diversità delle merci), ma di trattative per contenere il male specifico (o preteso tale) relativo a un singolo e peculiare prodotto. Strano a dirsi, ma nessuno si è preoccupato di sondare l’orientamento degli Stati Uniti di Trump che in questi frangenti non sembrano nutrire particolare propensione a trattare con l’Unione Europea, ritenuta al servizio di Obama, Biden, CIA, Pentagono e via dicendo.

 

lunedì 7 aprile 2025

AL LUPO! AL LUPO!
di Angelo Gaccione
 

Riarmo e guerra

Qualcuna o qualcuno è in grado di fare una ricostruzione cronologica delle varie tappe da quando le caserme e le navi militari sono state aperte al pubblico? e il 4 novembre e il 2 giugno alla revisione delle liste di leva da parte dei Comuni passando per: l’ingresso dei militari nelle scuole superiori, le convenzioni fra difesa e Università, l’istituzione della mini naia, la partecipazione delle Università alle esercitazioni militari e la convenzione con l’Agesci? E magari tenerla in pari con le dichiarazioni dei vari generali?”. 


Sono interrogativi che si pone Angelo Gandolfi, un militante pacifista genovese che le ha postate nella chat della L.O.C. (Lega Obiettori di Coscienza). Un quadro allarmante, come si vede, atto a creare un clima di guerra e a coinvolgere in questo delirio di morte non solo le Università - che stanno dimostrando tutta la loro miseria morale ed intellettuale lasciando militarizzare il proprio ruolo di presidio di intelligenza critica, di legalità e di confronto pacifico fra i vari saperi per cui erano nate - ma di indottrinare, in questa corsa verso la fine collettiva, persino giovani scolaresche sprovvedute.


Marco Bertolini

Per quanto riguarda le parole di un generale, leggiamo un brano di quelle del generale di Corpo d’Armata Marco Bertolini che le aveva affidate a “Il Giornale d’Italia” il 19 marzo 2025: “Rendiamocene conto prima, soprattutto per il bene dei nostri figli e di chi verrà dopo di noi, perché dopo sarà troppo tardi. L’Unione Europea di Ventotene, di Spinelli e della Pace, non esiste più, se mai fosse esistita. È morta con il sostegno guerrafondaio dato all’Ucraina e con la guerra contro la Federazione Russa. È il Regno Unito che, dopo aver ripudiato l’Europa unita fuoriuscendone con un referendum, vuole ora mettersi a capo dei restanti Paesi europei per portarci tutti in guerra per realizzare il suo obiettivo storico, quello di distruggere la Russia per smembrarla in tanti stati vassalli e depredarne con il suo classico spirito colonialista le sue immense risorse”. Purtroppo il giornale che le aveva pubblicate le parole del generale, le ha fatte democraticamente sparire dal sito, e non si trovano più. Sicuramente per pressioni esterne perché non gradite agli organi governativi o ad altre gerarchie militari. Così funziona la democrazia mafiosa italiana, e per tale ormai dobbiamo ritenerla. Lo ripeto: democrazia mafiosa. E così va scritto sui muri.



In queste ultime settimane siamo stati bombardati dalla propaganda di guerra dei vertici statuali e governativi dell’intera Unione Europea capeggiata da quell’essere immondo che la guida, e a cui si sono sottomessi persino deputati donne e mamme. Gridano tutti al lupo! Al lupo! contro una fantomatica invasione russa e mentono spudoratamente credendo che noi ce le beviamo le fandonie di questa raccontatrice di minchiate dal quoziente intellettivo pari a quello della Picierno, personaggio che il Pd non trova ancora il coraggio di espellere. La stiamo generosamente pagando questa feccia europea, per portarci alla sua e nostra distruzione. E così che nascono le guerre. Si prepara il clima. Un idiota fa un’affermazione idiota; un altro idiota la fa propria e la ripete; altri idioti ancora - che la guerra non l’anno vista o fanno finta di non averla vista - si autoconvincono che sia vera e danno corpo e forza all’idiozia; per non essere da meno altri idioti si aggregano - vogliono a pieno titolo far parte del branco degli idioti - anche se un po’ di storia la conoscono e hanno anche una dose di buona cultura - essere parte degli idioti li rassicura. 



