UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

sabato 6 settembre 2025

FUORI DAL CORO
di Sergio Azzolari



Armani, moda e modi.
 
Prendo spunto dalla morte di un sarto a cui il “Corriere della Sera” e “la Repubblica” hanno dedicato letteralmente decine di pagine, forse di più che per la morte di un tale Francesco (non le ho contate, vado a memoria) per non citare il tributo di tutte le reti televisive. In questa idolatria si condensa il leitmotiv dell’attuale pensiero dominante. Il denaro, lo status sociale e l’anelito identitario che diventa per transustanziazione esaltazione del nazionalismo. Ora, che il Giorgio nazionale abbia avuto capacità sia imprenditoriali che artistiche è, per i valori correnti, fuori discussione, ma colgo una dissonanza che nessuno evidenzia perché, ahimè, demodé.
Chi sono i fruitori ovvero gli estimatori e soprattutto compratori del suo estro? Certamente anche la casalinga di Voghera aspira ad un suo vestito firmato, se non da sera perché non saprebbe quando sfoggiarlo, ma almeno dei jeans o un paio di occhiali e probabilmente solo per far colpo sui vicini. Il cliente target di un certo mondo, non è la casalinga o l’impiegata, basta vedere foto, filmati e le pubblicità. L’esportazione del Made in Italy ha fatto un gran bene sia a lui che alle casse dell’erario, pertanto, non c’è da stupirsi dell’elogio sperticato delle rappresentanze democraticamente rivolte all’eroe del momento. Quello su cui tutti sorvolano, per borghese educazione, è il gap esagerato tra valore reale e valore commerciale e l’uso della bassa manovalanza che concretizza il genio creativo nella reificazione della merce nelle vetrine di lusso. Ebbene sì, sono questi i due fattori che rendono possibile l’accumulo della ricchezza, e la parolaccia impronunciabile che li descrive è: plusvalore.
Concordo con chi definisce molta di questa produzione, artistica, perché un’opera d’arte deve descrivere, raccontare l’epoca in cui è realizzata, e certamente la forma degli abiti, i materiali e colori con cui sono realizzati è propria dell’epoca in cui sono stati pensati e sfoggiati e ne definisce lo status sociale se non di appartenenza, sicuramente di aspirazione.
Ma la produzione artistica ha due aspetti la forma e il significato o meglio, la scatola e il contenuto. E da sempre, non dovrebbero esserci dubbi, prevale la scatola, soprattutto oggi quando la maggior parte delle persone che visita i musei è colpito dall'estetica, la bravura dell’artista, senza porsi minimamente domande sul significato, spesso non manifesto anzi nascosto, di ciò che guarda, senza vedere. In altre parole è l’effimero, l’appariscente che prevale.
E cosa c’è di più effimero oltre la moda, se non lo sport? E con questo arriviamo allo spirito identitario, oggi diventato orgogliosamente patriottismo se non sciovinismo. Basta che uno prevalga in qualche sport (bravo lui) e immediatamente la nazione di appartenenza lo pone orgogliosamente a proprio modello di rappresentanza, ovviamente, per poi miseramente defilarsi e glissare sugli insuccessi di altri connazionali. Statisticamente le sconfitte sono molto più numerose delle vittorie. I giocatori sia singoli che in squadra, rappresentano solo se stessi non il territorio nel quale, per caso, sono nati e cresciuti, (oggi poi nemmeno vale la nascita). Dire “abbiamo vinto” parlando al plurale maiestatis, invece del più logico, “hanno vinto” (loro, non io) porta inevitabilmente ad aprire una a riflessione sulla psicologia di massa, ma rischierebbe di far perdere la finalità di questa breve esternazione.

  

MEMORIA STORICA E IMPEGNO CIVILE
di Giuseppe Natale


 
Il mese di agosto è stato denso di terribili anniversari. Si è ricordato l’80° dei bombardamenti atomici da parte degli USA su Hiroshima e Nagasaki (6 e 9 agosto 1945): le due città vengono letteralmente bruciate in un lampo; 300.000 morti, con effetti distruttivi e contaminazioni micidiali e diffuse su vaste aree urbanizzate e sugli ambienti naturali: l’inferno in terra! “Male necessario” affermarono governanti e generali statunitensi. Con l’avallo degli scienziati della bomba, tra i quali Oppenheimer e l’italiano Fermi. No: “male” voluto ed orrendo. Si poteva e si doveva evitarlo: la sconfitta del nazifascismo e la fine della seconda guerra mondiale erano un fatto compiuto. Punire con la bomba atomica il Giappone, già definitivamente piegato, fu un vero e proprio crimine contro l’umanità rimasto impunito. E gli USA portano la gravissima responsabilità di aver aperta l’era del terrore nucleare e della proliferazione degli ordigni nucleari. Si calcola che oggi siano 15.000 le atomiche, ma stante il segreto militare, il numero può essere di molto superiore. Atomiche in possesso di nove Paesi: USA, Russia, Cina, Francia, Regno Unito, India, Pakistan, Corea del Nord, Israele. Questi Stati dovrebbero essere considerati i principali nemici dell’umanità.
Di fatto è saltato il Trattato di Proibizione delle Armi Nucleari (TPAN): molti Stati non vi aderiscono, a cominciare da quelli che detengono la bomba. Anche l’Italia non l’ha sottoscritto. Il nostro Paese “ospita” ca. 70-90 ordigni nucleari statunitensi nelle basi di Ghedi (Brescia) e Aviano (Pordenone), e 120 basi militari americane, il numero più alto rispetto ad altri Paesi europei. Il complesso militare industriale statunitense domina il pianeta: circa 800 basi militari dislocate in 80 Paesi: l’85% dell’intero scacchiere militare mondiale. È un dominio imperiale non più sostenibile, giunto al capolinea, con la fine dei “due blocchi” e lo sviluppo del protagonismo multipolare/multilaterale sulla scena mondiale. L’Italia e l’Unione Europea quando la smetteranno di essere Stati satelliti degli USA?



