UNA LETTERA CHE ASPETTO
di Felice Besostri
Questo scritto di Felice Besostri è stato concepito il
giorno stesso del Referendum sulla Costituzione. La vittoria del No ha appagato quanti come noi si erano
battuti per questo risultato, ma, come ha scritto su questo stesso giornale
Fulvio Papi, i problemi restano sul tappeto e bisognerà metterci mano perché
riguardano ciascuno di noi. Anche Besostri in questo scritto ci invita a
coordinarci perché la volontà della società civile torni a pesare come
dovrebbe. “Odissea” nel mettere a disposizione le sue pagine per un confronto
aperto e senza remore, lancia l’idea della costruzione di una Rete Nazionale
dentro cui possano confluire Comitati, Associazioni, Gruppi e singole
individualità su un programma minimo di dieci punti ineludibili da analizzare,
approfondire e dibattere, e con i quali sfidare formazioni politiche,
movimenti, partiti e parlamentari per verificarne nel concreto la volontà di
realizzarli, ora che non è più permesso a nessuno di traccheggiare. (A.G.)
Oggi andrò a votare No in un referendum, nel quale il quesito referendario -trattandosi di una
revisione costituzionale- non è conforme a quanto obbligatoriamente e
chiaramente richiesto dall’art. 16 della legge n. 352/1970[1].
Preoccupante per i diritti costituzionali e democratici, a prescindere
dall’oggetto di questo referendum, è
il fatto che non si sia trovato un giudice, che si sia dichiarato competente a
pronunciarsi nel merito e non su chi fosse competente a proporre ricorso, su
chi dovesse esaminarlo e quando, addirittura, se la natura giurisdizionale
dell’Ufficio Centrale Referendario, lo ponesse al di sopra di ogni
impugnazione. Resta il fatto che non si sono tenuti distinti i diritti, di chi
abbia chiesto il referendum ex art.
138 Cost., e i diversi e preminenti diritti dei cittadini, esponente del
popolo, cui appartiene la sovranità, di esercitare il diritto di voto in
conformità alla Costituzione e alle leggi di attuazione. Non solo la campagna
elettorale è stata squilibrata nei tempi assegnati di fatto alle ragioni del Sì nettamente superiori a quelle del No, ma anche la potenza di fuoco
mediatica e finanziaria di propaganda. Il raggiungimento delle 500 mila firme
da parte del Comitato per il No
avrebbe soltanto attutito, non eliminato, la differenza: ma non è il tempo di
recriminazioni e di accuse, perché non si piange sul latte versato. Semmai si
tratta di porre al centro dell’iniziativa politica, quale che sia l’esito
referendario, l’attuazione dei diritti costituzionali di agire in giudizio e
per la trasparenza del finanziamento della politica e delle campagne
elettorali. In una società capitalista, ci saranno sempre delle differenze, per
questo siamo portatori di altri valori diversi dal denaro, ma almeno l’entità e
la provenienza dei mezzi deve essere trasparente, perché il voto sia eguale e
libero, come richiede il nostro art. 48 Cost. Dare seguito alla decisione
referendaria è compito di tutte le forze politiche in campo e in primo luogo di
quelle che hanno una maggioranza parlamentare, per quanto frutto di una legge
elettorale incostituzionale. Se hanno potuto approvare una legge elettorale, di
sospetta costituzionalità per ben 5 Tribunali della Repubblica da Messina a
Torino, da Perugia a Trieste per finire
con Genova, la responsabilità non è solo del Governo e della sua raccogliticcia
maggioranza, ma anche dei Presidenti delle due Camere, che hanno ammesso voti
di fiducia in violazione dell’rt. 72 c. 4 Cost. alla Camera dei Deputati o emendamenti
strumentali e inammissibili al Senato
della Repubblica.
Se la stessa maggioranza ha approvato una massiccia revisione
costituzionale la responsabilità maggiore non è di chi ha salvato il suo posto
nel Parlamento con gli annessi privilegi presenti e futuri, che matureranno
dopo 4 anni e 6 mesi dall’insediamento, ma di un Presidente, ora emerito, che
non ha sciolto le Camere tempestivamente e che ha autorizzato il Governo ex
art. 87 c. 4 Cost. a presentare un ddl costituzionale, dimentico dell’insegnamento
del costituente Piero Calamandrei e che non può invocare la scusante di essere
stato eletto soltanto nel 1953, tre anni prima della sua morte. Il discorso di
Calamandrei a Milano del 1955 non poteva essere ignorato, tanto più da chi era
stato eletto nella temperie di una legge truffa, che al paragone delle leggi n.
