Il “complesso del re”: missili, atomiche ed
altre storie
di Paolo Maria Di
Stefano
Un incalzare di eventi quanto meno
preoccupanti, nell’imminenza di una Pasqua che, almeno per alcuni di noi, è e
rimane sinonimo di pace e di rinascita: la strage di bambini anche per l’uso di
armi chimiche (oltre che per miseria, malattie, lavori usuranti); i missili lanciati dagli americani sulla
Siria; gli attentati in Europa; quelli in Egitto contro i cristiani proprio la
domenica delle palme; l’attentato a San Pietroburgo; la confermata volontà di
costruire la bomba atomica e di farne uso da parte della Corea del Nord; la
rinunzia degli USA alla difesa dell’ambiente e il loro ritorno all’energia
prodotta dal carbone; la posizione della Russia in favore di Assad; il continuo
flusso di profughi verso l’Europa; il Mediterraneo che sempre di più appare simile
ad un cimitero… E l’ONU, che ancora una volta dimostra la propria impotenza ed
a proposito della quale è forse giunta l’ora di parlare di sostanziale
inutilità, anche a causa della persistente generalizzata difesa del concetto di
“sovranità nazionale”, limite a qualsiasi evoluzione dei popoli, delle nazioni,
degli Stati e dunque dell’intero genere umano.
Può darsi che la storia possa, un
giorno, fare un po’ di chiarezza, sempre che il tutto non cada nel
dimenticatoio, come è molto probabile. Nel frattempo, tutti diranno tutto e il
contrario di tutto, e in tutto sarà riscontrabile un briciolo di verità.
E alcune cose, forse troppe, non
saranno mai dette e alcuni dubbi, anch’essi troppi, non verranno mai espressi,
soprattutto perché “impolitici”, quanto meno. A cominciare da tutto quanto
potrebbe spingere a ragionare utilizzando piccoli o grandi schemi inusuali. Ne
propongo qualcuno, anche se quanto dirò incontrerà con quasi assoluta certezza
la riprovazione di politici, di benpensanti, di esperti e di colti,
segnatamente italiani.
Ma tant’è…
1.Nell’analisi di quanto sta accadendo nessuno degli illuminati
sociologi che rappresentano una delle ricchezze indiscutibili della nostra
civiltà, della nostra cultura e del nostro Paese ha fatto riferimento a quella Scuola Superiore di Parentologia, attiva
in tutto il mondo con successi talvolta anche clamorosi.
Eppure, si tratta, forse, della sola istituzione a carattere veramente
generale, quasi una componente del DNA di tutti gli individui, di tutti i
popoli, di tutte le nazioni, di ogni cultura, senza eccezioni.
Ed è presente ed attiva in tutti i rapporti tra gli individui, i
popoli, le nazioni, quale ne sia l’oggetto: dalla Politica, all’Economia, al
Diritto, all’Etica, alla Morale, alla Religione, sia pure in gradi diversi.
E questo rende, intanto, assolutamente stupefacente il disinteresse
almeno apparente che la circonda anche da parte di quanti, singoli e
istituzioni, si occupano della vita del genere umano e della sua
organizzazione. ONU in testa.
Per la Scuola Superiore di
Parentologia la parentela è una professione e come tale va insegnata e appresa con serietà e metodo. E' un istituto risalente alle origini del genere umano, e pur
avendo ottenuto da tempo il riconoscimento tacito degli Stati e, sopra tutto,
finanziamenti non trascurabili, sembra non essere ancora del tutto a punto, pur
avendo raggiunto ragguardevoli livelli. Di altissimo interesse l'insegnamento
di “Storia del parentato” che, assieme al biennale corso di “Clientelismo
teorico e pratico”, fa da corona ai corsi di “Istituzioni di Servilismo” e di
“Filosofia dell'ossequio”, mentre sembrano carenti materie quali “Etica
Professionale del Parente” e “Parentologia applicata alla Pubblica
Amministrazione”. Piuttosto approfonditi e consolidati, invece, due
insegnamenti fondamentali per l'esercizio della professione: “Apprensione e
Appropriazione delle risorse pubbliche” e “Politica della Spartizione” i quali
si giovano di un approccio più sistematico, di una elaborazione teorica che consente di minimizzare i rischi
scaturenti da una pratica tutto sommato elementare e in buona parte basata
sulla improvvisazione e sulla prontezza istintiva a cogliere l'occasione quando
e se si presenti. E' infatti oggi indiscusso il principio secondo il quale le
occasioni vanno cercate e trovate, se ci sono; se non ci sono, vanno create.
