OLTRE LA DIFESA DEL NO
di Francesco Piscitello
Matteo Renzi |
L’articolo di Fulvio Papi del 6 dicembre scorso sembra dettato da un’inquietudine: quella che la classe politica non realizzi “in un tempo ragionevole provvedimenti (non finzioni) che appartengano al clima intellettuale e morale delle linee che la rivista (Odissea, ndr) ha indicato”.
L’inquietudine
di Papi ha un che di profetico: non sapeva, quando la stava scrivendo, che
pochi giorni, quasi poche ore, dopo la sua riflessione ci saremmo trovati di
fronte una compagine governativa simile a quella soffiata via da uno stentoreo
NO. Cosa dico simile? Identica: i ministri del precedente esecutivo sono quasi
tutti lì. Se ne sono anzi aggiunti altri, entusiasti fautori della deprecata
riforma. E hanno anche giurato sulla quella Carta che avevano tentato di
scardinare.
Antonio
Ingroia, su Il Fatto Quotidiano del
22 dicembre, invita il popolo del NO a riunirsi in comitati permanenti per
l’attuazione della Costituzione. Odissea,
se è partecipe delle inquietudini di Papi, deve aderire all’invito di Ingroia,
ne apprezzi o meno il pensiero e la prassi politica: su questo tema non si può dissentire.
È tempo, io credo (e il tempo stringe!), di farlo. Perché quel NO non venga
vanificato, umiliato, tradito. Ricordiamo le parole di Giorgio Gaber: libertà è
partecipazione. Non siamo donne e uomini liberi se assistiamo inerti allo
stravolgimento della nostra democrazia. Se stiamo alla finestra.
Non
basta indignarsi. Odissea formi un
comitato, al quale fin d’ora assicuro la mia adesione, per difendere i valori,
i principi, l’idea di etica, di giustizia, di solidarietà, di libertà, quella
temperie morale, insomma, quell’atmosfera emozionale interna dei milioni di
cittadini che hanno pronunciato il loro NO.
Non
credo però che tutto si debba esaurire nella difesa di quel voto. Per
corruzione nella vita pubblica, per evasione fiscale, per malaffare e non solo
mafioso siamo il paese leader d’Europa. Lo eravamo anche prima della riforma
alla quale abbiamo detto NO. Siamo ai massimi livelli di disuguaglianza
economica. Lo eravamo anche prima. L’attacco reiterato alle pensioni dei comuni
cittadini non conosce sosta come non conosce sosta la difesa di stipendi e
vitalizi della classe politica. Era in atto anche prima. Le nostre istituzioni
soffrono di una cronica disfunzionalità. Succedeva anche prima. Gli interventi pubblici
di solidarietà sociale - si pensi ai pazienti di malattie croniche fortemente
invalidanti, come la sclerosi laterale amiotrofica, le cui famiglie sono
lasciate vergognosamente sole - sono di entità pressoché irrilevante. Anche
questo avveniva già prima.
La
carica di delusione, di preoccupazione, di indignazione per i tentativi di
restaurazione che già s’intravvedono- di cui il governo-fotocopia è eloquente paradigma
-deve essere utilizzata non soltanto per difendere il sacrosanto diritto a non
veder vanificato un voto ma anche per avviare, sostenere, spingere un processo
rigenerativo (morale soprattutto) di questo nostro paese del quale si sente
fortemente il bisogno. Dirò subito che, a questo proposito, vedo ragioni, tante
ragioni, troppe ragioni, che non incoraggiano certo l’ottimismo. Ma non è un
buon motivo, questo, per fermarsi. È piuttosto un motivo per accrescere
l’energia, lo sforzo necessari.
È
ora di smettere di essere un popolo bue. Riprendiamoci, amici, quel paio di
cosette che il bue ha perduto.