UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

venerdì 17 gennaio 2025

TRA ARENDT E LUXEMBURG   
di Franco Astengo



L’ottimismo della spontaneità.
 
Simona Forti e Gabriele Parrino hanno curato per Raffaello Cortina editore: La rivoluzione ungherese e l’imperialismo totalitario: tre articoli sulla rivoluzione ungherese del '56 che, come fa notare il curatore americano del volume, Arendt avrebbe voluto dedicare a Rosa Luxemburg, una dedica che fu cancellata da Hans Rossner curatore della prima edizione in tedesco.
Arendt difesa la sua scelta ritenendo che Rosa Luxemburg non fosse stata né socialista, né comunista ma soltanto una persona che difese la giustizia, la libertà e la rivoluzione  in quanto uniche possibilità per una nuova forma di società e di Stato.
Gli articoli raccolti appunto in volume arrivano adesso in Italia e la conclusione del primo saggio (pubblicato in Germania nel 1958) giustifica ampiamente l'interesse che oggi può suscitare questo avvenimento editoriale: "..La rivoluzione ha colto tutti di sorpresa; nemmeno gli eventi in Polonia l'avevano preparata. E' avvenuta senza alcuna preparazione, nessuno l'aveva prevista, nè chi ha combattuto e sofferto, nè chi guardava svolgersi gli avvenimenti dall'esterno con furiosa impotenza, né chi è arrivato con la forza armata per sopprimerla. In quelle circostanze è accaduto qualcosa su cui nessuno credeva più , ammesso che qualcuno ci avesse mai creduto. Certamente non ci credevano i comunisti, gli anticomunisti a ancor meno tutti coloro che si riempivano la bocca di cliché altisonanti sui doveri del popolo di ribellarsi contro il terrore totalitario senza sapere o preoccuparsi del prezzo che altre persone avrebbero dovuto pagare per le loro frasi vuote. Se è mai esistita qualcosa come la "rivoluzione spontanea" di Rosa Luxemburg abbiamo avuto il privilegio di esserne testimoni: un'improvvisa insurrezione di un intero popolo  con nessun altro obiettivo se non il bene della libertà, senza il caos demoralizzante di una sconfitta militare che la precedesse, senza tecniche da colpo di Stato , senza un apparato di cospiratori e di rivoluzionari di professione e addirittura senza guida di un partito..."


Hannah Arendt

Arendt contrasta così radicalmente la tesi di Boris Nicolaievsky che concludendo sei articoli pubblicati dal settimanale newyorkese  "The New Leader" tra il 29 luglio e il 2 settembre 1957 sosteneva che "..il rapporto delle Nazioni Unite sulla rivoluzione ungherese ha stabilito  che lo scoppio della violenza a Budapest  è stato il risultato di una deliberata provocazione".
Il nostro interesse , seguendo la tesi di Arendt, si può cogliere in un punto del dibattito che si sollevò in quel frangente nella sinistra italiana e la maturazione in essa, in particolare nel PCI, di un avvio di consolidamento della linea della "via italiana al socialismo" mentre il PSI prendeva la mosse per una direzione (quella del governo) che appariva già matura nelle modificazioni profonde avvenute nella società italiana sulla via della ricostruzione post-bellica e dalla esigenze di cambiamento nella strategia internazionale dettate- comunque - dall'insorgere del post-stalinismo.


Rosa Luxaemburg

Se è vera la tesi della "spontaneità luxemburghiana" sostenuta da Arendt allora la risposta della "via italiana al socialismo" andrebbe rivisitata e rivalutata perché sicuramente rappresentò un punto in avanti nonostante gli sconquassi del momento: in questo caso però prende ancora più quota l'ipotesi che la vera occasione perduta non fu Budapest '56 (come ci si affrettò a proclamare all'inizio degli anni'90) ma fu Praga '68 , tragedia capitata in un contesto politico radicalmente diverso di evoluzione e proposta da parte del PCC e quindi "politicamente preparata": in quell'occasione, invece, la sinistra italiana e segnatamente il PCI si divise su questioni prevalentemente interne invece di comprendere appieno il valore dell'opportunità che si stava presentando sul terreno della costruzione di una alternativa di sistema attraverso una precisa dichiarazione di "irriformabilità" del sistema.
Oggi a molti sembrerà inutile recuperare questa discussione ma la lettura del testo in questione rimane di grande interesse proprio nel momento in cui sorgono i grandi interrogativi di uno spostamento radicale di equilibri in favore di un nuovo paradigma rappresentato dalla connessione tra conservazione, populismo, tecnocrazia che potrebbe avere come sbocco un rinnovo del totalitarismo al riguardo del quale non potrebbe essere sufficiente una risposta spontaneista anche se il dato di una sollevazione etica prima ancora che politica non dovrebbe essere sottovalutato.
Il tema quindi non è quello di un impossibile raccordo storico ma quello del come può essere ritrovata una strada, come fu allora a sinistra in Italia, per recuperare la via di una politica capace di comprendere i mutamenti e raccogliere la spontaneità di una opposizione che sorga - come Arendt definisce l'identità di Luxemburg - nella difesa della giustizia e della libertà intesa come espressioni rivoluzionarie: e non si tratta di semplici reminiscenze novecentesche.

