Gli
ordigni nucleari come armi di distruzione climatica
di
Alfonso Navarra
L'inverno nucleare è lo scenario, di cui,
tra gli altri, fu pioniere il famoso astrofisico Carl Sagan, che, leggiamo su
Wikipedia, “conseguirebbe ad una ipotetica guerra termonucleare di
estensione mondiale tra potenze, come la Russia, gli Stati Uniti, la Cina, la
Francia, la Gran Bretagna e altri paesi in possesso di un arsenale di armamenti
atomici dal potenziale distruttivo su scala globale”.
Gruppi di
scienziati hanno elaborato nel corso degli anni diverse teorie riguardanti
questo fenomeno: si sono basati
innanzitutto sugli effetti riscontrati durante le esplosioni atomiche
avvenute a Hiroshima e Nagasaki (in Giappone) sul finire della Seconda Guerra
Mondiale, poi sui vari esperimenti nucleari portati a termine da molti stati
nel periodo post-bellico e della Guerra fredda; infine sugli effetti
collaterali del disastro di Chernobyl.
La guerra
nucleare andrebbe a formare, in virtù dei venti, delle particelle di materia
carbonizzata, delle polveri radioattive e di qualsiasi altra sostanza in grado
di alzarsi nell'aria, una barriera impermeabile ai raggi solari che farebbe
crollare le temperature nell'atmosfera. La combinazione tra le temperature
gelide, l'oscurità permanente e le radiazioni dovute alle esplosioni atomiche
produrrebbero sconvolgimenti climatici tali da pregiudicare la sopravvivenza
delle specie animali e vegetali e provocare effetti devastanti anche sullo
strato di ozono. L'inverno
nucleare deriverebbe dalla produzione di polveri fini in conseguenza
dell'esplosione di testate nucleari su obiettivi civili (e quindi non sui mari
o nei deserti come durante i test atomici). Lo scenario di impiego massiccio
delle armi poggia sul fatto che al momento delle esplosioni un moto convettivo
(il fungo atomico) trasporta rapidamente tutte le polveri verso strati più
alti.
Spiega
sempre Wikipedia: “Questo dovrebbe creare una uniforme nube di polvere e
cenere radioattiva sospesa nell'aria fra i 1000 e i 2000 metri da terra. La
nube accumulerebbe l'energia solare e farebbe salire le temperature degli
strati della tropopausa e alta troposfera fino a 80 °C mentre la superficie
della Terra rimarrebbe protetta dai raggi solari e si raffredderebbe in media
di 40 °C”. Scusate se è poco!
Vi sono
anche scenari di impiego più contenuto di armi “atomiche” che vanno sotto il
titolo di “guerra nucleare locale”: vedi articolo allegato de Le Scienze (marzo
2010), autori Alan Robock e Owen Brian Toon, dal sottoscritto citato ne: “La
follia del nucleare: come uscirne” (coautori Luigi Mosca e Mario
Agostinelli – Mimesis Edizioni, 2016).
Questo il
sottotitolo del pezzo: “Ci si preoccupa dei rapporti tra Stati Uniti e
Russia, ma una guerra nucleare regionale tra India e Pakistan potrebbe
offuscare il Sole e affamare buona parte dell’umanità”.
Qui la
previsione diciamo ottimistica è di solo un miliardo di morti dopo una ventina
di anni, a scalare dall'epicentro del conflitto.
Nel 2014
un altro studio su un possibile conflitto nucleare tra India e Pakistan è
salito agli onori della cronaca: questo invece è stato pubblicato sulla rivista
Earth's Future dell'American Geological Society (AGU).
(si vada
alla URL: http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1002/2013EF000205/full).
Siamo
sempre ad uno scambio di 50 missili a testa di 15 kilotoni l'uno ma i morti
previsti raddoppiano con l'uso di nuovi modelli: 2 miliardi al posto di uno.
La stessa
cifra viene fuori da uno studio dell' International Physicians for the
Prevention of Nuclear War (si vada su: http://www.ippnw.org/nuclear-famine.html).
Secondo quel lavoro, un conflitto nucleare su piccola scala potrebbe portare ad
una diminuzione nella produzione di grano
di almeno il 10% per dieci anni, con picchi che raggiungerebbero il 20%
nei momenti peggiori. Gli
ordigni nucleari, se la teoria dell'inverno nucleare fosse pienamente
comprovata, potrebbero secondo ogni logica essere inseriti a tutti gli effetti
nella categoria delle armi di distruzione climatica: le catastrofi
climatiche che possono provocare sono un effetto essenziale del loro impiego.
Arma
direttamente climatica non è quindi, ad esempio, solo la tecnologia
elettromagnetica usata militarmente per sconvolgere l'ambiente: è proprio
l'arma nucleare, che produce onde d'urto, tempeste di fuoco, inquinamento
radioattivo ed impatto elettromagnetico; ma, con un impiego relativamente
allargato, anche il cosiddetto “inverno nucleare”.
Un
attacco nucleare contro la Corea di poche decine di bombe H non farebbe solo
milioni di morti subito su un territorio circoscritto: il cambiamento climatico
e la destabilizzazione agricola ed ecologica investirebbero un'area molto più
ampia (la Cina è vicina!) e nel periodo di un paio di decenni potrebbero
causare, come si è visto, centinaia di milioni di morti.
Nel 1976,
un'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato una Convenzione
internazionale ( Risoluzione 31/72 del 10
dicembre 1976) che ha vietato l'uso militare di tecniche di modifica
dell'ambiente che hanno effetti diffusi, duraturi e gravi nel tempo.