Israele non sappiamo quanto ne possiede di ordigni nucleari, al di fuori di ogni controllo dell’Agenzia Internazionale, e non manca di minacciare di usarli per annientare definitivamente i Palestinesi considerati da alcuni ministri del governo del criminale Netanyahu esseri inferiori e “animali umani”. In un generale silenzio assordante e vergognoso, il ministro israeliano Bezabel Smotrich, da autentico nazifascista, si permette di dichiarare esplicitamente che i Palestinesi devono essere o assassinati o deportati: “Acqua, elettricità e cibo devono essere tagliati fuori dalla Striscia di Gaza e coloro che non moriranno sotto i proiettili moriranno di fame. È sempre lui, che esprime senza peli sulla lingua la politica israeliana nella sua organica strategia, a togliere ogni illusione sul mantra due popoli due stati: “Lo Stato palestinese viene cancellato, non con gli slogan, ma con i fatti. È un altro chiodo nella bara di questa pericolosa idea. Il “Mai più” è stato un’illusione? All’olocausto degli ebrei succede quello dei palestinesi?



A Milano, ogni anno il 10 agosto ricordiamo i 15 Martiri di Piazzale Loreto: prelevati dal carcere di San Vittore dalla famigerata legione fascista Muti, al servizio dei nazisti e dell’esercito tedesco occupante, i quindici militanti antifascisti vengono fucilati e trucidati, il 10 Agosto del 1944; i loro corpi orrendamente offesi e mostrati al “pubblico ludibrio”, avvertimento terroristico a desistere dalla lotta partigiana e resistenziale, che al contrario si intensifica fino alla liberazione del  25 Aprile 1945. Piazzale Loreto è anche il luogo che vide l’esposizione del corpo del dittatore Mussolini e della sua amante Claretta Petacci e di altri gerarchi fascisti: terribile tragico monito alle classi dirigenti di non abusare delproprio potere, di non governare in modo dittatoriale e criminale, e di non trascinare il popolo in guerra. (Cfr. il docufilm La memoria che resta, prodotto da Anpi Crescenzago).
La commemorazione dei 15 Martiri, promossa da ANPI ogni anno, è ovviamente doverosa e necessaria. Come tutte le altre ricorrenze civili, resistenziali e antifasciste. Altrettanto ovviamente, la memoria diventa strumento vivo e attivo quando i ricordi e le parole diventano atti e fatti. ANPI decida in modo ufficiale e pubblico di scendere in strada con i Palestinesi a Milano e partecipi in prima persona - come fanno tanti suoi iscritti e sezioni - alle iniziative di mobilitazione promosse dalla migliore società civile. Contribuisca a costruire una coalizione di associazioni partigiane e antinazifasciste, a livello europeo, per sostenere il popolo palestinese ridotto allo stremo e alla fame e alla sete, e al rischio di essere soppresso per genocidio.

ORBAN, LA NATO E L’UNIONE EUROPEA  
di Luigi Mazzella
 
 
Non è escluso, a mio parere, che Viktor Orban, Primo Ministro Ungherese, anticipi addirittura Donald Trump nel lasciare la NATO e, di certo, primo di ogni Governante di altri Paesi, anche l’Unione Europea. Trump, infatti, è frenato dal fatto che i “volenterosi di guerra” dell’Alleanza Atlantica gli sono utili per tenere buona la sua industria delle armi (per decenni sostenuta dal Partito Demoratico con le sue periodiche e ripetute “incursioni” belliche nel mondo); i Paesi Europei non osano mandare a carte quarantotto il giocattolino delle pulzelle franco-tedesche; e ciò, non tanto perché non hanno colto (o non hanno voluto cogliere) l’abissale differenza tra l’Europa Unita immaginata dai Padri Fondatori e l’aborto che ne è venuto fuori, quanto per l’inadeguatezza di una classe politica di minus habentes, pavidi e timorosi.
C’è da chiedersi perché Orban sia l’uomo politico più detestato e vituperato dal mainstream della stampa Occidentale, considerato che le sue concezioni politiche, in un pastiche del tutto inconsueto, ripetono idee comprese nelle cinque “demenze” Occidentali, incluso un certo scontato e facile populismo, per così dire “comunisteggiante”. La causa potrebbe essere che il Presidente Ungherese non è certamente un gregario e che non sembra improbabile che la sua dichiarata volontà di “liberarsi dai dogmi dell’ideologia europea” lo sospinga verso iniziative anticipatrici della dissoluzione, non solo nel suo Paese, del mito della cosiddetta democrazia liberale, tabù ritenuto “intoccabile”.
Ancora: Orban pur sempre figlio della cosiddetta “civiltà Occidentale” si differenzia dai suoi “fratelli-coltelli”, perché nessun altro partito europeo somiglia in toto al suo: non quello clerico-fascista italiano con le idee molto confuse e pasticciate di Giorgia Meloni e dei suoi camerati di Fratelli d’Italia; né quello di Marina Le Pen e del Rassemblement National, né infine quello di Salvini e della Lega.
Prima domanda: Chi è veramente Viktor Orban? L’uomo è nato ed è cresciuto in Occidente, formandosi nella Terra delle cinque “demenze” (e di quella religiosa, in particolare) e i valori cristiani (sperabilmente non quegli stessi in nome dei quali furono massacrate intere popolazioni in Centro-America e per la difesa dei quali furono istituiti i Tribunali dell’Inquisizione o eretti, nel centro della Cristianità, i patiboli del Papa-Re) sono per lui fondamentali e posti alla base dell’identità costituzionale magiara. Non a caso, d’altronde, la sua vita politica comincia nel PPE (da cui verrà sospeso nel 2021). Dall’assolutismo religioso, assimilato nell’infanzia e da quello ideologico subito nell’Ungheria rossa, Orban desume le linee costituzionali di uno Stato autoritario con introduzione dell’uso della pena di morte, con avversione per la famiglia omogenitoriale, con l’idea del sesso biologico basato sulla nascita e sul genoma, con il divieto del riconoscimento legale delle persone transessuali: in definitiva un pout-pourrì di idee retrogradi e passatiste ben conosciute nell’Occidente mediorientalizzato.
Seconda domanda: Perché tanto accanimento contro di lui se le sue idee si ritrovano tutte (dico tutte) nelle cinque “demenze” Occidentali? Perché è l’unico che chiede di mandare gambe all’aria NATO ed Unione Europea?
Sotto questo particolare aspetto, però, non è il caso di pensare che egli sia solo un balbuziente in una terra di sordomuti?