270/2005 e n. 52/2015, almeno il premio lo dava a chi la maggioranza assoluta
la conquistava nelle urne e non a prescindere dal consenso elettorale e dalla
rappresentatività del corpo elettorale. Di contro e paradossalmente, il premio,
con il Porcellum e con l’Italikum è tanto maggiore quanto minore
è il consenso in termini di voti e di percentuale dei votanti. Un compito
prioritario è quello di impedire che l’Italikum sia applicato alla prossima
elezione sia che vinca il No, che il
Sì. In tale ultimo caso, a maggior
ragione, per depotenziarne gli effetti sulla forma di governo e sulla funzione
del Presidente della Repubblica e sull’assoggettamento del Parlamento al Governo
e al suo Presidente. Con i comitati per il No,
670 in tutto il territorio nazionale e 40 all’estero, si sono mobilitati
migliaia di cittadine e di cittadini, nuove energie ed anche ritorni di chi si era
allontanato dall’impegno attivo: è un capitale umano e politico, che non può
essere disperso. La difesa e l’attuazione della Costituzione devono essere
impegni permanenti e prioritari, non emergenziali. Su questo si può, si deve
costruire una vasta alleanza di cittadini di diversa provenienza e sensibilità
politica ed ideologica. Se ciò avvenisse sarebbe molto, ma a mio avviso non
abbastanza.
Sono rimasto colpito dall’atteggiamento di molti, che pur a domanda
risponderebbero di essere di sinistra o di centro-sinistra, che tra
governabilità e democrazia scelgono senza esitazione la governabilità anche a
costo di sacrificare la rappresentanza. Si impone, quindi, un discorso a
sinistra parallelo a quello democratico della difesa della Costituzione, anche
perché la sua attuazione non è politicamente neutra, ma richiede scelte
economiche, finanziarie, sociali e politiche, sulle quali il consenso non è
scontato, ma va costruito. Prima di conoscere l’esito del referendum vorrei ricevere
una lettera o altro tipo di messaggio da chi si propone di ricostruire una
sinistra, la cui assenza, al limite della scomparsa, ma certamente
dell’irrilevanza, è uno dei fattori di instabilità politica di sistema del
nostro paese e per estensione dell’Europa. Il messaggio dovrebbe essere scritto
prima dello spoglio, non sotto la dettatura dello sconforto per la vittoria dei
Sì o in preda ad un’ingiustificata
euforia per la vittoria del No.
Leader autoproclamati e presuntuosi di una sinistra prevalentemente identitaria
con vocazione minoritaria non sono mancati, non mancano e non mancheranno: c’è
posto per tutti in una sinistra vasta e plurale, ma vorrei che sorgesse,
piuttosto, un interprete di una sinistra credibile per la maggioranza
democratica del popolo italiano, che vive, lavora, si dispera e sogna nel
nostro paese o nell’emigrazione.
Non abbiamo bisogno di leader carismatici, ma
di rappresentanti di diritti, bisogni e meriti collettivi ed individuali. C’è
necessità di dirigenti che ci facciano pensare e discutere, che abbiano bisogno
delle nostre esperienze e speranze, come noi di una comunità o formazione
politica, che le sappia elaborare, fondere e tradurre in una pratica politica e
sociale permanente e non solo in una lista di candidati buona per la prima
competizione elettorale e solo per quella. Dobbiamo anche andare oltre una
generica sinistra, parola che indica soltanto in quale lato dello spettro politico ci si
colloca e non dove si intenda andare, con quali mezzi e programmi e con quali
compagnie. Non c’è una sinistra, che meriti rispetto, che non metta in
discussione l’ordinamento economico e sociale esistente e non si ponga il
problema di come superarlo: si divida sul come soltanto se le differenze sono
insuperabili e i contrasti portino alla paralisi. Vorrei una sinistra dove il
pluralismo sia una ricchezza, dove io che son socialista, mi possa riconoscere
con altri, che la pensano come me, con altri che sono e si sentono comunisti
e/o libertari, cristiano sociali, dove i filoni ideali storici del movimento
operaio si arricchiscano con le conquiste del pensiero femminista e ambientalista
e dell’umanesimo laico e della contaminazione di una fede religiosa, per la
quale gli uomini e le donne sono uguali non solo davanti a Dio e dopo morti.
Una sinistra dove sei italiano, europeo e cittadino del mondo, fratello e
solidale di tutti con il limite invalicabile del 99%, perché l’1% dove si
concentra il potere economico, finanziario e politico sarà sempre il nostro
nemico irriducibile, fino al 48% delle classi privilegiate avversari da ridurre a ragione, concludere compromessi o guadagnare come
alleati. Il 51% è, invece, la maggioranza minima da convincere con l’esempio e
il ragionamento e con la scelta irrevocabile della libertà e della democrazia
per la conquista e la gestione dl potere. Vorrei essere parte di una sinistra
che abbia fin da ora la certezza di avere una proposta per il Paese, che vinca
il No, come mi auguro, o il Sì, perché dire No oggi è per potere Sì domani
su una riforma vera, che non si limiti all’ingegneria istituzionale, ma investa
la società e le sue articolazioni: nessuno deve rimanere indietro e tutti dobbiamo essere più liberi e con pari dignità perché membri di una società più
giusta ed eguale.
¹Legge
25 maggio 1970, n. 352.
Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla
iniziativa legislativa del popolo
Art. 16. Il quesito da sottoporre a referendum consiste
nella formula seguente: "Approvate il testo della legge di revisione
dell'articolo... (o degli articoli...) della Costituzione, concernente... (o
concernenti...), approvato dal Parlamento e pubblicato - nella Gazzetta
Ufficiale numero... del... ?"; ovvero: "Approvate il testo della
legge costituzionale.. concernente... approvato dal Parlamento e pubblicato
nella Gazzetta Ufficiale numero... del... ?".