Essa è
nota come Convenzione ENMOD (Convention on the Prohibition of Military or
Any Other Hostile Use of Environmental Modification Techniques), è stata
aperta alla firma il 18 maggio 1977 a Ginevra ed è entrata in vigore il 5
ottobre 1978.
L'Italia
ha firmato la Convenzione a Ginevra il 18 maggio 1977 e l'ha ratificata con la
legge n. 962 del 29 novembre 1980.
(Per il
suo testo andare alla URL: http://disarmament.un.org/treaties/t/enmod)
La
Convenzione proibisce l'uso militare e ogni altro utilizzo ostile delle tecniche
di modifiche ambientali aventi effetti estesi, duraturi o severi.
Il
termine “tecniche di modifiche ambientali” si riferisce ad ogni tecnica
finalizzata a cambiare – attraverso la manipolazione deliberata dei
processi naturali – la dinamica, la composizione e la struttura della
Terra, incluse la sua biosfera, litosfera, idrosfera e atmosfera, così come lo
spazio esterno.
I criteri
per la definizione di tali tecniche non sono definiti nel corpo della
Convenzione ma nell'Intesa sull'Articolo I che, riportando quanto emerso in
fase negoziale, esplicita i termini:
“esteso”
come riferibile ad un'area di diverse centinaia di kilometri quadrati;
“duraturo”
come riconducibile ad un periodo di mesi o di almeno una stagione;
“severo”
come correlato ad un'azione che provoca danni seri o significativi alla vita
umana, naturale alle risorse economiche o altre attività.
I primi
due criteri sono valutati con parametri quantitativi e l'ultimo criterio con
elementi qualitativi in parte riconducibili al concetto di sviluppo
sostenibile.
Il
divieto di guerra climatica, ovvero di utilizzo delle tecniche di modifica del
clima o di geoingegneria con lo scopo di provocare danni o distruzioni, viene
ripreso anche nella Convenzione sulla diversità biologica del 2010.
Vogliamo,
dopo queste informazioni, a questo punto cercare il pelo nell'uovo?
La
Convenzione ENMOD non tutelerebbe l'ambiente da qualunque danno provocato dalle
azioni belliche o ostili ma vieterebbe solo quelle tecniche offensive che
trasformano l'ambiente stesso in un'arma, ascrivibili alle tecniche di
manipolazione ambientale.
In questo
senso non vieterebbe l'uso di armi atomiche per distruggere – che so – Pyong
Yang ed altre città coreane. Ma si dovrebbe anche considerare l'eventualità che
l'attacco alle città di un Paese piccolo possa essere solo uno schermo che
nasconde l'intenzione di provocare modifiche ambientali capaci di
disorganizzare e portare alla fame un Paese più grande confinante.
Gli
ordigni nucleari capaci di tali effetti potrebbero allora essere considerati
proibiti ai sensi della citata Convenzione ENMOD e una conferenza di
revisione convocata ad hoc dall'ONU potrebbe avallare un tale sviluppo
innovativo del diritto internazionale.
Un'altra
strada potrebbe essere quella di considerare, all'interno del percorso
dell'accordo per contrastare il riscaldamento globale di Parigi del 12 dicembre
2015, la minaccia nucleare direttamente come una minaccia climatica, non solo
un problema collegato alla seconda dalla potenzialità analoga di estinzione
della specie umana.
La
minaccia nucleare potrebbe essere vista come possibile minaccia climatica
diretta, allo stesso modo dell'accumulo di gas serra.
Questo
ragionamento costituirebbe un salto di paradigma anche per noi Disarmisti
esigenti, che pure abbiamo lavorato sull'intreccio tra le due minacce sia a
Parigi, sia a New York che a Bonn, cioé sia nel percorso disarmista che in
quello climatico.
Preparare
la guerra nucleare significa comunque preparare il più sconvolgente e repentino
cataclisma climatico. Potrebbe avvenire non solo come effetto collaterale ma
come risultato di una azione intenzionale.
Sembrerebbe
quindi opportuno, anzi doveroso, che il percorso ONU delle COP climatiche (ora
dalla COP 23 di Bonn si va alla COP 24 a Katowice in Polonia) ne prendesse
consapevolezza e si cautelasse dall'inverno nucleare o da quanto altro potesse
essere prodotto dalle armi nucleari come alterazione climatica deliberata.
La crisi
coreana rende questi discorsi molto concreti per chiunque, nel momento in cui
due leader statali – e disgraziatamente non si tratta di una barzelletta –
fanno la gara a chi detiene il bottone nucleare più grosso!
Quanto
sopra esposto dovrebbe comunque fare riflettere reti come la COALIZIONE PER IL
CLIMA, che si sono costituite con l’obiettivo di costruire iniziative e
mobilitazioni comuni, nazionali e territoriali, per raggiungere la massima
sensibilizzazione possibile sulla lotta ai cambiamenti climatici, allo scopo di
salvare il nostro Pianeta.
Se si ha
a cuore il futuro dell'ecosistema globale bisogna adoperarsi per eliminare alla
radice la minaccia nucleare, che oltretutto, come si è detto, potrebbe essere
direttamente minaccia climatica.
Ne
consegue la necessità di farsi partner attivo della Campagna ICAN (Abolizione
delle armi nucleari), allo stesso modo in cui la Rete ICAN non farebbe male ad
occuparsi dell'intreccio tra minaccia nucleare e minaccia climatica.
Non
sarebbe affatto fuori tema “ecologista” la richiesta che, al di là delle
singole organizzazioni aderenti, la COALIZIONE in quanto tale si facesse
addirittura componente di ICAN in Italia, accogliendo l'appello di “SIAMO TUTTI
PREMI NOBEL”, lanciato con la conferenza stampa al Senato dell'11 dicembre
2017.