 

 

PENSIERO E APPROCCIO STRATEGICO 
di Luca Soressi Serena



S
ono trascorsi più di quarant’anni da quando Marco Vitale e Vittorio Coda avviarono, alla fine degli anni ’80, quello straordinario laboratorio di pensiero imprenditoriale che fu il loro corso sperimentale intitolato “Valori imprenditoriali e comportamento strategico”, tenuto presso l’Università Bocconi all’inizio degli anni ’80 del secolo scorso e così commentato da Marco Vitale[1]:
In quegli anni, nel campo delle strategie aziendali, i testi dominanti, di origine americana, erano ponderosi volumi che impostavano la strategia aziendale come una serie di teoremi, illustrati da tanti grafici, che cercavano di insegnare certezze, inquadrate in un mondo stabile, immutabile e governabile. La astratta ed ingenua concezione dell’impresa sottostante a questo approccio era quella di un luogo di perfetta razionalità, dove persone eccellenti e bene addestrate prendono decisioni razionali e perfette.  Chi si comportava secondo le metodologie illustrate nei manuali non poteva sbagliare. Eppure, c’era già stata la grande inflazione e recessione degli anni ’70; la crisi petrolifera con l’esplosione del prezzo del petrolio; una conclamata crisi americana sia economica che politica (pensiamo agli anni della presidenza Carter); l’esplosione industriale del Giappone che tanta ansia generò negli USA; il fiorire delle nuove tecnologie che rimettevano continuamente in discussione i vecchi equilibri. E, da noi, c’erano stati i durissimi anni ’70, con l’incrocio tra il terrorismo nelle strade, l’esasperazione sindacale con l’inagibilità delle grandi fabbriche, le severe ristrutturazioni aziendali; le grandi crisi, quasi mortali, di Olivetti, Fiat e altre grandi imprese; la marcia dei quarantamila a Torino. E sin dagli anni ’70 Peter F. Drucker aveva avvertito che eravamo entrati in The Age of Discontinuity. E nel 1989 aveva ripreso e sviluppato il tema nel suo libro, a mio giudizio, più importante: The New Realities: in Government and Politics, in Economy and Business, in Society and in World View.



Come osare vendere certezze in un mondo oggetto di così profonde incertezze, discontinuità e trasformazioni? Nella lezione conclusiva dell’anno accademico 1984-85 ricordavo che Juanita Kreps, segretaria al commercio del governo USA, lasciando la sua carica nel 1979, aveva affermato che non se la sentiva di tornare al suo vecchi lavoro di docente di economia alla Duke University perché francamente non saprei cosa insegnare. Come reagire da un lato all’illusione meccanicistica e dall’altro a questo sempre più diffuso scoramento?  Noi cercammo di rispondere suscitando negli allievi una rinnovata capacità di pensiero, che li aiutasse a non temere l’incertezza ma a cercare le vie per trarre da essa prospettive positive, e, ad addestrarsi all’apprendimento innovativo, ricordando l’insegnamento di Socrate: La verità si trova nell’incertezza.
Sono trascorsi - si diceva - quarant’anni ma oggi i due grandi maestri della scuola italiana di economia aziendale tornano, insieme, sul tema della strategia, con la curatela congiunta, che si completa di ricchi contributi propri, di un volume a più voci dal titolo: Pensiero e approccio strategico. Patrimonio comune dell’impresa. Certamente non si tratta di un “ponderoso volume di strategie aziendali”, ma di uno stimolo prezioso a riscoprire il pensiero e l’approccio strategico come anima profonda dell’attività imprenditoriale, e non solo.


Marco Vitale e Vittorio Coda
 
Il senso profondo dello sforzo di Vitale e Coda è, infatti, quello di stimolare il ritorno al pensiero strategico nelle persone e nelle organizzazioni, attraverso la riscoperta delle intime relazioni tra strategia, organizzazione e psicologia e la riaffermazione degli scopi e valori fondamentali dell’imprenditorialità, per riportare in ciascuna di esse un nuovo coraggio imprenditoriale, una più forte ed entusiasta coesione e una più forte e orgogliosa consapevolezza del proprio ruolo civile, basato su una solida concezione dell’impresa e dei suoi fini e su un approccio problematico e culturalmente ampio che è l’unico adatto a penetrarne l’intima complessità. Ecco perché, non si tratta di un nuovo manuale di strategie aziendali destinato a super esperti, ma piuttosto di una riflessione ampia che, pur senza rinunciare a contributi di altissimo livello nel campo dell’impresa, trascende il mondo dell’azienda e del management, mette in luce le intime connessioni tra strategia, psicologia, cultura del fare e del pensare, ed evidenzia come le buone pratiche che sappiano fondere questi elementi valgano per ogni tipo di organizzazione pubblica e privata. Tutte le organizzazioni vi possono, infatti, trovare la via per risintonizzarsi con le proprie finalità più profonde e per farle diventare “patrimonio comune”, proprio e di qualsiasi tipo di società e cultura del fare e del pensare. In questo modo il volume diventa una sorta di guida per orientarsi a ripensare, strategicamente, le nostre imprese e - più in generale -  i nostri tempi, per “abbandonare una concezione economica fine a se stessa che si è cacciata in un vicolo cieco e senza speranza, per ricostruire un nuovo modello di sviluppo economico, sociale e culturale, riprendendo e aggiornando tanti esempi, stimoli, insegnamenti dei quali la nostra storia è così ricca”[2], risalendo, in una sintesi di teoria e pratica, pensiero e azione, ai tempi passati, per scrutare e indirizzare quelli futuri (che poi è in sé l’essenza vera della strategia). Che questo nuovo contributo veda la luce in un momento storico che ha aumentato il suo livello di incertezza e che richiede con maggior violenza uno sforzo di pensiero costruttivo, sembra sotto gli occhi di tutti: nei quarant’anni che ci separano da quel corso in Bocconi, infatti, il contesto economico e civile, lo scenario geopolitico internazionale, la crisi ambientale e le sfide tecnologiche e sociali si sono molto complicati.