A VOLTERRA. SPAZIO PIETRO GORI    



    
       

IL PENSIERO DEL GIORNO



Il bilancio delle persone oneste è in perdita”.
Laura Margherita Volante

giovedì 16 gennaio 2025

UN PAESE STANCO
di Franco Astengo



Un’Italia stanca in un’Europa stanca, dove non si ravvede più la competizione (anche aspra) tra classi e gruppi sociali. Sembrano tutti adagiati sullo “status quo” e sulla voglia di “legge e ordine”. Un’Italia ancor più che un’Europa nella quale non si riesce più a seguire il flusso ascensionale dei diversi settori sociali posti in rapporto diretto con l’esercizio della politica: con la “politica” intesa come politics che diventerebbe inutile quale attività intellettuale. Basterà il “problem solving” quotidiano limitato a soddisfare l’egoismo di ciascuno. addirittura in una visione ridotta del “corporativo”. Ne deriva un esercizio dell’azione politica ormai quasi definitivamente ridotta a lotta per il potere. Abbiamo trascorso stagioni nel corso delle quali l’azione politica si era allineata al concetto di “fine della storia” limitando la propria esistenza all’idea di “sbloccare il sistema” e in seguito di torcere la formula elettorale in direzione plebiscitaria eliminando la possibilità di scegliere la rappresentanza e imponendo il personalismo ormai ridotto all’apparire mediatico. Una riduzione di senso dei valori fondativi anche della stessa democrazia liberale portata ad un appuntamento con una trasformazione in “democratura” dove alla fine dovrebbero sempre vincere i fautori della conservazione delle vecchie leggi del “Dio, Patria e Famiglia”.



In sostanza emergerebbero ancora le vecchie leggi del “familismo amorale” che propugnano un rovesciamento culturale proponendo una nuova “egemonia”. Una presunta egemonia che alla fine non rappresenterebbe altro che l’antico rovesciamento delle classi in favore di una borghesia rinchiusa nei propri fortini della ricchezza materiale. Proprio la ricchezza come accumulazione del potere intesa quale unico fattore di valutazione sociale e di accesso nella formazione dei gruppi dirigenti in economia, in politica, nella cultura. Un’Italia ancor più che un’Europa che segue il flusso che viene dall’alto capace di proporre tecnologie socialmente anestetizzanti e fautrici di un individualismo ormai più che "proprietario" addirittura "feroce": un individualismo "feroce" su cui si base l'ottimismo dell'apparenza che la destra propaga quale fallace narrazione di un eterno presente. Un'Italia nella quale non si riesce più a trasformare battaglie che dovrebbero essere di grande spessore collettivo in fattori mobilitanti di proposta  dell'agenda politica: ad esempio mi riferisco alla vicenda di Ramy, a quella delle pacifiste portate in questura a Brescia, allo sciopero dei metalmeccanici per il contratto nazionale ormai ridotto a episodio quasi di "nicchia" come del resto lotte sindacali come quella della GKN o al disinteresse generale che circonda l' ulteriore privatizzazione del settore siderurgico di cui i media si occupano soltanto stando dalla parte del "padrone" e ancora allo scivolamento verso una sorta di egemonia del militare nella produzione industriale oltre alla costante ricerca della sottomissione della magistratura nelle sue diversa articolazioni.



