Perché la comunicazione di Donald Trump
funziona
di Gian Paolo Rossi
Tutte le semplificazioni mirano direttamente alla
pancia, alle parti basse, e colgono sempre nel segno. I demagoghi di ogni risma
lo sanno bene e fanno la loro fortuna. Essere vigili significa non cadere nella
trappola; usare il pensiero ed il ragionamento profondo è un antidoto ma non
basta, può valere per le menti raffinate e avvezze alla speculazione
intellettuale. Ma bisogna sapere che le crisi azzerano qualunque raffinatezza
intellettuale: è sempre la lotta che chiarisce le cose, e soprattutto mostra da
che parte stanno i dominatori.
Questo scritto ci dà una traccia della mentalità
americana e di come la semplificazione può essere pericolosa se non se ne
prende coscienza.
La
comunicazione di Donald Trump è spesso criticata e si presta continuamente
all’ironia e alla satira. Eppure ha funzionato, perché proprio grazie al suo
modo di comunicare, contro tutto e tutti, è stato eletto Presidente degli Stati
Uniti. Infatti le elezioni negli Stati Uniti, come anche in Italia, si vincono
ancora attraverso la televisione. Trump incarna l’apologia del vincente che è
fortemente radicata nel DNA degli americani. Basti pensare al discorso del
Generale Patton il giorno prima del D-Day “Gli americani amano i vincitori. Gli
americani non sopportano i perdenti. Gli americani giocano sempre per vincere.
Ecco perché gli americani non hanno mai perso e mai perderanno una guerra;
perché l’idea stessa di perdere è insopportabile per un americano”. Il Generale
non parla di Libertà, Democrazia, Pace, Lotta alle dittature. Parla di
Vittoria.
E pensiamo poi alla
filmografia americana, a partire da John Wayne che davanti al Chinese Theatre
dove tutte le star lasciarono le impronte delle mani e dei piedi nel cemento
fresco lasciò l’impronta degli stivali e del pugno, per poi arrivare a Rocky,
Rambo e i Die Hard di Bruce Willis. Donald Trump è un imprenditore vincente che
comunica come i personaggi dei film, con una sbruffonaggine sincera che fa
simpatia, perché lo rende vicino alle persone comuni. Non è l’eroe algido e
lontano ma una persona che ha incarnato l’American
dream e che parla con semplicità, senza paura di essere giudicato in quanto
consapevole di essere un grande. Così come i personaggi interpretati da John
Wayne nei dialoghi non erano politicamente corretti, così anche Trump nel
politicamente scorretto guadagna quella spontaneità, che è associata da chi
ascolta alla verità, che lo rende ulteriormente vicino all’elettore. Tutto
sommato sono discorsi da bar e proprio perché “bassi”, arrivano. E dato che tutto il mondo, compresa l’Italia, ha
importato con la cinematografia americana anche i modelli e i valori americani,
qui da noi Silvio Berlusconi ha vinto le elezioni utilizzando inconsapevolmente
gli stessi driver, diventando così il
precursore di Donald Trump.
Al contrario, Renzi ha
pagato l’atteggiamento arrogante del vincente parvenu che ha acquistato nei suoi ultimi mesi di presidenza del Consiglio,
che lo hanno allontanato dagli elettori trasformandolo da visionario ad
antipatico. Ed è proprio perché le leve su cui fa perno la comunicazione di
Donald Trump riecheggiano dal passato che lo slogan “Make America Great Again”
diventa efficace, proprio grazie alla parola “again”.