Mentre il mondo corre al riarmo, i destini di intere nazioni, che già soffrono l’incredibile tragedia della guerra, dipendono dalle decisioni di leader che non mostrano alcun rispetto umano né coerenza etica e intellettuale e mentre il ritorno a nazionalismi e allo spirito bellico si fa concreto e visibile, esso si aggiunge alle altre grandi sfide che sono globali e si scontrano con questa sempre più tragica frantumazione del mondo. Tutto questo, anche se appare così grave e lontano da un piccolo laboratorio di pensiero condensato in un libro di 320 pagine, rende la riflessione che il volume contiene più importante che mai. Tale è la conclusione a cui giunge chiunque identifichi il pensiero critico, strategico e anticipatorio come la sola via che l’umanità ha di fronte per reagire all’incertezza dominante, fronteggiare sfide immani e provare a disegnare scenari diversi, condividendo la convinzione ben espressa da Piero Gobetti in quelle che furono le ultime parole dedicate ai giovani, in un messaggio a loro destinato ma solo abbozzato poco prima di morire il 26 ottobre 1926 in cui scriveva: “È necessario tenere lontane le tenebre del nuovo medioevo, continuare a lavorare come se fossimo in un mondo civile”.
Il volume prende le mosse dall’esperienza di un omonimo corso di alta formazione organizzato, su impulso di Marco Vitale e con il suo diretto coinvolgimento, dalla Società di consulenza strategica Vitale-Zane &Co. per imprenditori e capi-azienda, ma Federico Butera (grande e compianto esperto di organizzazione, scomparso a febbraio 2025, dopo aver consegnato come suo contributo al volume quello che molto probabilmente è il suo ultimo scritto scientifico) parlerebbe, in proposito, di “cantiere”. Il libro che è nato da quello sforzo comune è oggi a disposizione del lettore con l’obiettivo di perpetuare e ampliare il lavoro problematico e costruttivo di quel cantere. Questo ha coinvolto, in qualità di docenti, importanti operatori del mondo imprenditoriale ed economico e alcuni dei massimi esperti di impresa e strategia, provenienti da nove diverse Università, e, come partecipanti, importanti imprenditori, professionisti e intellettuali, tra i quali (valga questa sola nota per dirne la grandezza).


 
G
ianfranco Dioguardi, uno dei massimi esponenti della cultura aziendale e organizzativa italiana, che ha fatto dono agli autori di una preziosa post-fazione al volume, ad esito del corso e del libro che ne è scaturito. Queste diverse autorevoli voci sono rappresentate nel libro che non risulta, però, in una collettanea di interventi, ma si propone come un testo unico scritto a più mani, costruito su di un solido progetto unitario, che si propone diabbracciare la complessità delle dimensioni contenute nell’orizzonte delineato dai concetti di strategia e pensiero strategico. Il cuore del discorso è la concezione di economia e di impresa, come strumenti per sviluppare e far evolvere la società. L’impresa vi viene riscoperta, sulla scorta di una lunga tradizione eminentemente italiana e che risale alle antichissime origini del pensiero strategico, come straordinario strumento strategico e operativo per lo sviluppo collettivo, che il mercante raguseo Benedetto Cotrugli, nel 1458, già definiva “arte overo disciplina intra persone legiptime, iustamente ordinata in cose mercantili, per la conservatione de la humana generatione, con isperanza niente di meno di guadagno”, fornendo la più bella definizione di impresa che sia ad oggi mai stata scritta, e sintetizzando lo spirito dell’”impresa toscana, lombarda, genovese, veneziana, quando l’imprenditoria italiana era ai vertici mondiali e insieme creava modelli di città, di benessere serio, di convivenza civile”[3], che è sopravvissuto nella scuola italiana di economia aziendale e in tante storie d’impresa virtuose, come quelle recuperate nel libro e ivi definite storie di “imprese possibili”. È questa concezione che alimenta anche il grande valore che il testo può avere per qualsiasi organizzazione e cultura del fare e quindi anche per rifondare il nostro modello di civiltà sulla centralità dell’uomo e sul suo rispetto, e quindi su un pensiero strategico che prenda le mosse da questa visione del mondo per orientare vari livelli di pensiero e azione a questo scopo profondo. Per alimentare, nei nostri tempi, un pensiero strategico “come se fossimo” (ma anche per ritornare ad essere) in un mondo civile.


La copertina del libro
 
Note
1. In V. Coda, M. Minoja, A. Tessitore, M. Vitale, Valori d’impresa in azione, Egea, 2012, Milano
2. M. Vitale, L’impresa responsabile. Nelle antiche radici il suo futuro, prefazione di Gianfranco Dioguardi, postfazione di Stefano Zamagni e Carlo Orlandini, Edizioni Studio Domenicano, Bologna, 2014; ripresa in “Pensiero e approccio strategico” a cura di M. Vitale e V. Coda, Guerini Next, Milano, 2025
3.
Ibdem
 

  

 

 

GUERRA E CAPITALE
A Trieste. Aula F1 del Narodni Dom




IL GRIDO DELL’ANIMA
A Marconia Artisti contro la guerra


 
Lunedì 01/09/2025, alle ore 20:00, presso la sede dell’Associazione Culturale Ce.C.A.M., in Piazza Elettra, a Marconia, è stata inaugurata la collettiva d’ARTE contro la GUERRA: “il GRIDO dell’ANIMA”.

Sono intervenuti Giovanni Di Lena (presidente Ce.C.A.M.), don Franco Laviola (parroco della chiesa di San Gerardo), Giuseppina Lo Massaro (presidente Unitre Marconia) e tutti gli artisti che hanno aderito all’iniziativa.
Dagli interventi susseguitisi è emerso che l’Arte, in tutte le sue forme, non può tacere, non può tollerare la distruzione provocata dal conflitto in atto nell’Europa dell’Est e la devastazione perpetrata in Medio Oriente, né tanto meno può dimenticare le altre innumerevoli guerre che affliggono il nostro Pianeta e di cui si parla poco. Consapevole che “Nessuno si salva da solo” il “GRIDO” dell’Arte si augura che, con questo gesto simbolico, venga toccato il cuore di quelle persone che si ostinano a bruciare l’anima dei popoli, rifiutano il dialogo e preferiscono far parlare le armi.
 
Espongono le loro opere i seguenti artisti: 

Maria Angelone, Lino Barbalinardo, Luciano Camardo, Luca Camello, Graziella Carbone, Rosa Cudemo, Anna D’Armento, Lidia De Nittis, Grazia Giannace, Piera Glinni, Angela Iannarelli, Angela Lapadula, Maria Lauria, Mimma Lopatriello, Michele Lo Tito, Angela Marchitelli, Mariella Mastrogiulio, Ivanna Melfi, Tanino Mormando, Anna Maria Pagliei, Walter Palazzo, Anna Rita Panetta, Maria Carmela Panetta, Andrea Scattino, Antonia Stigliano, Unitre Marconia.
 
La collettiva d’Arte sarà fruibile fino a domenica 14/09/2025 dalle ore 18:00 alle ore 22:00.
 

 

 

IRA FESTIVAL
 




Al via IRA Festival: due straordinarie prime inaugurano la rassegna internazionale di arti performative in Calabria.


