FAVOLA
Di Fulvio Papi
La favola politica di un filosofo che ha il sapore di un apologo contemporaneo
illustrata da Adamo Calabrese
Diversamente
dal 1847 quando due giovani intellettuali tedeschi iniziarono un loro splendido
libretto e scrissero che per l’Europa si aggirava il fantasma del comunismo (e
non era vero), nella mia stanza si ripete quotidiano il ronzio di un moscone
che naturalmente non dice niente o non lascia nemmeno immaginare che possa dire
qualcosa, ma disturba la nostra lettura con il suo volo fastidioso.
Ma non è nemmeno tutta colpa sua perché non c’era ragione
di lasciare la finestra aperta e tanto meno lasciare che qualche sconsiderato
abbia buttato un cumulo di immondizie nel giardino prossimo alla finestra,
immondizie, per natura, grate al nostro moscone.
Cercheremo di farlo uscire dalla finestra senza alcun
danno perché la vita, anche se fastidiosa, è pur sempre figlia di Dio. Ma,
soprattutto a costo di farlo noi stessi, dovremo far sparire al più presto
l’immondizia che si è accumulata nel tempo sotto la nostra finestra. Sono
compiti che in certe circostanze toccano anche a chi di solito manipola
incunaboli e pergamene.
E bisognerà anche punire quelli che nascostamente hanno
avuto questa volgare trovata. Sinceramente non penso a un rabbuffo o a una indulgenza
plenaria, poiché costoro che rovinano il giardino e la casa non mi sembrano
simili all’immagine che aveva in mente Pico della Mirandola quando scrive il “De dignitate hominis”. Mi sembra
piuttosto che questi malfattori rovinino quel poco che resta dell’ottimismo
neoplatonico rinascimentale. Quindi la massima pena, senza tante storie, e
senza la concessione della possibile decadenza temporale della pena. Essa può
avere senso se richiesta con motivazioni plausibili, esaminata da persone
dotate di intelligenza (intelligere = capire), senza nessuna preventiva
burocrazia.
Quanto al
moscone che continua ad aggirarsi nella stanza con il suo ronzio petulante, ho
scoperto, guardando attentamente, che esso, solo nella sua specie, ha un
piccolo specchio innanzi a sé in cui può guardare le sue imprese volatili e
gioire dei suoi risultati. È il primo moscone narcisistico che si conosca nella
sua specie, e, il più bello, è che questa notizia la conosce anche lui e ne
approfitta per crescere nella considerazione di se stesso.
E non si può nemmeno dire che c’è qualcosa di sbagliato
nell’evoluzione poiché essa è dominata da risultati contingenti e non da
finalità in qualche modo antropomorfiche, cioè ideali.
Il problema
vero è il rapporto tra la finestra e la spazzatura, ed è il vero rapporto grave
e serio. Qui bisogna insistere. Quanto al moscone narcisistico si può
consigliargli di prendere in mano i classici dell’economia politica, e se sono
troppo difficili, almeno “Culex” che
però la critica filologica non ha stabilito se è proprio di Virgilio oppure no.