UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

mercoledì 6 novembre 2024

MORIRE PER L’INNO?
di Luigi Mazzella


Michele Novaro

Quando in un Paese che vive allo “stato coloniale” e che ha forze politiche sia di destra, sia di sinistra e sia di centro che seguono sempre e solo i suggerimenti (rectius: le imposizioni) di uno Stato egemone, la necessità di litigare per continuare a distinguersi diventa una necessità assoluta. Non c’è motto sul “maiora premunt” che tenga. È ben per questo, quindi, che con il fiato sospeso gli Italiani di fronte alla diatriba sorta sul loro inno nazionale si chiedono ansiosi quali posizioni assumeranno le due “pulzelle” nazionali (di destra e di sinistra) e se quella di Bruxelles le lascerà “concionare” senza intervenire. La questione è nata perché, a quanto scrive Aldo A. Mola su “il Giornale” Marco Bucci, il neo eletto Presidente della Regione Liguria, ottenne da sindaco che la sua città fosse elevata “a città dell’Inno Nazionale”. Oggi, però, il riconoscimento, a quanto sembra molto ambito, è contestato dal Sindaco di Carcare che ha costituito la consueta “commissione di studio”, composta da dotte e qualificate personalità della cultura, in preparazione di un convegno ad hoc. Massimo Castoldi, filologo e critico letterario, intanto, ha scritto addirittura un libro: “L’Italia s’è desta. L’inno di Mameli: un canto di pace”. E la disputa è divampata: innanzitutto sulla sua nascita. V’è, infatti, chi ha rilevato che non esiste alcun manoscritto inviato da Mameli a Michele Novaro, autore della musica, perché una lucerna maldestramente gestita lo bruciò e poi sui risultati emersi dalle ricerche filologiche sul testo, con i relativi dubbi se possa definirsi canto di pace o canto di guerra e se il suo patriottismo sia “laicamente” mazziniano o giobertiano con i richiami impliciti alla guerra giusta dei neo-guelfi. Ritengo che entrare nella disputa con proprie interpretazioni sia un fuor d’opera; esse aggiungerebbero solo altre irrazionalità, desunte da cose ignote o difformemente raccontate, a quella già insita nell’esistenza stessa della querelle. Nei suoi termini essenziali le cose sembrano stare oggettivamente così: l’inno negli stadi sportivi è l’unico che, con la Marsigliese, suscita (a mio avviso per merito della musica di Novaro) entusiasmi e “sveglia” dal sonno indotto da altri inni nazionali. Le parole di Mameli (o solo sue a anche di altri, secondo il parere di molti e dotti studiosi) appaiono al giorno d’oggi roboanti se non ridicole. “Son pronti alla morte” in guerra (in Ucraina per giunta) solo gli Italiani che votano per i partiti dalla Meloni alla Schlein ed è probabile che gli astensionisti, sempre più numerosi, non condividano tali istinti suicidi. “Dov’è la Vittoria?” È una domanda giusta ma da non farsi cantando, per un Paese che le guerre sistematicamente le perde. Francamente penso che “dell’elmo di Scipio” gli Italiani si cingerebbero la testa solo a Carnevale. Anche i nostri connazionali che giurino di far libero il suolo patrio: Nizza, Savoia, Corsica- fatal (nostra sponda di romanità come faceva cantare il Duce), Istria, Pola Fiume, Zara, metà Gorizia sembrano pochi persino tra le fila della pulzella della Garbatella. Illusorie appaiono le istanze italiche alle unioni (sia per la Patria, sia per Dio) e ingenua la domanda: “uniti… chi vincer ci può?”. Ancora: che “i bimbi d’Italia si chiaman Balilla” potrebbe un domani piacere alla Meloni ma la Schlein insorgerebbe furibonda. Sulle penne perdute dell’Aquila d’Austria e su altre amenità guerresche, polacche e cosacche, è meglio stendere un velo pietoso. L’Italia di oggi è quella che è, ma quella di ieri spiega bene la nostra condizione attuale. La domanda è: anche a non voler credere a Mussolini che l’Italia sia un Paese di Poeti… è così difficile trovare un “paroliere” di buon mestiere che metta in bocca ai nostri atleti negli Stadi parole più adeguate ai tempi, rispettando le note della musica di Novaro? Et de hoc satis.   
 
*
Caro Mazzella,
il tuo scritto mi ha fatto ricordare che nel Natale del 2012, a seguito di una accesa polemica, avevo messo mano al nostro Inno nazionale riscrivendolo di sana pianta. Naturalmente non avrei mai potuto immaginare che un decennio dopo Governo, Partiti, Stampa e la quasi totalità di quella che viene definita “intellettualità pensante” si sarebbero convertiti in accesi guerrafondai. Avevo pubblicato poi nel 2015, in occasione del 2 Giugno, il testo in prima pagina su “Odissea” facendolo precedere dalla nota che segue. [A. Gaccione] 

  
 