Si è aperta ieri, con un’importante ed entusiasta partecipazione di pubblico internazionale, la prima edizione di IRA Festival, che ha inaugurato il proprio cartellone con due prime assolute per l’Italia: Història de l’amor della compagnia catalana Agrupación Señor Serrano e Derniers Feux, nuova creazione del coreografo francese Némo Flouret. Due spettacoli profondamente diversi per linguaggio e stile, ma accomunati da un’intensa riflessione sull’essere umano, i suoi desideri e le sue fragilità.
La prima giornata di Festival si è aperta a teatro con Història de l’amor, spettacolo in lingua spagnola (sottotitolato in italiano e inglese) che ha catturato il pubblico con una drammaturgia intima e sorprendente. Una sola attrice in scena, alle prese con un compito quasi impossibile: dare un senso alla più misteriosa e potente delle forze, l’amore. Attraverso un doppio binario narrativo – da un lato le prospettive storiche sull’amore, dall’altro il racconto personale della performer – il lavoro si interroga sulla natura stessa di questo sentimento. L’amore viene raccontato come promessa, ricerca, meta sfuggente e insieme costante motore della vita, in una narrazione che evoca il mito di El Dorado: tesoro irraggiungibile, fonte di desiderio ma anche di caos e distruzione. Un lavoro raffinato, che ha lasciato il pubblico sospeso tra riflessione e commozione.
A seguire, l’attenzione si è spostata all’Anfiteatro di Soverato per la prima italiana di Derniers Feux, esito della residenza artistica di Némo Flouret con i suoi danzatori e musicisti in Calabria tra aprile e maggio. Qui la danza e la musica hanno evocato il fascino e l’ambiguità dei fuochi d’artificio: immagini potenti, capaci di suscitare meraviglia e timore, unire e spaventare allo stesso tempo. Il coreografo ha costruito uno spettacolo dove il tempo sospeso che precede l’esplosione diventa metafora di tensione, aspettativa, speranza e smarrimento. Un rituale collettivo in cui i corpi, come bagliori improvvisi nella notte, hanno incarnato quella sensazione di effimera eternità che accompagna ogni scintilla pirotecnica.



A margine dello spettacolo, Flouret ha espresso grande entusiasmo per la residenza calabrese e per l’accoglienza ricevuta:
«Abbiamo lavorato per quattro settimane tra Badolato, Catanzaro e Soverato: tornare stasera in questo anfiteatro, dove tutto è iniziato, ha un significato speciale. I fuochi d’artificio per me sono qualcosa di caro e personale, legati all’infanzia. Portano con sé paura ed eccitazione, ammirazione e timore, qualcosa che può sembrare guerra o celebrazione. In scena volevo proprio questo: catturare l’attimo in cui le persone alzano lo sguardo verso il cielo buio, vivendo la meraviglia di un momento effimero che diventa eterno.»
Il coreografo ha poi sottolineato il legame profondo creato con la Calabria:
«La Calabria è ormai un luogo inciso nel DNA di questo progetto e nella mia pratica artistica. Qui abbiamo incontrato persone straordinarie, costruito una scena piena, coltivato immaginazione. È qualcosa che porterò sempre con me.»
Già dalla serata inaugurale, IRA Festival, il cui concept e curatela artistica è di Settimio Pisano e la direzione di Pietro Monteverdi, ha confermato la propria vocazione internazionale e la capacità di trasformare i luoghi in spazi di dialogo tra arti sceniche, comunità e riflessione contemporanea. Due prime italiane di grande intensità che hanno acceso Soverato, lasciando intravedere un’edizione ricca di visioni e incontri destinati a creare un terreno fertile di sperimentazione e condivisione.
Al mattino seguente, ed in programma ogni mattina, “Pitch & Drink”: uno spazio di confronto fronte mare tra artisti e professionisti per esplorare processi creativi e produttivi e valutare potenziali nuove collaborazioni.


 

Ecco i prossimi appuntamenti in programma a Soverato fino alla chiusura del festival:
 
6 settembre
12:00–13:30Pitch & Drink (Hotel San Domenico)
16:30ROSSOCREPA (Istituto Don Bosco)
16:30Cinema Impero (Cinema Comunale)
17:15Studi per M (Istituto Don Bosco)
18:00GOOD VIBES ONLY (the great effort) (Istituto Don Bosco)
21:30Cani Lunari (Anfiteatro)
23:00Samuela Borelli DJ Set & Nights in Reverbs (Ex-Comac)

7 settembre
12:00–13:30Pitch & Drink (Hotel San Domenico)
6:30That’s twisted (Istituto Santa Maria Ausiliatrice)
17:15Nulla dies sine linea (Istituto Don Bosco)
18:00Jalousie des tempêtes!! (Istituto Don Bosco)
19:00MOMENTO SPENTO (Istituto Don Bosco)
19:00–02:00Fabio Nirta DJ Set (Circle Club)
21:00NAIP Live Set (Circle Club)
21:30The Blue Hour (Teatro Comunale)

 

venerdì 5 settembre 2025

LA PARATA MILITARE DI XI 
di Luigi Mazzella


 
Quando gli esseri umani non perdono il lume della ragione (com’è, invece, capitato, purtroppo, ai discendenti dei pur lucidi appartenenti alla civiltà greco-romana) ogni loro gesto o parola ha un significato ben preciso nella comunicazione del pensiero. Sotto tale aspetto la “parata militare” di Pechino ha avuto un valore, per la trasmissione di idee, veramente esemplare. Guardando attentamente l’insieme complessivo delle immagini trasmesse in televisione il messaggio di Xi Ping al mondo ha avuto molteplici significati che non vanno sottovalutati e dimenticati (compreso l’invito a Massimo D’Alema che ha sorpreso non poco ma che, con le parole del vetero-comunista sulla pace, pace, potrebbe avere significato soltanto una presa di posizione della Cina contro la guerra in Ucraina e i “volenterosi” europei alla cui politica si è allineata Elly Schlein, segretaria del PD italiano. Vedremo).
Certo: il fatto che i destinatari principali dei warnings fossero gli Occidentali dalle cinque credenze fantasiose e obnubilanti avrà richiesto agli ideatori dell’imponente manifestazione uno sforzo notevole nella scelta delle inquadrature da inserire nel filmato, ma credo che il messaggio di fondo abbia raggiunto il bersaglio. Molto chiaro, infatti, è apparso l’avvertimento a Trump: il nuovo assetto geopolitico del globo vi sarà perché imposto dai mutati rapporti di forza mondiali, ma un’America “monca”, perché privata della sua gamba cosiddetta “Democratica” (dominata totalmente, ormai, per communis opinio, dal Deep State statunitense che è nelle  salde mani di finanzieri, industriali delle armi, spie e generali) e priva ormai di  leadership in Occidente, perché misconosciuta ormai, in tale ruolo, dall’Unione Europea (nelle mani dei seguaci di Biden, Obama a Clinton, per opera della CIA e dei servizi eufemisticamente definiti “deviati”; e ciò a partire dalla destra fino alla sinistra, passando per il centro) non potrà avere né un ruolo da protagonista della trasformazione, né intollerabili e persino ridicoli comportamenti da “bulli”. Dall’accenno del Presidente cinese al fatto che il Pianeta, nel suo nuovo e inedito assetto, dovrà fare una chiara scelta tra “guerra” e “pace” potrebbe dedursi, in primis, che alleanze belliche come la NATO (dimostratesi, alla prova dei fatti, più che difensive, aggressive e offensive anche fuori dei limiti dell’articolo 5 del patto atlantico) non siano compatibili con il costituendo ordine e che, in secondo luogo, il Nuovo Continente dovrà abbandonare atteggiamenti ostili verso la Corea del Nord (non caso messa in prima linea nella collocazione delle  Autorità di governo presenti alla parata).