È un dato della storia: da noi
come in altre parti del mondo, il figlio di un professionista tende ad
intraprendere la stessa professione del padre o anche di un parente prossimo; e
quelli degli artigiani, anche. Notariato, avvocatura, farmacia, medicina,
giornalismo, idraulica, meccanica, politica, imprenditoria, docenza
universitaria (…): in quasi tutti i mestieri e le professioni, i figli sono
indirizzati dai padri a continuare la tradizione, magari migliorandola.
Per questo, la scuola ha dato
vita all'Albo Professionale Parenti e Affini (APPA) e ad una Associazione Studenti e Laureati Mercurio alla quale ultima, in attesa
che sia risolta la questione giuridica, possono iscriversi anche i diplomati
del corso dedicato ai Clientes, un corso breve molto frequentato. Segnalo
l'iniziativa sopra tutto perché lo scambio di idee e di esperienze che tramite suo
ha luogo può lasciare intravedere così nuovi orizzonti come tecniche di
appropriazione delle esperienze pregresse.
Per connessione, la Scuola
Superiore di Parentologia tratta della “sindrome del Monarca”, la più nota tra
le forme di ereditarietà ed anche ispirazione del meno conosciuto “complesso
del Re”, che spinge all’emulazione ed alla istituzione di monarchie
striscianti. A tal proposito, una sola annotazione almeno in apparenza
scontata: si tratta sempre e comunque di aspetti di quella ereditarietà delle
professioni e dei mestieri di cui abbiamo detto.
Per l’argomento di cui mi occupo
qui, ricordo: la tentata sebbene non riuscita operazione Clinton, caso non
unico di successione della moglie al marito, preceduto dalla dinastia Bush; il
successo di quella di Assad in Siria
e di quella di Kim Jong-un in Corea del
Nord, entrambi figli del Capo del rispettivo Stato; e l’operazione che riguarda
Trump, parziale perché in prevalenza iscritta nella imprenditoria privata, ma
non estranea alla Politica ed alla grande Economia, per volontà congiunta di
Trump e della maggioranza degli americani.
Circa gli avvenimenti attuali, ancora qualcosa va premesso.
2.1. C’è una guerra, che comunque la si voglia vedere guerra è e
guerra rimane. E come tutte le guerre, consente solo una alternativa: vincerla.
Perché la guerra ha due sole categorie: guerra vinta oppure guerra persa, e
chiunque provochi una guerra lo fa per vincerla. Come peraltro accade per chi
viene aggredito e la guerra la subisce
Vincere è la causa ultima di ogni
guerra, senza distinzioni ulteriori.
Di qui, una importante
conseguenza: la guerra di per sé non consente altra regola che l’utilizzare i
mezzi che si ritengono adatti allo scopo. E dunque, ogni mezzo è buono, se il
suo uso si pensa possa portare alle vittoria.
Tanto – è la conseguenza
dell’esito di una qualsiasi guerra – il vincitore forgerà un diritto a misura
della tutela dei propri interessi ed al mantenimento del potere conquistato. E
dunque le sue azioni diverranno comunque legalmente giustificate, in una con
l’avvilimento del perdente.
Se tutto questo ha un senso – e
credetemi, lo ha, purtroppo – nello specifico come mai si è cercata e si cerca
con ogni mezzo l’eliminazione fisica dell’avversario, ma non quella del (presunto
o reale) responsabile o, se si è tentato, non si è riusciti ad ottenere il
risultato?
E non si sostenga che
l’eliminazione fisica del nemico non è cosa democratica né civile: la guerra
non ammette democrazia e neppure civiltà, poiché di entrambe è negazione
assoluta.
2.2.Quasi tutte le guerre – anche quelle combattute senza ricorrere
alle “armi” propriamente dette – al loro interno esaltano quei principi che di
solito sono ritenuti propri della competizione economica ed ai quali si
riconosce una libertà assoluta dai limiti giuridici, etici, morali e religiosi.
Il Presidente degli Stati Uniti è
un imprenditore di successo. Significa che nel suo DNA è presente il principio
fondamentale secondo il quale occorre cogliere ogni occasione favorevole alla
affermazione della propria impresa sul mercato di riferimento, e che la
rapidità nel farlo è essenziale al successo. Ed è un principio che afferma che
la concorrenza va battuta, e i mezzi per farlo si trovano indicati in un
sistema economico che prescinde da ogni altra regola diversa dalla libertà più
assoluta, appena limitata da un minimo di norme che dovrebbero regolare in
qualche modo il mercato in modo da non trasformarlo in automatico in un teatro
di guerra armata.