Goffredo Mameli
 
SORELLE D’ITALIA

Il nuovo Inno Nazionale per un’Italia diversa e migliore
di Angelo Gaccione
 
Cari lettori, care lettrici,
per questo 2 Giugno, festa della Repubblica, ho deciso di regalarvi il rifacimento del nostro “Inno Nazionale”, sperando che vi piaccia o che almeno lo troviate di qualche interesse. Mi ero accinto nell’impresa di rifare il testo di Goffredo Mameli Dei Mannelli (questo era il suo nome intero), nel Dicembre del 2012, come potete vedere dalla data sotto il testo, dopo una serie di polemiche, a volte esagerate, a volte astiose, dimenticando che era stato scritto in una temperie di esaltazione patriottica (nell’Autunno del 1847) e da un giovane poeta genovese di appena vent’anni, e che morirà a 21, a Roma, l’anno successivo.
Sicuramente oggi l’Italia è cambiata, profondamente cambiata, ed il testo di quel lontano Inno appare ai nostri occhi e alla nostra sensibilità, oggettivamente retorico, ridondante, e forse inadatto alla situazione socio-politica che viviamo. Io ne ho riscritto il testo, quello che avete sotto gli occhi, e mi piacerebbe che a intonarlo pubblicamente, fossero i Modena City Ramblers alla loro maniera, o un coro di ragazze e ragazzi. Chissà, magari qualcuno viaggiando nello spazio liquido della Rete ci farà un pensierino. Ma se anche lo cantate voi (ora non potete trovare la scusa che il testo è difficile, retorico o guerrafondaio) senza dovervi sentire in imbarazzo, va bene lo stesso. Mi sono deciso a renderlo pubblico dopo la sortita del presidente del Consiglio Matteo Renzi alla inaugurazione dell’Expo. Tanto rumore per la sostituzione della parola morte con la parola vita. Io l’ho rifatto tutto: se vi scandalizzate peggio per voi.
 
Inno Nazionale
(Riscritto da Angelo Gaccione)
 
Sorelle d’Italia
vestitevi a festa
con fiori e ghirlande
cingete la testa
la nostra bandiera
in alto levate
il nostro Paese
la guerra
mai più farà.
 
Fratelli d’Italia,
alzate la testa,
per ladri e corrotti
nessuna pietà.
 
Il vero nemico
è dentro i confini
briganti e assassini
futuro non c’è.
 
Coi popoli uniti
di tutta la terra
in pace e amicizia
l’Italia sarà
in pace e amicizia
l’Italia sarà
Sì!
 
Il nazionalismo
sarà cancellato
cannoni e confini
li si abolirà.
 
Mai più una madre
piagata e perduta
un figlio caduto
pianger dovrà.
 
Che l’unica gloria
sia la sua cultura
per la sua bellezza
amata sarà.
 
Restiam solidali
mai privi di onore
un popolo è grande
per la sua pietà.
 
Un popolo è degno
se nelle sventure
gentile e accogliente
si dimostrerà
se sa conservare
la propria pietà
Sì!
 
[Milano, Natale 2012]
(Pubblicato sulla prima pagina di “Odissea” in Rete il 1° Giugno 2015) www.libertariam.blogspot.it

 

martedì 5 novembre 2024

BERLINGUER OLTRE IL FILM 
di Franco Astengo

 
Oggi sulle colonne de “il Manifesto” Guido Liguori affronta il tema della critica al film che il regista Segre ha dedicato alla figura di Enrico Berlinguer affrontando il racconto di una parte del percorso politico del segretario del PCI: dal "golpe" cileno (scaturigine della proposta di "compromesso storico" almeno nella vulgata corrente, perché le cose stavano in maniera più complessa) fino alla solidarietà nazionale e al rapimento Moro (vero punto di crocevia e di svolta nella vicenda politica italiana, nel corso del quale si innestò la faglia - decisiva - tra "fermezza" e "trattativa"). Liguori fa bene a ricordare come questa scelta temporale risulti monca rispetto all'ultima parte della segreteria Berlinguer: quella dell'alternativa, del rapporto con i movimenti, della "questione morale" (fase caratterizzata, più modestamente, dalla confluenza del Pdup nel PCI dopo l'accordo elettorale del 1983: confluenza è bene ricordarlo avvenuta però dopo la scomparsa di Berlinguer e nel corso della segreteria Natta). Soprattutto - ed è questo il punto - Liguori sottolinea un elemento: al di là delle scelte specifiche assunte di volta in volta e - appunto - di volta in volta opinabili restano due questioni:
1) la tenace osservanza degli ideali e dei valori socialisti in una visione di superamento della società capitalista (al momento della sua morte Pintor titolò " il Manifesto": è morto un buon comunista);
2) il modo di far politica dei comunisti (intesi in senso lato, oltre la stretta dimensione di partito): il loro atteggiamento di fondo, su un protagonismo - scrive Liguori - : "anche dei massimi dirigenti sorretto da ideali e non da interessi personali, espressione di un noi collettivo e non di una ipertrofia dell'io".
A questi due punti se ne dovrebbero aggiungere altri due per formare una piattaforma di discussione non semplicisticamente rivolta al passato:
1) L’idea di una funzione “pedagogica” del Partito, quale soggetto di acculturazione di massa in una fase nella quale la politica si collocava al vertice delle attività umane e il PCI era stato in grado di elaborare un’originale teoria delle sovrastrutture considerando il marxismo una concezione del mondo rivolta a cogliere le possibilità storicamente date nella prassi sociale. In queste emerse un vero e proprio dato di “concretezza” nell’azione politica dei comunisti;
2) La complessità dell’aggregazione sociale che nel Partito Comunista si era realizzata avendo al centro la funzione della classe operaia. Funzione della classe operaia che consentiva lo stringimento di una rete di relazioni umane tale da far considerare il partito una vera e propria comunità militante. Una funzione di aggregazione sociale all’interno della quale il concreto dello scontro politico si sviluppava certamente su base ideologica ma considerando questa quale punto di partenza dell’indispensabile analisi delle contraddizioni sociali via via operanti sulla carne viva della realtà umana.
Erano queste le basi sulle quali si sviluppava il tema della “diversità” del PCI all’interno del sistema dei partiti: si realizzava così una politica delle alleanze vista in funzione di una visione strategica dell’evoluzione politica e non di una mera accelerazione politicista delle dinamiche sociali, economiche, culturali, come avviene oggi in un quadro drammatico di arretramento culturale.