 

RISPOSTA RUSSA ALLA GOLDEN DOME AMERICANA    
di Alessandro Pascolini - Università di Padova



La stampa norvegese ha osservato nel mese di agosto una frenetica attività attorno alla base artica russa di Rogachevo sull'isola Yuzhny dell'arcipelago di Novaya Zemlya, alla latitudine di oltre 71 gradi nord, con movimenti di navi e di aerei, incluso un velivolo da ricognizione e controllo aereo e aerei della Rosatom, l'agenzia russa per l'energia nucleare. Sono stati osservati lavori e movimenti di elicotteri anche al sito di Pan'kovo (170 km più a nord), dotato di una piattaforma di lancio per test del missile cruise a propulsione nucleare 9M730 Burevestnik (procellaria), per la NATO SSC-X-9 Skyfall. Queste attività, oltre a restrizioni imposte al volo e alla navigazione civili nel nord-est del mare di Barents, suggeriscono, secondo esperti internazionali e norvegesi, che si stia appunto preparando un nuovo test del Burevestnik, dopo 13 insuccessi. Ricordiamo che l'incidente dell'8 agosto 2019, che ha causato al morte di 2 militari e 5 esperti nucleari russi a seguito di un’esplosione su una piattaforma nel Mar Bianco al largo della base della marina russa di Nyonoksa, è stato interpretato da esperti occidentali appunto come legato al recupero del relitto di un Burevestnik finito in mare a seguito di un test fallito (http://ilbolive.unipd.it/it/news/morte-65deg-parallelo-lincidente-russo).
Il Burevestnik è uno dei prodigi tecnologici presentati dal presidente russo Vladimir Putin all’Assemblea federale il 1° marzo 2018 nel messaggio sullo stato dell’unione, assieme al veicolo sommergibile autonomo a propulsione nucleare Poseidon, ai missili ipersonici Tsirkon, Kinzhal e Avangard e l'ICBM super-pesante Sarmat. Lo sviluppo di questi sistemi bellici nucleari, per molti aspetti assolutamente straordinari, venne motivato per la preoccupazione della Russia che il progresso americano nel campo anti-missilistico vanifichi la capacità di reazione russa a un attacco nucleare. Atteggiamento che il nuovo progetto della Golden Dome di Donald Trump non può che rafforzare.


 
Una tecnologia estrema
ll Burevestnik è un missile cruise subsonico per missioni nucleari alimentato da un reattore nucleare. I missili cruise, a differenza dei missili balistici, hanno propulsione autonoma e seguono percorsi arbitrari, guidati da un calcolatore a bordo e/o dai satelliti di navigazione; volando a bassa quota (qualche decina di metri) sfuggono ai radar e con la loro alta mobilità possono evitare gli intercettori anti-missile. Ciò li rende armi ad altra penetrazione delle difese nemiche; tuttavia i Cruise con motori convenzionali hanno un tempo di volo e una gittata limitati (alcuni fino a un massimo di 3000 km), determinati dalla capienza di combustibile a bordo. Il Burevestnik dovrebbe essere uno statoreattore (ram jet) con un reattore nucleare compatto al posto della camera di combustione. La fissione nucleare mette a disposizione molta più energia rispetto ai combustibili convenzionali, e un Cruise a motore nucleare potrebbe raggiungere distanze intercontinentali, seguire rotte imprevedibili e rimanere in volo per un periodo estremamente lungo, praticamente illimitato. In uno statoreattore l'aria esterna entra in una presa dinamica e viene rallentata a velocità subsonica (solitamente sino a Mach 0,3) dalla particolare geometria dei condotti opportunamente conformati, portando a un aumento della pressione del flusso di aria fredda. Il flusso compresso impiegato come fluido refrigerante del reattore nucleare raggiunge temperature altissime (fino a 1400-1600° C), si espande e viene espulso ad alta velocità da un ugello opportunamente sagomato per creare la spinta necessaria. Nonostante siano più efficienti al di sopra di Mach 2, gli statoreattori possono funzionare anche a velocità subsoniche, come appunto nel caso presente. Per raggiungere la velocità iniziale transonica necessaria per l'innesco del motore, il missile deve avere, per la fase iniziale, anche un propulsore a combustione, con carburante liquido o solido.
La realizzazione di uno statoreattore nucleare è una vera sfida tecnologica, che molti esperti ritengono ancora lontana da venir superata. Gli USA hanno sviluppato fra gli anni ’50 e ’60 il progetto Pluto per un tale motore da impiegare appunto in un mastodontico missile cruise (il Supersonic Low-Altitude Missile), fortunatamente cancellato prima di ogni test. Il prototipo di statoreattore nucleare Tory-IIC venne comunque positivamente testato su rotaia nel 1964 per alcuni minuti, ma il progetto Pluto fu definitivamente chiuso per gli enormi problemi tecnici ancora aperti e i rischi di contaminazione radioattiva dell'ambiente. Tra il 1959 e il 1972 sono stati costruiti e provati negli USA venti reattori del programma NERVA per la propulsione spaziale, utilizzanti l'idrogeno come fluido di lavoro anziché l'aria atmosferica, ma non hanno avuto impiego pratico.



