FUORI DAL CORO
di
Sergio Azzolari
Armani,
moda e modi.
Prendo
spunto dalla morte di un sarto a cui il “Corriere della Sera” e “la Repubblica”
hanno dedicato letteralmente decine di pagine, forse di più che per la morte di
un tale Francesco (non le ho contate, vado a memoria) per non citare il
tributo di tutte le reti televisive. In questa idolatria si condensa il
leitmotiv dell’attuale pensiero dominante. Il denaro, lo status sociale e l’anelito
identitario che diventa per transustanziazione esaltazione del nazionalismo. Ora,
che il Giorgio nazionale abbia avuto capacità sia imprenditoriali che
artistiche è, per i valori correnti, fuori discussione, ma colgo una dissonanza
che nessuno evidenzia perché, ahimè, demodé.
Chi sono i fruitori ovvero gli
estimatori e soprattutto compratori del suo estro? Certamente anche la
casalinga di Voghera aspira ad un suo vestito firmato, se non da sera perché
non saprebbe quando sfoggiarlo, ma almeno dei jeans o un paio di occhiali e
probabilmente solo per far colpo sui vicini. Il cliente target di un certo
mondo, non è la casalinga o l’impiegata, basta vedere foto, filmati e le
pubblicità. L’esportazione del Made in Italy ha fatto un gran bene sia a lui
che alle casse dell’erario, pertanto, non c’è da stupirsi dell’elogio
sperticato delle rappresentanze democraticamente rivolte all’eroe del momento. Quello
su cui tutti sorvolano, per borghese educazione, è il gap esagerato tra valore
reale e valore commerciale e l’uso della bassa manovalanza che concretizza il
genio creativo nella reificazione della merce nelle vetrine di lusso. Ebbene
sì, sono questi i due fattori che rendono possibile l’accumulo della ricchezza,
e la parolaccia impronunciabile che li descrive è: plusvalore.
Concordo con chi definisce molta
di questa produzione, artistica, perché un’opera d’arte deve descrivere,
raccontare l’epoca in cui è realizzata, e certamente la forma degli abiti, i
materiali e colori con cui sono realizzati è propria dell’epoca in cui sono
stati pensati e sfoggiati e ne definisce lo status sociale se non di
appartenenza, sicuramente di aspirazione.
Ma la produzione artistica ha due
aspetti la forma e il significato o meglio, la scatola e il contenuto. E da
sempre, non dovrebbero esserci dubbi, prevale la scatola, soprattutto oggi
quando la maggior parte delle persone che visita i musei è colpito
dall'estetica, la bravura dell’artista, senza porsi minimamente domande sul significato,
spesso non manifesto anzi nascosto, di ciò che guarda, senza vedere. In altre
parole è l’effimero, l’appariscente che prevale.
E cosa c’è di più effimero oltre
la moda, se non lo sport? E con questo arriviamo allo spirito identitario, oggi
diventato orgogliosamente patriottismo se non sciovinismo. Basta che uno
prevalga in qualche sport (bravo lui) e immediatamente la nazione di
appartenenza lo pone orgogliosamente a proprio modello di rappresentanza,
ovviamente, per poi miseramente defilarsi e glissare sugli insuccessi di altri
connazionali. Statisticamente le sconfitte sono molto più numerose delle
vittorie. I giocatori sia singoli che in squadra, rappresentano solo se stessi non
il territorio nel quale, per caso, sono nati e cresciuti, (oggi poi nemmeno
vale la nascita). Dire “abbiamo vinto” parlando al plurale maiestatis, invece
del più logico, “hanno vinto” (loro, non io) porta inevitabilmente ad aprire
una a riflessione sulla psicologia di massa, ma rischierebbe di far perdere la
finalità di questa breve esternazione.