UNA MANIFESTAZIONE DA VETRINA
di Pierpaolo Calonaci


 
La sopravvivenza della specie umana dipende dalla sua riscoperta come forza sociale. La speranza è il contrario dell’attesa di qualcosa che è stato promesso come diritto. Il tempo di crisi, contrariamente al pensiero comune, è tempo di speranza, perché apre la strada alla possibilità di cambiamenti radicali, la cui necessità, mai come oggi, diviene evidente. Non con l’elaborazione a tavolino di nuovi progetti futuribili, che sono sempre in balìa di una infinità di fattori imprevedibili, ma con lo spirito del bravo contadino che semina curando le condizioni per un buon raccolto, senza però la certezza che tutto andrà bene. Speranza, amicizia, sorpresa sono le basi di una vita che oggi abbia senso.
Ivan Illich
 
Sabato 26 ottobre si è svolta a Firenze, e in tutta Italia, una marcia contro la guerra, per la pace. Molto spesso, inconsciamente o meno, s'incespica nella comodità di sovrapporre la lotta ai fattori di produzione della guerra anteponendo le ragioni della pace come se di per sé questa fosse un antidoto che magicamente faccia diventare tutti buoni, perlopiù in modo indolore.
Propendo ancora una volta a ragionare su cosa sia il termine pace, ponendo perciò fattori e proposizioni che ne costituiranno i pilastri d' inveramento (o meno) nella realtà politica e culturale della vita quotidiana.
Il problema della pace non può essere disgiunto dalla costruzione, in senso dialogico, di un sano conflitto. 



Ma questo non è l'oggetto di questa amara considerazione riguardante la marcia. È ovvio che una marcia non possa essere il luogo dove porre determinate condizioni teorico/pratiche di cui ogni riflessione sulla pace dovrebbe consistere; la piazza semmai è il luogo finale, in senso transitivo, attraverso cui le idee, il pensiero, i desideri, le problematiche, le proposte, i punti fermi di un problema quale la pace è trovano la loro espressione pubblica. Nate dal quotidiano lavorìo, quando esiste, trovano sbocco, come il delta di un fiume, nel mare della coscienza sociale.
Firenze ha cessato di essere città per la pace! Questo slogan non solo è anacronistico, è profondamente fittizio e irreale! Al di là della trazione conservatrice che Firenze oramai da lustri impiega per presentarsi al mondo quale vestale di giustizia sociale - trazione che la marcia ha voluto mantenere - elenco alcuni punti per cui Firenze è, a essere ottimisti, un bordello (sempre splendido per carità vista la sua storia ma bordello, ovvero oltraggio a se stessa).
Per Palazzo Vecchio, la piazza è oramai luogo di controllo. Si pensi a Piazza della Signoria sulla quale pende il Daspo per quanti vogliano ritrovarsi o organizzare qualche manifestazione. L'eufemismo politico è quello di garantire alla piazza ordine e pulizia considerando la centralità che essa ha storicamente avuto nella vita fiorentina e che adesso è corrosa da orde di turisti.



Gli immigrati sono rinchiusi al parco delle Cascine, non solo lì sia chiaro, dove spacciano, non avendo altra possibilità di guadagnarsi la vita con mezzi umani...la legge vieta loro di vivere umanamente! La popolazione carceraria è in incremento costante di suicidio; quando non lo è, è sotto antipsicotici, vessazioni di varia natura o veri e propri atti di tortura (la cronaca ne è piena). Anche le condizioni materiali di vita dentro un carcere sono tali.
Le famiglie sfrattate o in via di sfratto sono trattate alla stregua di criminali (di recente il Prefetto di Firenze ha continuato a criminalizzare queste famiglie senza che la controparte politica lo faccia tacere con politiche della casa capaci di risolvere il bisogno umano di serenità, protezione e dignità che ogni casa dovrebbe assolvere). Il centro storico è una meretrice: basta pagare e ci si appropria dello spazio pubblico. L'università è un laurieficio. Per inciso, davanti al macello dei palestinesi e degli ucraini, e di tutti i popoli vessati e uccisi in nome di osceni nazionalismi religiosi o meno, non solo rimane in silenzio ma si aggrappa all'immagine consolatoria quale formatrice di pensiero critico. Mentre è un crogiolo di lauti finanziamenti europei finalizzati ad inculcare l'idea che studiare e pensiero debbano poi produrre profitto o carriera (e schiena molle). La cementificazione massiccia (non ultimo il tanto osannato Viola Park dell'imprenditore Commisso che ha asfaltato alcuni siti archeologici etruschi come i campi coltivati a grano) e il cambio di destinazione d'uso di alcuni patrimoni architettonici per rendere Firenze appetibile a capitali stranieri l'hanno trasformata nel luogo per eccellenza degli interessi della finanza internazionale.
Le condizioni di sfruttamento e precarizzazione crescente della classe lavoratrice. È l’esempio della Gkn di Campi Bisenzio che oramai da due anni, e nonostante sindacato e lavoratori abbiano prodotto un piano industriale fuori dalle logiche neoliberiste e dei fondi d'investimento stranieri, vive col cappio al collo del licenziamento definitivo (che avverrà).