Che è cosa quasi altrettanto
difficile del “regolare giuridicamente la guerra”.
Il Presidente ha affermato che è
suo dovere fare dell’economia statunitense la più forte e del suo Paese il più
ricco. Vuol dire prima di tutto tornare a fare gli interessi immediati della
gente, ovviamente disinteressandosi e sacrificando quelli dei non americani. E
gli interessi immediati sono, in concreto, posti di lavoro (riaprire le miniere
di carbone è un modo per ricreare lavoro, come lo è il sostenere il mercato del
petrolio e il rifiuto di limitare tutte le attività che recano danni
all’ambiente); e poi, far accettare gli USA come limite invalicabile ad ogni
azione che non sia nell’interesse del Paese e, a maggior ragione, far desistere
in partenza coloro che gli siano in qualche modo ostili. E per questo è (anche)
opportuno e necessario che il mondo riconosca gli Stati Uniti come il Paese più
forte, in ogni senso, e si astenga dunque –il mondo- dal contrastarlo, tanto
non ci riuscirebbe e andrebbe incontro ad un sicuro disastro. Mettere in moto
le portaerei, lanciare missili, dimostrare di essere in grado di reagire
militarmente a (vere o supposte) provocazioni…
Significa, se così posso
esprimermi, validare a livello planetario la battuta di Franca Valeri sul
marito (Alberto Sordi) imprenditore, da lei (quasi) affettuosamente chiamato
Cretinetti: “vuol fare concorrenza alla Montecatini!”. Se ricordo bene, si
tratta de “Il Vedovo”, diretto da Dino Risi, secondo me un capolavoro di
umorismo nero: se sostituite “Montecatini” con “USA” e “Cretinetti” con uno
Stato qualsiasi…
2.3.La conquista del potere, il suo accrescimento e il suo
mantenimento sono obbiettivi sempre, dovunque e comunque giustificati dal “bene
comune” della nazione (come dell’impresa) di riferimento. E dunque, ottime
ragioni per stroncare sul nascere qualsiasi opposizione. In politica come in
economia.
Meglio: il perseguire il bene
comune è una vera e propria argomentazione di vendita diretta a fare accettare
“dalla gente” quanto i detentori del potere fanno o hanno in animo di fare, in
genere nel proprio esclusivo interesse e in quello dei clienti e sodali, in
perfetta malafede. I pochissimi in buona fede sono sempre stati considerati
idealisti illusi quando non perfetti imbecilli.
Credo non sia mai esistito e non
esista al mondo “uomo politico” e ancor di più “uomo forte” a capo di uno Stato
che non faccia l’impossibile per proporsi ed essere accettato come detentore
della ragione, della conoscenza di ciò che è bene per il popolo, del dovere di
difendere lo status quo da una massa di incompetenti disonesti nemici. E che
sappia resistere alla tentazione di chiamare in causa Dio quale fonte del
potere e ragione dell’uso dei mezzi ritenuti adatti a mantenerlo e accrescerlo.
E sia chiaro: Dio viene evocato
anche quando lo si nega, poiché ogni politico crede di esserlo in proprio e
cerca di vendersi alla gente come tale.
Immaginiamoci quando si tratti di
un dittatore, detentore del potere assoluto!
Tutto questo giustifica qualsiasi
cosa, anche la detenzione e la tortura e la pena di morte e i comportamenti più
biecamente crudeli nei confronti di chiunque “non creda”. La storia ci dice che
spesso è bastata una obbiezione o anche il solo sospetto di una possibilità di
contrasto per eliminare fisicamente anche figli, coniugi, fratelli, parenti…
In politica, come in economia,
ciò che conta sono i rapporti di forza.
Con almeno una possibile
aggiunta: gli imprenditori – come i politici- essendo “uomini illuminati” sono
in grado di prevedere il futuro e, in molti casi, addirittura di preordinarlo
operando sul presente affinché cambi l’avvenire.
Che in genere scarseggino di
autocritica e di senso dell’umorismo è un’altra questione, peraltro suffragata
dalla storia.
2.4.Nel caso di Assad, (ma quello di Kim Jong-un non è poi troppo
diverso) mi pare di poter dire che ci troviamo di fronte ad un dittatore
talmente illuminato da essere in grado di occuparsi non solo del presente, ma
più ancora del futuro del suo Paese e della sua gente. Presente e futuro che si
chiamano come lui. E di questo sono forse convinti coloro che lo sostengono.