Il reattore sviluppato per il Burevestnik è una scatola nera per quanto riguarda il materiale open source, e nulla si sa dei suoi parametri di progettazione; tenuto conto delle indiscrezioni sulle dimensioni e velocità del missile, dovrebbe avere una potenza di alcuni megawatt. In linea di massima, ci sono due configurazioni che possono essere ragionevolmente prese in considerazione: “a circuito aperto”, in cui l'aria in entrata fluisce direttamente attraverso il reattore per estrarne il calore, o “a circuito chiuso”, in cui il reattore è isolato dal flusso d'aria da uno scambiatore di calore che trasferisce il calore del reattore all'aria, impiegando come refrigerante metalli liquidi, come sodio o potassio.
Entrambe le configurazioni presentano delle difficoltà. I sistemi a circuito aperto avrebbero particelle radioattive nei gas di scarico e dovrebbero essere di grandi dimensioni per accomodare i condotti per il flusso d'aria; ciò richiederebbe una maggiore quantità di combustibile fissile per raggiungere la massa critica, aumentando così il peso del sistema.
I sistemi a circuito chiuso avrebbero un reattore di massa inferiore, ma si deve aggiungere lo scambiatore di calore. La maggiore complessità derivante dall'introduzione di uno scambiatore di calore renderebbe un concetto a ciclo aperto più interessante per una più rapida implementazione, considerata anche la pressione politica per il completamento delle nuove armi presentate da Putin ancora nel 2018.



Complessità da gestire in volo
I reattori sono macchine estremamente sensibili e occorre controllarne continuamente con precisione la geometria, i fluidi con cui vengono a contatto e la temperatura. Il combustibile fissile del reattore deve mantenere con precisione la sua disposizione per raggiungere un flusso neutronico ottimale nel nocciolo. Per un missile da crociera che opera a un'altitudine di 50-100 m e segue il terreno ad alta velocità, saranno in gioco molte forze inerziali. Gli elementi strutturali del reattore (combustibile, moderatore, refrigerante) devono essere progettati per gestire ogni perturbazione, senza modificare in modo significativo il flusso di neutroni nel reattore, oppure prevedere meccanismi per far tornare il reattore naturalmente alla criticità dopo situazioni anormali. Se la geometria del combustibile cambia, la reattività potrebbe aumentare fuori controllo, ovvero diminuire fino a non sostenere il moto del missile. A quote di decine di metri, nella presa d'aria dello statoreattore potrebbe entrare anche polvere, foglie, neve, pioggia, grandine e forse anche uccelli. Bastano i cambiamenti di umidità, temperatura e pressione a modificare la reattività del reattore, variabili che inevitabilmente fluttueranno durante un viaggio di giorni attraverso migliaia di km di oceano e terraferma. In condizioni di maggiore umidità, l'acqua nei condotti del reattore potrebbe aumentare il numero di eventi di fissione, innalzando la temperatura e richiedendo un controllo preciso per evitare la criticità. Le alte temperature indicate per l'aria in uscita del Burevestnik richiedono che la maggior parte degli elementi strutturali siano in ceramica, e quindi fragili e soggetti a fratture rapide e imprevedibili. L'enorme gradiente termico (e quindi lo stress) all'interno del reattore, nonché il carico dinamico causato dal vento, dalle manovre e dalla turbolenza, producono un forte degrado dei materiali, che potrebbe portare a situazioni critiche per il missile.



In un sistema a circuito aperto, l'aria che fluisce attraverso il nocciolo del reattore raccoglierà i prodotti di fissione radioattivi gassosi prima di essere espulsa come scarico. La principale preoccupazione radiologica deriva dal degrado dei materiali del reattore a causa del calore, della pressione e delle intense radiazioni durante il funzionamento. Man mano che questi materiali radioattivi si degradano, possono scheggiarsi e uscire attraverso lo scarico.
Il Burevestnik potrebbe dover gestire autonomamente tutti questi problemi. In volo contro un bersaglio, non invierà telemetria a un operatore remoto che possa impartire comandi, dato che il suo vantaggio critico è proprio la furtività. Una volta localizzato dalle forze avversarie, la limitata velocità e il profilo di volo a bassa quota lo renderebbero un facile bersaglio un per la caccia nemica. Ciò comporta che tutti i sistemi di controllo del reattore devono essere autonomi per una parte, se non per tutta la durata del volo e devono funzionare perfettamente pur in condizioni di intensa radiazione.



L’integrazione di uno statoreattore nucleare a ciclo aperto all’interno di un missile da crociera, unitamente all’implementazione di sistemi di controllo caratterizzati da elevata affidabilità e di sottosistemi ausiliari idonei a garantire la sostenibilità operativa per missioni della durata di più giorni, configura una problematica ingegneristica di straordinaria complessità. Alla luce di tali criticità, una parte consistente della comunità scientifica considera la piena concretizzazione di un simile programma tecnologico, allo stato attuale, un obiettivo di fattibilità ancora remota.
Il programma appare orientato principalmente a un’attività di 'signalling' nei confronti degli Stati Uniti, sottolineando come gli elementi centrali della postura russa siano la sorpresa strategica e la capacità di eludere i sistemi di allerta precoce, vanificando anche la vantata impenetrabilità della Golden Dome. Parallelamente, esso sembra volto a riaffermare sul piano internazionale l’immagine della Russia quale potenza tecnologica in grado di sviluppare e dispiegare capacità non replicabili da altri attori. Abbiamo quindi un ulteriore confronto delle due superpotenze giocato sullo sviluppo di tecnologie estreme, nessuna delle quali in grado di migliorare la sicurezza umana globale delle relative popolazioni, ma che aggravano la durezza dello scontro e il rischio di escalation militare.

 

 

GAZA: STOP AL GENOCIDIO
di Giuseppe Natale


 
La mobilitazione della società civile per la Palestina.