La pedissequa politica cittadina, in questo caso, secondo la mia sensibilità, troppo sostenuta da una chiesa fiorentina (che altrove ha mantenuto obiettività e rigore critico), non ha avuto altro spirito, poverissimo perlopiù di creatività, che ripetere il mantra della Firenze “inclusiva e di pace”, mostrando, questo sì che è stato chiaro, di mantenere alta la propria autoreferenzialità.
Insieme all'amico Marco, con cui condivido la passione radiofonica di Nuova Resistenza (così si chiama la nostra redazione), per scampare a questo irretimento, abbiamo deciso di rivolgerci, intervistandoli e registrandone le risposte, ad alcuni sindaci che dai vari comuni toscani si sono riversati in testa al corteo. Ebbene, a tre di loro (per la precisione, a quello di San Casciano in Val di Pesa, di Bagno a Ripoli e di Barberino del Mugello) abbiamo rivolto queste domande che abbiamo registrate e di cui faremo un podcast. La prima è stata: se la bandiera palestinese debba cominciare a sventolare dal loro comune. Se il bisogno di pace (queste le loro parole) non fosse maturo per smettere di genuflettersi alle logiche terroristiche degli stati egemoni. E se non fosse per caso giunto il momento di smettere con ogni retorica della pace che serva a mantenere l'ordine dominante. Qui anticipo solo che le risposte di quanti appartengono alle istituzioni sono nutrite di istituzionalizzazione (e non è un paradosso). Le parole della gente, che nessuno oramai più ascolta né intervista, sono altre (basterebbe, se non sono anacronistico, tornare ad ascoltare quello straordinario strumento d'ispezione popolare che fu Comizi d'amore di Pasolini...poi facciamo una comparazione col presente per riflettere su cosa sia diventata la prassi politica). 



La pace resta e rimarrà un miraggio, un oggetto siderale, uno striscione (anche bello) da esporre, se non diventa un ponte su cui s'incontrano, confliggendo molto spesso, il desiderio intellettuale e spirituale dell'individuo quale impegno a cui consacrarsi, il bisogno di una collettività che non nasconda le proprie contraddizioni, promuovendo incessantemente la sempre instabile correlazione tra il desidero individuale e quello comune, e prassi politica che ne raccolga le istanze e ne tessa il manufatto.
Qual è stato il ruolo del popolo nella marcia? Quale attenzione è stata riservata alla sua forza sociale? Che idea ha di se stesso quale coscienza sociale?
Così anche le accalorate parole del rappresentante del Movimento nonviolento hanno sortito il medesimo effetto dei panni ad asciugare al vento; dimenticando (?) che il bucato lo hanno deciso altri, e così pure il sapone, il programma di lavaggio ecc.
La marcia infine si è svolta lungo un insolito percorso che ha permesso ai manifestanti di attraversare le strade del centro storico (se la manifestazione avesse avuto altro colore politico o un altro tema avremmo camminato molto meno, godendo di minore visibilità). Il lungo tragitto è servito ai signori della pace a mostrare ai passanti e ai turisti la merce esposta.
Eppure nonostante tutto era fondamentale esserci in piazza. Ecco la cosa bella e buona. Per affermare in silenzio, forse, quello che la pace oggi pare abbia dimenticato o seppellito: osare è dire no, e ciò equivale ad amare se stessi quanto gli altri, ovvero seminare. A coltivare il coraggio e la speranza come in esergo splendidamente affermate.

 

ALLA CASCINA L’INTERNO
Con le poesie di Antonio Ricci


Cliccare sulla locandina per ingrandire


lunedì 4 novembre 2024

ALLUVIONI: COM’È ATTREZZATA FIRENZE?


 
Dovesse risuccedere, andrebbe meglio o peggio?
 
Gallerie e stazione sotterranea Alta velocità senza piano di emergenza: rifugi, casse di espansione o trappole per topi?
 