Non li spaventano 27 Stati e Governi criminali che si armano di tutto punto per prepararsi al diluvio che pure li inghiottirà - gli idioti - li ha già ammansiti il delirio di un’esaltata capo branco dell’Unione Europea che agitando fantasmi li sta portando al macello. Hanno già dimenticato la Germania super armata di prima della Seconda guerra mondiale; hanno dimenticato la peste nera che si era diffusa in Europa; e sarà la peste nera e il militarismo che provocheranno la Terza guerra mondiale; sarà proprio l’Europa a scatenarla come ha già scatenato le prime due. I giornali e le  televisioni che fanno da cassa di risonanza, che amplificano la voce del padrone, se fossero meno idioti di quanto sono, dovrebbero affrettarsi a pubblicare al più presto i loro eroici necrologi. Quando le prime bombe cadranno sulle splendide città europee, quando i centri politici e istituzionali saranno sventrati e i loro corpi evaporati, inceneriti assieme ai loro beni e privilegi, non ci sarà nessuno per vergare per loro i coccodrilli.


Esito della guerra nucleare

Ma c’è un modo per fermarli ora? Con i partiti e i movimenti sindacali europei che ci ritroviamo non è possibile. Su di loro non si può fare nessun affidamento: in tre anni di guerra non hanno promosso nemmeno un minuto di sciopero generale europeo. Ci vorrebbero i pugnali dei congiurati dell’antica Roma repubblicana e le rivoltelle dei patrioti del Risorgimento per far provare la voluttà della morte a capi di Stato e di Governo che della morte si sono innamorati. Oppure dovremmo convincere i più assatanati guerrafondai di Bruxelles a fare un esperimento empirico sul concetto di difesa con cui da ogni parte ci si riempie la bocca. 



Usare delle bombe nucleari tattiche - a danni limitati - sul perimetro delle loro case, con loro dentro. Naturalmente dopo avere evacuato in una zona sicura della città tutti gli abitanti contrari alla guerra. 



I vertici guerrafondai si trasformerebbero in atomi invisibili, gli idioti che gli danno retta cambierebbero immediatamente parere, e del perverso concetto di difesa - in epoca nucleare - passerebbe a tutti la voglia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

UN ATTENTATO ALLA COSTITUZIONE
di Salvatore Borsellino


Salvatore Borsellino

È stato approvato dal consiglio dei ministri quell’attentato ai principi della nostra Costituzione noto come “Decreto Sicurezza”. È una cosa di una gravità estrema, è un decreto e quindi entra immediatamente in vigore dopo la sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, si esclude anche il Parlamento, anche se dovrà da questo essere approvato entro sessanta giorni, e purtroppo mi risulta che sia stato già controfirmato dal Presidente della Repubblica. Il presidente del Senato, al quale cieravamo rivolti, ha rifiutato di ascoltare l’associazione dei familiari delle vittime che dell’operato dei servizi sono state le prime vittime e purtroppo anche il successivo appello alla presidenza della repubblica è rimasto senza risposta. Quello che fino ad oggi hanno fatto questi servizi, come l’istigazione e la partecipazione alle stragi, sarà oggi coperto dalla legge.
Dovranno risponderne solo al capo del governo. È peggio dell’Ovra e del ventennio fascista. Questo stesso presidente del consiglio, a cui viene data la facoltà anche di autorizzare componenti dei servizi a guidare associazioni terroristiche e commettere omicidi, ha detto che il provvedimento è stato emanato come decreto e non discusso in parlamento per questioni di urgenza e per rispondere alle aspettative dei cittadini. Ma quei cittadini che sono stati colpiti non solo come cittadini di questo stato ma anche nei propri affetti, i rappresentati delle associazioni dei familiari di vittime di stragi e di assassini non sono stati neppure ascoltati, nonostante avessero chiesto di esserlo, sia dalle commissioni parlamentari sia dal Presidente della Repubblica.
Mi vergogno di essere cittadino di uno stato guidato da un sistema di potere che si sta rivelando peggiore del regime fascista.
Non ne ho le prove e nessuna sentenza lo ha finora mai affermato con sicurezza, ma sono fermamente convinto che questi servizi a cui viene oggi data, per legge, la facoltà di delinquere e di uccidere, sono quelli che hanno partecipato alla preparazione e all’esecuzione delle stragi di Via D’Amelio e di Capaci, e non soltanto di quelle. E credo anche che mio fratello, negli ultimi giorni della sua vita se ne fosse reso conto e per questo sia stata affrettata l’esecuzione di quella strage e sia stata sottratta la sua agenda.