Tante diverse forme di manifestazione e di mobilitazione vedono la cittadinanza attiva e consapevole, in prima persona o nelle associazioni umanitarie e professionali e nei comitati sociali, impegnata a livello locale, nazionale e mondiale contro il genocidio del popolo palestinese e lo Stato razzista e colonialista di Israele. È un movimento globale di solidarietà, sempre più ampio, di cui si sentono parte la Sezione ANPI e l’Associazione Casa Crescenzago. È un movimento di resistenza pacifica, determinato a promuovere non solo azioni ed iniziative di aiuto concreto alle vittime dei bombardamenti e delle stragi quotidiane ma anche atti di denuncia e disobbedienza civile, di boicottaggio e disinvestimento, di sanzioni e interruzione dei rapporti con lo Stato d’Israele. Occorre fare di tutto perché questo movimento umanitario ed etico-politico, nelle sue molteplici modalità d’intervento, si consolidi e si coordini per diventare una vera forza che possa riuscire a inchiodare alle loro responsabilità di connivenza criminale le classi dirigenti dei Paesi occidentali, in primis di USA e Regno Unito, di Europa e dell’Italia, per quanto ci riguarda, non esclusi le classi dirigenti di tutti gli altri Paesi a cominciare dai leader dei Paesi arabi.



Si sta infatti rafforzando un grande movimento globale per Gaza e per la Palestina libera. Decine di imbarcazioni della Global Sumud (per i Palestinesi è parola che vuol dire Resistenza decisa e ferma) Flotilla - con a bordo attivisti provenienti da 44 Paesi - stanno, mentre scrivo, per partire verso Gaza da quattro porti del Mediterraneo (Barcellona, Genova, Tunisi e dalla Sicilia), per portare aiuto materiale di ogni genere, soprattutto alimentare e farmacologico e per manifestare la volontà etico-politica di giustizia e libertà e - come si afferma nel comunicato - “rompere l’assedio illegale e chiedere l’immediata riapertura dei corridoi umanitari garantiti dal diritto internazionale e bloccati da Israele”.
Si tratta di isolare Israele dal consesso internazionale e abbattere la sua struttura genocida. È un compito straordinario di fratellanza e di amore verso l’intera umanità da compiere con l’ottimismo della volontà e della speranza, e con una dose di pessimismo dell’intelligenza coltivando la memoria storica e critica che ci rende consapevoli, nell’impegno presente, di costruire un futuro diverso e migliore.
Oltre mezzo milione di persone attualmente soffrono la fame, l’indigenza e la morte a Gaza ed entro la fine di settembre questo numero potrebbe superare le 640.000. Praticamente nessuno a Gaza è immune dalla fame: si prevede che almeno 132.000 bambini sotto i 5 anni soffriranno di malnutrizione acuta”: lo si afferma in un report ONU redatto da 14 Paesi. Ed è evidentemente vergognoso assistere al mancato intervento delle forze dell’ONU e ai veti e alle violazioni del diritto internazionale, in primis da parte USA. 



Il 25 agosto scorso l’ennesima strage israeliana all’Ospedale Nasser a Khan Younis, unica struttura sanitaria rimasta, ha ucciso 58 civili e feriti 308. Tra le vittime la giornalista Maryam Abu Daqqa (ad oggi sono 246 i giornalisti uccisi dall’esercito israeliano!). Commovente e struggente il suo breve intenso “testamento” scritto al figlio Ghaith di 12 anni, che ci fa tornare in mente le lettere delle e dei condannati a morte della resistenza antinazifascista: “Voglio che tu tenga la testa alta, che studi, che tu sia brillante e distinto, e che diventi un uomo che vale, capace di affrontare la vita, amore mio. Non dimenticare che io facevo di tutto per renderti felice a tuo agio e in pace, e che tutto ciò che ho fatto era per te. Quando crescerai, ti sposerai e avrai una figlia chiamala Maryam come me. Tu sei il mio amore, il mio cuore, il mio sostegno, la mia anima e mio figlio, colui che mi fa alzare la testa con orgoglio. Sii sempre felice e conserva una buona reputazione. Ti prego, Ghaith: la tua preghiera, poi ancora la tua preghiera, e poi ancora la tua preghiera. (Il testo è ripreso dall’Agenzia Anbamed).
Maryam, come le colleghe e i colleghi giornalisti, come i medici e i sanitari, come le /gli insegnanti, come soprattutto le donne, e gli uomini di tutte le età sono resistenti indomabili e partigiani della libertà e della dignità, della giustizia e della pace: sono popolo espropriato e oppresso da oltre 80 anni e fanno sumud. Anche per noi. Per l’intera umanità.
A Milano, come in tante città d’Italia e del mondo, cresce la mobilitazione contro il genocidio e per la Palestina libera. Tante iniziative sparse in tutto il territorio metropolitano vedono la partecipazione di sempre più numerose persone: incontri di informazione e solidarietà, adozioni e raccolta fondi, mostre documentarie (in particolare dei disegni di bambini palestinesi), letture di testi poetici e letterari, azioni di boicottaggio dei prodotti israeliani, atti di disobbedienza civile. E si intensificano le manifestazioni pubbliche con cortei e flash mob. Creativo e silenzioso, muto con i cartelli che denunciano il genocidio e invocano il cessate il fuoco e la fine delle guerre è il flash mob quotidiano in Piazza Duomo improvvisato da un gruppo eterogeneo di cittadini-e, che si ripete da oltre due mesi.



Dall’ottobre del 2023, ogni sabato le associazioni e le comunità palestinesi promuovono cortei e sit-in per le strade e nelle piazze dei diversi quartieri di Milano: è una forma di sumud della “diaspora” che rinforza lo spirito di resistenza e la speranza di coinvolgere la cittadinanza italiana e le forze sociali e politiche, le istituzioni nazionali e locali. È in crescita il coinvolgimento della cittadinanza attiva accanto ai palestinesi, ma mantengono purtroppo le distanze i principali soggetti associativi come l’Anpi. Silenzio assordante oppure qualche balbettio caritatevole da parte dei rappresentanti delle istituzioni e del governo centrale.
Nonostante diversi appelli al Comune di Milano di annullare il “gemellaggio” con la città di Tel Aviv e di interrompere ogni rapporto politico economico e commerciale con Israele, Palazzo Marino tace, e si limita a qualche generica dichiarazione umanitaria. Un impegno più stringente, che si propone diventi comune a tutti i municipi, e che venga assunto dal Comune centrale è l’ordine del giorno approvato dal Municipio 5, con il quale si impegna il Comune di Milano e i rappresentanti nel Parlamento italiano e in quello europeo a farsi portavoce delle richieste di: “cessare il fuoco”, “fermare il genocidio”, “impedire la deportazione del popolo palestinese”, “sospendere immediatamente gli accordi economici, politici, militari ed accademici e tecnologici “con lo Stato d’Israele, “avviare un percorso di pace che ponga fine all’occupazione militare e territoriale” delle terre palestinesi.
 

 

 

 

 

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