Penso al tentativo chiaramente in atto di introdurre elementi anti-costituzionali da stato di polizia, in un quadro di dispregio non solo della legalità ma anche delle basi di convivenza civile (pensiamo al ddl sicurezza): non è la prima volta che questo accade nella storia del dopoguerra. Ci provò già la Democrazia Cristiana negli anni '40- '50 propugnando un "mondo libero" versus "l'impero del male" e avendo come bersaglio la classe operaia, i contadini e il Partito Comunista ma la reazione fu ben più ampia rispetto ai soggetti colpiti e fu sostenuta dagli intellettuali più moderni, da uno spostamento del ceto medio dall'ancora delle posizioni reazionarie, da fermenti ecclesiali fino al Concilio giovanneo: fu la reazione di un'intera generazione successiva a quella che aveva fatto la Resistenza mettendo in campo (luglio '60) i ragazzi con le "magliette a strisce". Il cammino verso il centro-sinistra fu poi costellato di insidie e dal "tintinnar di sciabole" facendo capire a Pietro Nenni che forse "non era arrivato il momento di una maggiore libertà". Il Berlinguer del compromesso storico e il Moro della "terza fase" si videro di fronte il rapimento e l'uccisione del politico democristiano in un momento in cui proprio quell'episodio evidenziò una faglia nel sistema dei partiti che ne avrebbe concorso alla fine con la trasformazione del sistema all'insegna dell'idea luhmanniana del "taglio del rapporto tra politica e società", una frattura di cui questa destra rappresenta l'esemplificazione ben oltre i suoi nostalgici. e rivendicati pregressi. Non è sufficiente il costante richiamo esercitato dalla massima magistratura della Repubblica.


La CGIL ha recentemente invocato una "rivolta sociale" spiegandone coerentemente i termini di riferimento ma l'impressione (anzi più di una impressione) è che l'appello sia rimasto sostanzialmente isolato perché è diversa ormai la concezione del rapporto tra agire politico e agire sociale anche nelle stesse forze che si definiscono ancora come progressiste e costituzionali. L'Italia è stanca perché l'azione politica pare impossibile, riservata esclusivamente al gioco del potere e la percezione della disuguaglianza e dell'ingiustizia sembra dar luogo soltanto alle due estremità della protesta o della ricerca delle ragioni di accomodamento personale (di cui si colgono segnali nell'intellettualità e nel mondo dei "media"): di mezzo a questi due poli non ci stanno più l'organizzazione, la militanza, e quella che un tempo si chiamava "vigilanza democratica". Soprattutto non esiste più la capacità di mediazione e di strutturazione dell'opinione pubblica in consenso progettuale un tempo esercitata dal complesso dei corpi intermedi (che - appunto - su quella base fornivano il personale della classe dirigente complessivamente intesa). Mi sia consentita un'annotazione finale riferita al piano politico immediato: se davvero la Corte Costituzionale darà via libera ai referendum sull'autonomia differenziata e sul lavoro forse sarà l'ultima occasione per dare forma politica a una visione di disagio sociale con una proposta di alternativa posta sul piano istituzionale. Sarebbe bene che le forze politiche curassero di non sprecarla.

 

IL PENSIERO DEL GIORNO



Gli esseri umani non hanno pace senza fare del male...”.
Laura Margherita Volante

A MORTARA. VOCI DALLA SIRIA   



    
       

ALLA FONDAZIONE FELTRINELLI      



 COMUNICATO STAMPA
 
VERSO IL GIORNO DELLA MEMORIA. Ricordare al tempo di Gaza
 
Mai indifferenti – voci ebraiche per la pace è una rete nata l’anno scorso all’avvicinarsi del Giorno della Memoria, pochi mesi dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre e la successiva reazione israeliana a Gaza. Allora come oggi la nostra rete vuole riaffermare il profondo dissenso dalla politica suicida del governo israeliano.
Nell’incontro che si terrà il 19 gennaio 2025 alla Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, vogliamo dare voce e visibilità all’opposizione israeliana e a quelle associazioni israelopalestinesi che lottano quotidianamente per la pace; e ai gruppi attivi in Italia che contrastano il silenzio delle istituzioni sui massacri in corso.
Oltre a Mai indifferenti, che introdurrà l'incontro, si presenteranno LƏA – Laboratorio ebraico antirazzista e la Fondazione Gariwo.
In collegamento da Israele avremo la testimonianza di Eszter Koranyi,  israeliana, e Rana Salman, palestinese, dell’associazione Combattenti per la pace.
Interverranno i giornalisti Meron Rapoport (anche lui da Israele) e Anna Momigliano che ci parleranno della situazione attuale e della percezione degli eventi di chi vive in Israele.
Stefano Levi Della Torre, Valentina Pisanty, David Calef, Gad Lerner, Gadi Schoenheit e Widad Tamimi approfondiranno alcuni temi quali uso e abuso del termine antisemitismo, memoria, dilemmi dell’ebraismo nel XXI secolo e dibattito in ambito ebraico.
Elio De Capitani, attore e regista, leggerà alcuni passaggi di antichi testi ebraici.
 