“Dalla fine del XII secolo al 1966 si sono susseguite sicuramente, a Firenze, ben 42 piene e inondazioni”, ci informa il prof. Leonardo Rombai, docente emerito di Geografia storica all’Università di Firenze. “Di portata diversa dal punto di vista dei danni arrecati. In primo luogo, eccezionali i veri e propri diluvi del 1333, del 1557 e ultimo quello tragico del 1966, probabilmente superiore a tutti. Rovinose furono tuttavia anche le piene del 1171, del 1289, de1 1547, del 1589, del 1740, del 1758 e del 1844, che giunsero ad inondare buona parte della città di Firenze”.
Non più tardi di trentadue anni fa, poi, hanno tracimato al Romito e in piazza Dalmazia anche il Mugnone e il Terzolle, nella cui area di esondazione sono ubicati per l’appunto sezioni dei tunnel in corso di scavo per l’Alta velocità ferroviaria e tutta la nuova stazione sotterranea Foster.
Cosa direbbero ai familiari delle vittime di un’inondazione che dovesse colpire senza adeguate difese i tunnel dell’Alta velocità e la stazione sotterranea coloro che hanno ‘dimenticato’ - lo attesta un preciso documento ufficiale - di consegnare il progetto al Comando dei Vigili del Fuoco, e di studiare e concordare con loro le misure da adottare, incluso il piano di emergenza prescritto dal decreto ministeriale ‘Sicurezza nelle gallerie ferroviarie’ in vigore ormai da 19 anni? 


Emilia Romagna sett. 2024

Un decreto, il DM 28/10/2005 (Allegato 2, punto 2.3.1:Le autorità locali competenti devono approntare congiuntamente un piano di emergenza sulla scorta degli scenari di incidente ipotizzati che tenga conto delle indicazioni generali e specifiche al fine di definire, per i vari scenari, compiti e responsabilità dei vari enti coinvolti nelle operazioni di soccorso. Il piano di emergenza deve essere proposto fin dalla fase di progettazione”), messo a punto dopo la temeraria scommessa del tunnel monotubo TAV fra Firenze e Bologna, tuttora privo per 60 km della galleria parallela di soccorso. Anche nella progettazione e nell’approvazione della tratta appenninica Alta velocità fra Vaglia e Bologna, infatti, il contributo dei Vigili del Fuoco venne elegantemente eluso…



Come giustificherebbero la loro disattenzione istituzionale il prefetto e il sindaco di Firenze, il presidente della giunta toscana, i consiglieri comunali e regionali, i ministri competenti e persino l’Autorità Nazionale Anticorruzione, tutti informati dei fatti, ma apparentemente silenti? Risale al 4 agosto 2023 la prima delle ripetute notifiche Pec alla Regione della nota formale del Comando provinciale di Firenze, in cui si dà conto dell’inosservanza del decreto sicurezza per i quasi 13 km di gallerie in costruzione. Ma ancora in queste ore Eugenio Giani - leggiamo - vanta: “Abbiamo fatto molto, ma dobbiamo fare ancora di più, anche per la prevenzione e la riduzione del rischio”. Sul progetto TAV, in ogni caso, il ‘fare’ porta almeno quindici mesi di ritardo. A danno, potenzialmente, e rischiosissimamente, di una città patrimonio dell’umanità, dei suoi abitanti e dei suoi visitatori da tutto il mondo. È diventato dunque possibile e legale costruire a Firenze ignorando la legge?
Alla cerimonia di avvio dei lavori della seconda galleria del passante AV, martedì 5 novembre, è stata invitata dalle Ferrovie anche Idra, che dallo scorso febbraio ha dovuto sospendere incontri e interlocuzioni con la componente toscana di RFI. L’associazione fiorentina non respinge tuttavia l’invito, che, come ha scritto ringraziando, “interpretiamo come desiderio - da parte di Ferrovie - di ripristinare quel rapporto pluriennale, utile e costruttivo di collaborazione che la nostra Associazione si è trovata costretta a interrompere”


Alluvione in Sicilia

Al riguardo, Idra ricorda i contenuti della lettera Pec inviata il 7 ottobre scorso direttamente all’amministratore delegato e direttore generale di Rete Ferroviaria Italiana ing. Gianpiero Strisciuglio. E nel merito, aggiunge: “La questione delle modalità con cui si realizza il passante sotterraneo AV/AC di Firenze non è per noi materia indegna della massima attenzione sotto il profilo della qualità e dell’attendibilità del progetto, dell’accuratezza del piano di cantierizzazione, della salvaguardia della sicurezza di un territorio particolarmente fragile come la piana alluvionale fiorentina attraversata dal fiume Arno, ‘torrentaccio rovinosissimo’, e  da un fitto reticolo di fossi e torrenti superficiali e tombati”.



In conclusione, 58 anni dopo quel 4 novembre 1966, “non è dunque un punto di mera accademia - sottolinea l’associazione - la premura che chiediamo di manifestare in rapporto alle criticità segnalate e acclarate, perché possa esercitarsi al riguardo e con urgenza il rigore necessario in termini di verifica, controllo e interventi correttivi. Non occorre scomodare il caso tragico di Valencia per considerare con forte preoccupazione l’impatto che eventi già occorsi frequentemente in passato in riva d’Arno, ma anche di Mugnone e di Terzolle, suscettibili di ripresentarsi in futuro con carica distruttiva maggiore, potrebbe determinare su un’opera non adeguatamente tutelata sotto il profilo della prevenzione in materia di sicurezza idraulica e della capacità di risposta all’emergenza in una città cara al mondo, patrimonio collettivo comune di storia, cultura e arte”.