I quali un giorno loderanno l’uso
delle armi chimiche e la strage degli innocenti come il tentativo di preservare
la Siria dai rischi di una popolazione che pretenderebbe pace e lavoro, se la
si lasciasse fare, e ciò farebbe anche ricordando gli anni della guerra, della
miseria, delle stragi, delle fughe. Cosa di più efficace, se così è, del
cancellare la memoria attraverso l’eliminazione fisica della attuale
generazione e di quella futura? Oppure (o anche) ritenere che è meglio salvare
i giovani da un futuro nero, quale sarebbe quello senza di lui, uccidendone il
maggior numero possibile, in base ad uno dei sacri principi fondamentali: a
mali estremi, estremi rimedi.
E poi, il bene del mondo! Non mi
stupirebbe affatto se si scoprisse che l’obbiettivo ultimo è quello di
contribuire alla riduzione del numero della popolazione mondiale: una
popolazione ridotta avrebbe maggiori risorse a disposizione e quindi una vita
migliore.
Se così fosse, Assad si
proporrebbe come un modello di perfezione irraggiungibile. Dimostrerebbe di
perseguire il perpetuarsi della specie e la qualità di vita dell’intero genere
umano a costo di sacrificare gli interessi della sua gente.
Anche ignorando un altro dei
sacri principi fondamentali: il numero è potenza.
Egli ha rinunciato a copiare da
coloro che hanno pianificato e gestito campagne demografiche, magari stabilendo
premi per la nascita dei figli (cosa peraltro che in qualche modo sembra
tentare alcuni dei nostri politici e sociologi, preoccupati per il basso tasso
di natalità nel nostro Paese) e, soprattutto, ha provveduto ad impegnare tutte
le risorse possibili per non correre il rischio insito in una migliore qualità
di vita: quello di desiderare di mettere al mondo più figli. La povertà, la
schiavitù, le malattie vanno incentivate, e in Siria (e non solo: la Corea del
Nord segue a ruota) questo è successo, poiché le risorse sono
provvidenzialmente andate alle armi ed alla ricchezza dei pochi meritevoli
perché necessari a guidare la nazione alla fine.
Un segnale certo della decadenza
di civiltà tra di loro diverse ma almeno in parte fatte di una cultura
abbastanza avanzata da consentire affermazioni del tipo “la guerra va
respinta”, “la violenza non paga”, “il convincimento è il mezzo migliore” (…),
tutte affermazioni che hanno già perduto gran parte del significato loro
proprio. Il ritorno all’uso della violenza e della forza più o meno bruta, a
tutti i livelli e sotto tutti i cieli, è un passo indietro di immensa portata e
tale da non poter essere ignorato. Si tratta del frutto di una
“ignoranza di ritorno” alla quale sembra nessuno possa almeno per ora
sottrarsi, in una con quello che appare come il trionfo della imbecillità.
3.Da qualche parte è stato affermato che la previsione degli
attentati terroristici e la ricerca e la individuazione degli organizzatori e
dei responsabili sia un qualcosa di praticamente impossibile. Il che rende
difficilissima la difesa e casuale ogni eventuale successo.
Io credo che se si provasse ad
approfondire il tema della imbecillità e dei suoi rapporti con gli individui e
con gli eventi, con qualche probabilità si potrebbe compiere qualche passo
positivo.
Una delle caratteristiche
dell’imbecille è l’imitazione. L’imbecille è spinto dal proprio status a
replicare azioni a suo parere in grado di produrre notorietà e dunque di
toglierlo dall’anonimato. Chi, magari da
giovanissimo, non ha partecipato ad una dimostrazione (studentesca, in genere)
senza neppur sapere il perché di quell’accadimento, scagli la prima pietra. In
più di una occasione, quella partecipazione si è dimostrata il seme dei
successivi comportamenti da imbecille, tutti in genere caratterizzati dalla
mancanza assoluta di creatività e più ancora di consapevolezza.
E se fosse vero che una qualsiasi
forma di notorietà è una delle molle della imbecillità, potrebbe pensarsi a
combattere proprio la notorietà, rinunziando a dare risalto alle azioni degli
imbecilli ed a quelle di chi le utilizza. Non sarebbe certo la soluzione ai
problemi creati dal terrorismo, ma probabilmente la riduzione di una
motivazione di un certo rilievo, questo sì.
Che sarebbe cosa positiva.