Milano, 19 gennaio 2025, 15-18
Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
Viale Pasubio 5 Milano
 
Contatti: maiindifferenti6@gmail.com
Renata Sarfati 339 6187487
Jardena Tedeschi 349 7504726
 
www.maiindifferenti.it  

AL GOGOL’ OSTELLO  

         



AL CE. C.A.M. DI MARCONIA 

       



mercoledì 15 gennaio 2025

ANNA E SILA
di Zaccaria Gallo



Mi perdonerete se inizio a scrivere questi miei pensieri segnalando che, dopo aver per anni, in tutti i modi, celebrato la Giornata della Memoria, confesso di trovarmi quest’anno in estrema difficoltà. Anche perché è facile non essere compreso completamente e frainteso. Il 27 gennaio 2025 ricorre l’ottantesimo anniversario della Liberazione del campo di concentramento di Auschwitz. La “soluzione finale”, architettata e tradotta dal nazifascismo con implacabile crudeltà, è stata una delle pagine più buie dell’intera storia umana e monito per l’avvenire, affinché mai più l’odio per il proprio fratello prevalesse sul rispetto della pacifica convivenza. Ma è data che è diventata scomoda da ricordare, per quanto sta avvenendo in Israele e nella striscia di Gaza. Passato è presente, anche loro, sono andati in conflitto. Di fronte all’offensiva portata avanti, in maniera spietata e senza remore, dal governo di Tel Aviv, siamo spinti a fare alcune considerazioni sul significato di questo 27 gennaio. L’esercito israeliano si è reso colpevole di attacchi nei confronti di ospedali (accusati di ospitare basi di Hamas) e della interruzione della fornitura elettrica e idrica. Anche la Corte Penale Internazionale dell’Aia sta indagando sulle vicende in corso, individuando veri crimini contro l’umanità. Allora vi racconto una storia. Quella che mi è stata detta da una coppia di amici tornati in questi giorni dalle vacanze natalizie, passate ad Amsterdam, e vissuta profondamente nella loro anima. 



La casa di Anna Frank è al 263 di Prinsengracht ed è diventato un luogo imperdibile di Amsterdam. Il primo settembre 1939 la Germania nazista invade la Polonia. I sei anni successivi fino al 2 settembre 1945 diventano una delle pagine più nere della storia umana: sterminare tutti gli ebrei. Un assassinio premeditato. Di cui anche noi italiani siamo stati complici. Anna proviene da una famiglia di ebrei tedeschi residente a Francoforte che, con l’avvento del nazismo nel 1933, fugge per rifugiarsi ad Amsterdam, vivendo serenamente fino a maggio 1940, cioè fino a quando la Germania invade i Paesi Bassi. Da quel momento, la vita per gli ebrei diventa insostenibile. Il 5 luglio 1942 Margot, sorella di Anna, riceve una telefonata per andare a lavorare nella Germania nazista. I genitori non si fidano e decidono di nascondersi. La mattina seguente, Otto Frank lascia tracce false che possano testimoniare che la famiglia è fuggita all’estero. Otto Frank aveva preparato un nascondiglio nella casa retrostante l’edificio in cui aveva sede la ditta in Prinsengracht 263, seguendo un suggerimento del suo collaboratore Kleiman. La famiglia Frank si rifugia in un appartamento nascosto, creato al di sopra del magazzino e degli uffici delle due aziende dei Frank, che producono addensanti alimentari e spezie. Le spezie devono rimanere al buio; così le finestre sono solo dipinte e, con questo escamotage, si rende invisibile un alloggio segreto. I rifugiati sopravvivranno grazie all'aiuto degli impiegati dell’azienda, che acquistano per loro il cibo al mercato nero. Il 12 giugno 1942 Anna aveva ricevuto in regalo un quaderno a quadretti bianco e rosso che chiamerà Kitty. Iniziò da allora ad annotare in olandese tutto quello che accadeva giorno per giorno e a corrispondere idealmente con le protagoniste di una popolare serie di romanzi per ragazze (Yoop ter Heul) e della scrittrice Cissy Van Marxveldt, di cui lei e le amiche sono accanite lettrici. Non solo. Compare l’emozione per il primo ciclo mestruale e quella del primo amore. I miei amici mi descrivono la casa di Anna Frank. Al primo piano, due piccole camere con bagno e toilette; al di sopra, una camera grande e una più piccola, infine tramite una scala si arriva al sottotetto. La porta che conduce a questo retrocasa, di quasi cinquanta metri quadrati, è collegata con una ripida scala all’ingresso degli uffici e viene nascosta da una libreria girevole. La mattina del 6 luglio la famiglia Frank lascia l’appartamento di Merwedeplein dove alloggiava prima. Dopo una settimana arriva anche la famiglia Van Peltz e, nel novembre del ’42, si aggiunge il dentista Fritz Pfeffer. Intanto i nazisti sono a caccia di ebrei: treni partono verso che campi di sterminio. 