Valencia (Spagna)

Se davvero le Ferrovie intendono riaprire una finestra di rapporto concreto e trasparente con la cittadinanza, come l’invito alla cerimonia sembra voler attestare, si aggiungeranno a tutte le domande fin qui inevase tanti altri punti da chiarire e da capire. Per esempio:
a che punto è il procedimento ministeriale necessario a validare il cambio in corsa richiesto da RFI per l’aggiunta di calce alle terre di scavo destinate a Cavriglia?
come cambia il crono-programna dell’opera visto che - apprendiamo - la prima fresa si ferma, diversamente dal programma annunciato, alle soglie della Fortezza da Basso in attesa che la raggiunga la seconda talpa?
quanto si dovrà attendere prima di sapere come si intende ovviare al danno che la nuova stazione provocherà  niente meno che ai passeggeri con origine o destinazione a Firenze? impietosa e circostanziata è infatti la diagnosi ministeriale costi-benefici (pag. 56): “La posizione della nuova stazione ha le seguenti conseguenze: a) trovandosi a circa 1 km da SMN, comporta un corrispondente aggravio di tempi e costi di accesso per i destinati al centro, oltre che un prevedibile cambio di modo (da piedi a TPL); b) tutte le connessioni tra treni AV su Belfiore e altri treni non AV (quindi REG e IC) su SMN, sono perse o comportano un aggravio di tempo”?
che significato dobbiamo attribuire - in questa stagione nefasta di massacri, missili, bombe, droni, provocazioni e ritorsioni sanguinose fra Stati - all’alleanza ‘Military Mobility’ che RFI ha stretto con Leonardo Spa, il primo produttore di armi nell’Unione Europea, il secondo in Europa, il 13° nel mondo (SIPRI)?

CEMENTO SU CEMENTO



Parco Piazza d’Armi Come ti tutelo il territorio dal dissesto idrogeologico.
 
Care amiche e amici di Piazza d'Armi, nel ringraziare tutti e tutte coloro che ci hanno fornito la loro mail durante la Sagra di Baggio vorremmo mettervi al corrente della situazione attuale della Piazza d'Armi, luogo su cui, dal sorgere della nostra Associazione Parco piazza d'Armi Le Giardiniere, indirizziamo i nostri sforzi per renderlo accessibile e fruibile dalla cittadinanza e il più possibile sottratto alle logiche speculative della rendita finanziaria e immobiliare. Come saprete la Piazza d'Armi e i relativi magazzini (ora abbattuti, salvo 2 tutelati dalla Sovrintendenza) sono in carico al fondo Invimit Sgr, di proprietà del Ministero delle Finanze che ha recentemente predisposto un progetto di sviluppo, denominato Virgilio, che comporta una massiccia edificazione sulla parte ovest dell'area magazzini. In virtù della nostra azione e di altre numerose associazioni della zona la Piazza d'Armi è stata tutelata dal Mibact nell'ottobre 2019 con un vincolo che prescrive il divieto totale di edificazione e impone l'obbligo di conservazione a verde dell'area di 31 ettari. (salvo una porzione di 1,6 ettari, il bosco dell'Averla), già inserita nel PGT attuale come parco urbano, e la possibilità di riedificazione sull'area ex magazzini con il limite delle altezze precedenti su 5 ettari, lasciando invece altezze libere sui restanti 3 ettari. 



Questo comporterebbe la distruzione del bosco dell'Averla e l 'innalzamento di 7 torri di 18 piani limitrofe alle attuali residenze militari (site tra la via Cardinal Tosi e la Via Olivieri) con un relativo indice di edificazione altissimo, circa il 2%, senza precedenti a Milano! Come potete ben immaginare una valanga di cemento che snaturerebbe completamente il contorno residenziale, nonché l'habitat naturale del parco della Piazza d'Armi. Sul fronte cittadino parteciperemo alla iniziativa "Milano attiva" lanciata dall'Assessora alla Partecipazione Gaia Romani e faremo pervenire al Comune, quando si apriranno le consultazioni, le nostre osservazioni al nuovo PGT. Vi ricordiamo che è in vendita su Amazon il fumetto La Piazza d'Armi, un'avventura meravigliosa,  scritto in collaborazione con i fumettisti Alessandro Aroffu, Paola Loi e Nanni Mattei.  



La nostra Associazione fa parte della Rete dei Comitati della città metropolitana milanese di cui potete seguire le iniziative su:  

www.facebook.com/ReteComitatiMilanesi.
Periodicamente vi terremo informati delle nostre attività e vi sollecitiamo a interagire con noi con i vostri commenti, riflessioni, proposte.
Le Giardiniere

 

PALAZZO MARINO IN MUSICA  
Il talento rivelato


Emmanuel Coppey
 
Domenica 10 Novembre 2024, ore 11.00
 
Sala Alessi – Palazzo Marino
Piazza della Scala 2, Milano.
 