 

 

CONTRO IL PARTITO DELLA GUERRA


 
Una marea umana contro la follia della guerra voluta dai burocrati dell’Unione Europea e dalle forze reazionarie di casa nostra.
 
La manifestazione di sabato, 5 aprile, convocata dal Movimento 5Stelle per esprimere la contrarietà al piano di riarmo europeo come concepito dal progetto Von Der Layen e affermare la necessità della pace dall’Europa al Medio Oriente e in tutto il mondo ha dimostrato la straordinaria opportunità che il movimento pacifista sta offrendo sul terreno dell’unità delle forze di sinistra, progressiste, costituzionali. Punto di partenza per una alternativa non semplicemente elettorale ma proiettata verso quell’idea di società diversa che è necessario mettere in campo in una dimensione unitariamente sovranazionale. A questo punto è necessaria una capacità di visione politica che non sempre la dirigenza della sinistra italiana è in grado di esprimere. La pace come riferimento di un salto di qualità nel pensiero e nell’azione politica.
Franco Astengo
 

BESTEMMIE DI STATO   
di Romano Rinaldi




Sentendo la definizione di “Liberation Day” usurpata dall'inquilino della Casa Bianca nel giorno dell’imposizione di dazi sugli scambi commerciali col resto del mondo (tranne la Federazione Russa), coi noti e nefasti risultati sulle economie di tutti i Paesi coinvolti (non solo i passivi, anzi…), mi è venuto spontaneo considerare quanto sia fuori luogo qualsiasi analogia con quella giornata che in Italia ci apprestiamo a ricordare, nell’ottantesima ricorrenza, il prossimo 25 Aprile.
Si tratta, a mio parere, di una effettiva bestemmia. A maggior ragione in quanto quella vera Liberazione (dal Nazifascismo), fu conseguita dal nostro Paese e dal resto della tanto vituperata Europa, grazie al sacrificio di centinaia di migliaia di soldati Americani, di cui circa 90.000 morti per liberare l’Italia, a fronte di meno di un decimo dei combattenti delle forze di liberazione italiane, rimasti sul terreno. Si tratta dunque della peggior profanazione di una memoria che dovrebbe essere ritenuta sacra da coloro che si autodefiniscono patrioti e che sono gli effettivi custodi della nazione americana e delle sue Istituzioni (tutt’ora liberal-democratiche).
Non molto tempo fa, la portavoce del ministero degli esteri del Cremlino definì blasfema la similitudine fatta dal nostro Presidente della Repubblica tra le trattative di pace in Ucraina, intraprese dalle due superpotenze e la “soluzione” della questione dei Sudeti nella Conferenza di Monaco del 1938.
(https://libertariam.blogspot.com/2025/02/blasfemia-sui-generis-di-romano-rinaldi.html?m=1). Similitudine peraltro più che legittima da un punto di vista prettamente storico. Ora, di fronte alla definizione di Liberation Day del giorno più nefasto per le Borse di tutto il mondo che arriva dal Paese culla del capitalismo, non si tratta più soltanto di blasfemia ma di una vera e propria bestemmia di Stato. Evidentemente la cosiddetta verità alternativa, di cui fanno uso sistematico le autocrazie populiste della destra internazionale, sta soverchiando di gran lunga qualsiasi verità storica, civile, economica e persino religiosa. Evidentemente, gli autocrati si sentono custodi ipso facto della parola (il verbo) e del suo significato come in un nuovo inizio della creazione. Credo che presto qualcuno dovrà mettere mano alle camicie di forza.

 


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