Oggi le stanze sono vuote, ma l’atmosfera è rimasta invariata; il pavimento in legno scricchiola ancora sotto ogni passo. C’è la stanza dove dormivano i genitori e Margot e la cameretta di Anna che dovette condividere con Frtitz e che fu causa di frequenti discussioni. Sulle pareti, foto e citazioni dal diario e alcuni oggetti personali. Qui Anna ha vissuto nascosta con la sua famiglia dal 6 luglio 1942 al 4 agosto 1944. Oggi quando decidiamo di camminare lungo la via che porta all’abitazione, a qualunque ora del giorno, si scorge una lunghissima fila di persone, in attesa di poter visitare la casa, diventata un museo che racchiude non solo una storia personale ma una storia di tutta l’umanità. Scivolare ancora oggi attraverso la libreria girevole merita il viaggio ad Amsterdam, come anche ripercorrere, con emozione, i passi di quella straordinaria scrittrice che fu Anna. Solo quando  olta si è all’interno dell’alloggio, si comprende quanto le condizioni siano state dure per i clandestini: quel trascorrere ogni giornata in silenzio, evitando di usare la toilette e di far scorrere l’acqua, condividere in stretto contatto gli uni con gli altri spazi angusti, poco areati, senza mai vedere la luce del sole e riuscire, nonostante tutto, a scrivere in un diario la segreta storia di una giovane anima, alla quale sarà tolto il diritto di esistere. La coppia dei due i miei amici ha concluso la sua visita. 



C’è un velo di tristezza nelle loro espressioni, ma i due non immaginano quello che sta per accadere. Per rinfrancarsi sono entrati in uno dei caffè che si trovano sulla strada e si sono accomodati a uno dei tavolini. C’è un grande televisore su una delle pareti, ed ecco comparire sullo schermo l’immagine di un uomo, sporco di polvere e sangue, che porta in avanti, verso di loro, un lenzuolo a forma di involto bianco, sorretto tra le braccia. Nell’involto c’è il corpo senza vita di Sila. Una parola che significa “nostalgia”. Sì, nostalgia della propria casa, che non c’è più e non potrà mai diventare un museo nel quale andare a rendersi conto di dove sarebbe vissuta quella bambina, nostalgia dei giochi che non farà mai, della scuola dove non andrà mai, di un diario che non avrà mai sul quale, come per Anna, raccontare la sua brevissima storia. Con i genitori era arrivata ad al-Mawasi, una zona creata dall’esercito israeliano a sud di Gaza e denominata “zona sicura”. 



Sila è morta di freddo! Fuori dalla tenda, in cui si trovava, c’erano nove gradi sotto zero. A nulla è servita la tela di nylon in cui i genitori l’avevano avvolta, a nulla il calore di una copertina e del corpo di Narriman sua madre. Quando suo padre Mahmoud al-Fasih l’ha portata in ospedale, Sila era già morta. Era la notte tra il 24 e il 25 dicembre. Natale! Sulla coppia di sposi, seduta al caffè ad Amsterdam, nel guardare quelle immagini di un padre che tende loro il corpo della piccola figlia cala, nel cuore e nella mente, un gelo mortale. E in noi la domanda: servirà ancora il 27 gennaio celebrare la Giornata della Memoria? 



Dobbiamo chiedercelo, ed è necessario, più che mai adesso. Solo vedendo Anna e Sila tenersi per mano, senza alcuna distinzione di luoghi e popoli, forse potrebbe ancora esserci un’ennesima occasione per riflettere quanto l’odio tra gli esseri umani possa portare a conseguenze così mostruose e a non essere, la nostra, una umanità disumana. 

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