La XIII edizione di Palazzo Marino in Musica, dal titolo Viaggio sonoro nell’invisibile, indaga il potere trasformativo della musica in grado di connetterci con gli archetipi umani più profondi, al di là del tempo e dello spazio. Il sesto e ultimo appuntamento della rassegna è in collaborazione con la seconda edizione del Premio Internazionale “Antonio Mormone“, organizzato dalla Società dei Concerti, e porta uno dei suoi semifinalisti di grande talento: il venticinquenne violinista francese Emmanuel Coppey che esegue musiche di Kurtag (“Game signs and messages“ e “In nomine“), Bach (Sonata n. 3 in do maggiore per violino BWV 1005), Bartòk (Sonata per violino BB124 e Tempo di Ciaccona), Ysaÿe (Sonata n. 3 in re minore op. 27  “Ballade”).

Emmanuel Coppey è nato nel 1999, dal 2022 è artista della City Music Foundation, artista in residenza alla Queen Elisabeth Music Chapel e membro dell'Ensemble Modern Academy di Francoforte e dei Solisti Contemporanei di Londra. Come solista, ha collaborato con Rachel Podger, Alexei Ogrintchouk, Guy van Waas e Christopher Warren-Green, ed è apparso sulla televisione nazionale belga durante il Concerto Reale di Natale, eseguendo "Le Quattro Stagioni" di Vivaldi. Affermato musicista da camera, ha partecipato ai principali festival europei. Il suo repertorio spazia dal barocco alla musica contemporanea e comprende tutte le Sonate e Partite di Bach, con cui ha vinto il concorso Bach Barbash 2023. Si è diplomato alla Royal Academy of Music di Londra e al Conservatorio di Parigi, studiando con Philippe Graffin e Svetlin Roussev.
Emmanuel è stato sostenuto dalla Royal Academy of Music, dall'Adami, dalla Fondation de la Vocation e dalla Fondation Banque Populaire.
Suona un violino Andrea Guarneri, prestato dalla Collezione Guttman.
I biglietti d’ingresso per il concerto sono gratuiti con prenotazione: a partire da giovedì 7 novembre alle ore 9.30 è possibile prenotarli online sul sito www.palazzomarinoinmusica.it oppure ritirare quelli cartacei disponibili presso la biglietteria delle Gallerie d’Italia - Milano ingresso di via Manzoni 10.
 
La rassegna Palazzo Marino in Musica è realizzata in collaborazione con la Presidenza del Consiglio Comunale ed è organizzata da EquiVoci Musicali.
Le Istituzioni coinvolte nel 2024 come partner sono Comune di Milano, MM spa, la Centrale dell’Acqua di Milano, Aquaflor e il Conservatorio G. Verdi di Milano. 
La rassegna è sostenuta da Intesa Sanpaolo. Sponsor tecnico Fazioli.
 
Palazzo Marino in Musica
Stagione 2024, XIII Edizione 
Viaggio sonoro nell’invisibile 
Sala Alessi - Palazzo Marino
 
Direzione Artistica: Davide Santi e Rachel O’Brien
Organizzazione: EquiVoci Musicali
Social Media Manager: Gledis Gjuzi
Ufficio Stampa: Andrea Zaniboni
 
Tel. 349 8523022 | ufficiostampa@palazzomarinoinmusica.it 
www.palazzomarinoinmusica.it
Facebook, Instagram, YouTube: Palazzo Marino in Musica

 

domenica 3 novembre 2024

MI AVETE VOTATA? E ORA TAGLIO TUTTO!



In verità tutto no, la spesa militare per la guerra e per la morte non la taglio, spenderemo 13 miliardi ogni anno. Fra tre anni, quando sarà finito il mio mandato, ne avremo speso in tutto quasi 40. Vi taglio soprattutto la Sanita e gli ospedali, così continuerete ad aspettare un anno e più per una visita medica, per un esame, per un intervento chirurgico: se vi va bene. Arricchiremo la sanità privata e le loro strutture, così se avete soldi vi curate, altrimenti si cureranno solo i ricchi. Come me, che da quando sono entrata in politica me la spasso alla grande. E metto una elemosina per il dissesto idro-geologico e la cura del territorio, appena 1 miliardo e 800 milioni, così quando sarete alluvionati come è successo a Valencia, creperete come topi.
Firmato: il capo dei patrioti di Fratelli d’Italia

CAVALIERI DEL LAVORO



I nuovi cavalieri del lavoro sono stati nominati anche quest’anno. Come per gli altri anni precedenti di operai non ce n’è nemmeno uno. Nemmeno uno di quelli che rischiano la vita per guadagnarsi il pane. Non è stato fatto cavaliere chi cadendo da una impalcatura si è miracolosamente salvato. Si sperava almeno per un morto sul lavoro, Cavaliere alla memoria. Niente. Niente neppure fra i Vigili del Fuoco, i minatori, gli intossicati dell’Ilva, i licenziati, i cassintegrati; fra i dannati della terra che raccolgono frutta e verdura sui campi del lavoro nero italiano, vessati dai caporali e pagati pochi centesimi all’ora. Niente neppure fra quanti si sono presi la silicosi in miniera e contratto malattie professionali. Niente per netturbini, badanti, facchini degli ortomercati, infermieri dei Pronto Soccorso, turnisti e per quanti svolgono lavori pericolosi. Nessun cavaliere del lavoro fra i contadini, gli operai, gli insegnanti, i giornalisti minacciati di morte e via enumerando. Nessuna cavaliera del lavoro fra le mamme che allevano figli e tengono in piedi la baracca senza ricevere un centesimo dallo Stato, nessuno fra i tanti volontari impegnati a portare aiuti a lire zero, nessuno fra gli uomini di quella chiesa umile e povera che cerca di togliere dalle grinfie della criminalità e dalla droga i ragazzini, fra gli operai dei cantieri, di quelli che curano le fogne e svolgono i lavori più umili e faticosi. Niente per gli autisti dei mezzi pubblici che si svegliano alle 4 del mattino, niente per i ferrovieri, i garzoni di bottega, le giovani dei Call Center, i ricercatori malpagati, e niente e niente e niente per i tanti, per i più, che tirano la carretta della Nazione. Cavalieri del lavoro solo chi il lavoro non sa neppure cosa sia e che troviamo spesso sulla cronaca nera dei giornali. Solo per loro che il lavoro lo sfruttano, e per i figli dei potenti sistemati nei posti migliori senza troppa fatica. Per loro che cavalcano al sicuro senza infortunio e senza rischio. Avanti Presidente, avanti, falli salire in groppa questi nobili Cavalieri; gli altri crepino pure di lavoro, se ne hanno uno.

