CORSI E RICORSI DELLA STORIA
di Sergio
Azzolari
C'è qualcosa che
non torna nella proposta Renzo-Berlusconiana di riforma elettorale. Anzi, torna
sì, ma indietro. O, se vogliamo essere poetici ricordando Pascoli
possiamo anche dire che “C'è qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi d'antico.”
Nel
1953 con l'approvazione "legge Scelba", meglio conosciuta come legge
truffa, che attribuiva un premio di maggioranza alla lista o coalizione
vincente, la "Sinistra" di allora insorse mobilitando una quota
consistente del paese e di opinione
pubblica riuscendo ad imporne mesi dopo
l'abrogazione. Interessante come la parola "truffa", nel giro
di cinquant'anni cambi di significato, ed il succo della "famigerata"
legge sia oggi utilizzato dalla
"nuova sinistra", trasformandolo da imbroglio a condizione necessaria
per poter governare. Governabilità, una parola che sembra piena di dinamico
modernismo ma che era usata anche sessant’anni fa come spiegazione e
giustificazione per rendere il governo insindacabile e inamovibile. In parole
semplici: non disturbate il manovratore, lasciatelo fare.
Questo
paternalismo è oggi accompagnato dalla rassicurante promessa dell'alternanza.
Se noi elettori, dopo cinque anni, non saremo soddisfatti dell'operato, potremmo
votare per un altra coalizione. E così di alternanza in alternanza ciò che
(forse) farà l'una sarà (forse) disfatto dall'altra. La stessa legge elettorale ne è la conferma. Siamo
passati dal proporzionale al mattarellum
al porcellum all' italicum secondo le coalizioni vincenti.
Vi
è però un'altra considerazione che ci porta a dubitare di un sistema
maggioritario. Sempre più frequentemente negli ultimi decenni, i presidenti
della repubblica che via via si sono succeduti, non potendo ignorare la costituzione,
hanno bacchettato i vari governi per il ricorso spregiudicato ai Decreti Legge
ricordando loro che il compito di legiferare era di competenza del parlamento.
Lo strumento del Decreto Legge doveva essere una eccezione e non la regola di
governo. Ora, cosa si nasconde dietro il premio di maggioranza se
non di fatto che il Decreto Legge
diventa la norma di procedere dei governi avendo la possibilità di controllo e
condizionamento dei parlamentari che "formano" la maggioranza? Non ci
sarà più bisogno dei Decreti Legge per il semplice fatto che il governo
controllerà e condizionerà la quota cardine del parlamento. Si fa di dolo
virtù.
Dietro questa
concezione di governo si maschera perciò un grosso imbroglio di funzioni in
quanto stravolge e uccide l'idea cardine della democrazia. Una legge, coinvolgendo in obblighi e doveri tutta una
nazione, dovrebbe avere come minimo il consenso della maggioranza. Siamo
d'accordo, l'idea di maggioranza in democrazia è un criterio corretto di
validazione, in ogni situazione. Ma
di quale maggioranza stiamo parlando? Del Cinquanta più uno? No del 37%. Cifra
che, considerando schede bianche, nulle e persone che non votano scenderebbe ad un terzo (e forse meno) della
reale popolazione. Quindi un terzo deciderebbe e imporrebbe la propria
volontà anche agli altri due terzi. Possiamo
chiamare questa democrazia? Già
ma allora che si fa obietteranno i più? Se si è arrivati a questo, vuol dire
che qualche cosa nel sistema proporzionale non funzionava. Certamente, ma quello che non funzionava non era il sistema
di voto proporzionale, ma l'idea di governo che via via si è imposta. Il governo dovrebbe avere, per il bene della nazione,
una mera funzione amministrativa. Non a caso gli Stati Uniti, presi a modello
di esempio di Democrazia (con la D maiuscola quando fa comodo) parlano di
Amministrazione: amministrazione Bush, amministrazione Obama intendendo con
questo che il Presidente deve Governare amministrando, cioè gestendo gli
strumenti esistenti e non di crearne continuamente di ex novo con "motu
proprio". Nella democratica America, Il Presidente non fa leggi, le
propone.
Le
leggi, essendo per tutti non dovrebbero essere promulgate solo da chi detiene
momentaneamente la maggioranza. Le leggi dovrebbero avere un fondamento di buon
senso, di necessità, di uguaglianza, di lungimiranza. Devono essere
"pensate", non si possono improvvisare, raffazzonare, imporre come
hanno continuamente fatto i "nostri" ministri. Se finalmente i ministri facessero funzionare i ministeri,
svolgendo una reale funzione di controllo, di sorveglianza e stimolo, questa
sarebbe la vera riforma. Di un governo che funzioni. Che la formazione del governo sia affidato alla
coalizione vincente va benissimo. Ma il compito di legiferare deve essere
riservato a tutto il parlamento.
E
se una legge proposta da un governo, uno qualsiasi, non dovesse essere
approvata dal parlamento, speriamo voglia semplicemente dire che forse è una
cattiva legge.
Qui però si apre
una riflessione non semplice sui rappresentanti del popolo nelle istituzioni.
Come si scelgono, come vengono eletti, che ruolo dovrebbero svolgere, che
margini di libertà ideologica e partitica possono avere e farne uso. In ultima
analisi a chi devono rispondere i parlamentari del loro operato? Al partito o
agli elettori?