 

 

 TESTE D’UOVO
di Luigi Mazzella
 


Purtroppo, i razionalisti  devono ammettere che la cultura idealistica, platonica, post platonica e tedesca di fine Ottocento,  in venti secoli ha reso bruciato il  terreno intorno a sé. E ciò, dopo avere fatto piazza pulita della vera filosofia, quella monistica, concentrata sull’unica realtà esistente e conoscibile perché priva di aggiunte fantasiose. Essa ha costretto gli abitanti dell’Occidente ad abbandonare il terreno della vera speculazione dell’intelletto che prima di duemila anni fa era  meravigliosamente fertile. Oggi, a processo compiuto, l’Occidente ritiene “maestri del pensiero” i transfughi di ideologie totalitarie (maturate, quindi, lontane da ogni raziocinio) che farfugliano (a ecatombi ideologiche, dette “rivoluzionarie”, finalmente finite) di “post modenità”, di  “società liquida e solida” di “rifiuti umani” et similia. L’idealismo, nella sua ultima versione teutonica, ha distrutto persino l’empirismo inglese, ultimo, timido faro di luce di un’intelligenza che, però, nell’Occidente medio orientalizzato, andava già  progressivamente spegnendosi. La politica (come filosofia della pratica) ne è stata la vittima più preclara. In un groviglio divenuto inestricabile di astrazioni illogiche e di creduti assolutismi, pretesi come gli unici veritieri, è divenuto difficile capire quanto vi sia di religioso o di filosofico ora nella individuazione dei popoli eletti a dirigere il mondo ora nell’azione diretta a rendere tutti uguali gli abitanti del Pianeta. In realtà, il pout-pourrì di pretese “verità” (senza necessità di riprova), che si è realizzato dopo anni di scontri feroci, consente solo agli Statunitensi, sotto la guida cogente del potere finanziario (prevalentemente ebraico ma anche cristiano e con sotterranea intesa con quello islamico dei petrol dollari)  di utilizzare i vari ingredienti  in modo diverso a seconda delle circostanze: essere di destra estrema (con il consenso delle lobbies produttive ed economiche a tendenza fascista) per assecondare la propria crescente  voluptas imperialistica; suggerire misure pauperistiche mutuate dalla politica di sinistra quando si tratta di tenere a bada il popolo-bue (ovviamente, non solo il proprio ma anche quello dei Paesi egemonizzati in modo para-coloniale). In questi ultimi, poi, il cocktail di recente è stato così bene amalgamato che è difficile capire ormai quanto vi sia di destra e quanto di sinistra in ogni forza politica: le differenze nelle proposte sono solo nominali e minimali (il bisogno, ormai radicatosi nell’animo degli Occidentali, di continuare a odiarsi nonostante le sopite se non del tutto scomparse diversità programmatiche fa resuscitare vecchi rancori e i comunisti e i fascisti devono inevitabilmente ritenersi “vetero” e “post”). In realtà tutti partiti politici dei Paesi colonizzati in maniera “postmoderna” (per dirla con Zygmunt Bauman) vogliono acquisire meriti sul campo agli occhi dello zio Sam che, in verità, si fida  di essi solo fino a un certo punto e salvo prova contraria: il vero partito filostatunitense per così dire “a prova di bomba” è costituito  dalla Massoneria legata al mondo giudaico e dall’organizzazione della Chiesa cattolica dipendente dalla Curia Romana e dallo IOR. Queste due potenti “strutture”, fortemente gerarchizzate, sorreggono, di norma, i partiti sostenitori delle misure pauperistiche, elaborate Oltreoceano dal Partito Democratico per evitare crescite economiche fuori dall’area anglo americana, ma hanno in ogni “Colonia” un gruppo di teste d’uovo che svolge il ruolo insostituibile dell’ “agente provocatore”, stimolando i “sinistrorsi” a soddisfare la massa e aiutando a raccogliere gli eventuali scontenti in una forza di riserva (preferenzialmente denominata Movimento) progressista (all’uopo ed a comando) e in modo falso (ma sufficiente a ingannare) così fortemente camaleontica da mostrarsi persino anti-americana.

 

Privacy Policy