I signori della Terra
di Fulvio Papi
La copertina del libro |
Federico Rampini (che non ha di
certo bisogno della mia opinione) mi pare il giornalista italiano che, nei
nostri anni, ha saputo interpretare al meglio possibile la sua professione. Non
l’ho mai sentito dare una notizia, se pur breve, con lo spirito feticistico
della notizia - di solito moralmente diffusa - ma sempre collocata in una rete
di intellegibilità dove essa assume un significato, al di là della confezione
del “fatto”. Nell’epoca dell’informazione totale è un pregio che può aiutare
nel compito, non facilissimo, di fare ancora uso della carta stampata per una
conoscenza del quotidiano. I giovani ne sono già molto lontani e crescono con
le forme informatiche della conoscenza, lontani secoli da quello che diceva
Croce intorno al loro compito che sarebbe stato soltanto quello di crescere. Mi
paiono - agli estremi - una forza, una energia e, contemporaneamente una
passività. Sono temi molto difficili che, in ogni caso, Rampini sa molto meglio
di me. Se la filosofia avesse qualcosa da aggiungere allo stile del nostro
autore, direi che l’àtita la categoria di finalità che introduce domande,
ipotesi, giudizi, generalità che interpretano in questa latitudine, non priva
di fantasiosi pericoli, i dati di fatto più generali, come segni di una
totalità. Per esempio Rampini vede con chiarezza l’ingiustizia (ma non in senso
storico, ma è poi così veritiero?) che c’è a San Francisco dove, nel sistema
dei trasporti, i giovanissimi “creativi” dell’industria informatica, possono
godere di comodità da Oriente Express, mentre gli altri viaggiano pigiati “come
sardine”, secondo un’espressione che si usava nel dopoguerra in una Milano
dotata di poche vetture tranviarie. Tutti questi discorsi iniziali per
introdurre l’attenzione su l’ottimo libro di Rampini Rete padrona di due o tre anni fa, dato che a me le notizie
arrivano con il “tam-tam” dei pochissimi amici rimasti o dell’efficiente
libraio d’altri tempi. So bene che non c’è nulla di positivo in tutto ciò,
perdonabile forse con una lettura attenta ad ogni riga, compresa come se questo
testo o altro fosse l’occasione per un esame. Cercherò di riferire la trama
essenziale del lavoro, ma all’inizio, vorrei ricordare che Rampini ci rende
noto, qualora cadesse colpito da terroristi informatici la centrale di tutto il
sistema, noi finiremmo in pieno Medio Evo, che è molto meno “oscuro” di quanto
l’ideologia del razionalismo ottocentesco abbia ritenuto. Al punto che i
pochissimi amici informati da me su questa possibile evenienza hanno replicato,
senza minimamente citare Novalis e dintorni, ma con la solita teatrale
esibizione intellettuale che in fondo non sarebbe stato una tragedia. Era il
tempo di una poesia straordinaria, una riflessione e una pratica politica
invidiabile, stando così le cose, un lavoro servile ma non mortificante come
quello degli operai delle manifatture inglesi della rivoluzione industriale,
una valorizzazione pubblica di virtù che oggi sono quasi scomparsi, come anche
una violenza estrema per colpe immaginarie. Ma l’aspettativa di vita era molto
più breve, e, tuttavia, a quanto riferisce Ariès, la morte meno tragica. Resta
il fatto - aggiungeva il gioco - che un dente in crisi ci conduceva dal
barbiere, e le stagioni mortifere della peste erano diffusi e incomprensibili.
Bacone vide che un aumento del sapere avrebbe reso più facile e gradevole la
vita, e Cartesio capì che era la medicina il centro fondamentale di quella
visione di progresso, molto più che le conoscenze militari. Ora, brevemente,
sul libro. L’espressione “padroni” (filologicamente incerta) è perfetta per
mostrare come “noi” siamo dipendenti dalla rete telematica, dalle sue
tecnologie intellettuali e dai suoi sovrani sociali, senza che nemmeno ce ne
accorgiamo, così potente è il loro dominio, diventato una introiezione di
tecnologie e quindi un’abitudine e, addirittura, una identità. La storia
sociologica ci ha mostrato che si diventa “uomini”, per di più come si può, e
proprio come lo consentono coloro che comandano sul mondo. Nel capitolo “I
tentacoli di Amazon” un’immensa potenza informatica, si legge: “Un editore
americano la paragona a un Padrino”. Un grande giornale la definisce la Piovra.
Un documentario della BBC, girato in segreto nei suoi stabilimenti, descrive sfruttamento
e ritmi ossessivi da Tempi moderni di
Charlie Chaplin. Innovazione flessibile, lungimirante e visionaria. Ma anche
spietata. A vent’anni dalla sua fondazione è una vera sfida fare luce su
un’azienda misteriosa che, al confronto, con la Apple dei tempi di Steve Jobs,
era quasi trasparente”. Si tratta di una colossale impresa monopolistica – pare
che in questo settore sia facile eludere la legge – Certi trust che nel proprio
funzionamento interno ha un indice di sfruttamento senza proporzioni (impallidiscono
le inchieste dei medici e dei parlamentari inglesi sul lavoro minorile al tempo
della rivoluzione industriale). E, a livello della collettività sociale, la
forza impositiva di un Impero invisibile (altro che l’impero “idraulico” cinese
dei primi studi della scuola di Francoforte). Amazon si espande ulteriormente,
compreso il “Washington Post” come strumento di pressione politica e/o di
consenso sociale: “Al pari di Apple e Google, Amazon è diventato uno dei
simboli di un capitalismo digitale spregiudicato”, e abilissimo nell’evasione o
nella elusione fiscale. Per un filosofo europeo ci vuole poco a dire che si
tratta di una delle trasformazione del capitalismo che sono connesse con lo
sviluppo tecnologico, mostrano una straordinaria forza politica e una enorme
efficacia nel provocare identità sociali. Troppo “amarcord” del vecchio Marx?
Prosegue Rampini: “L’ultima trovata di Amazon sono le prenotazioni anticipate e
non richieste. Cioè libri ordinati prima ancora che siano usciti e prima che ne
conosciamo l’esistenza. Amazon è convinta di conoscere i nostri gusti al punto
da anticipare quello che vorremmo e riempire il carrello della spesa proprio
come faremmo noi”. Una materiale ripresa dell’onniscenza divina (oggi
teologicamente in ombra). Il pubblico di questo potere informatico (che viola
la tradizionale relazione da uno a uno) diviene sempre più vasto: siamo
prossimi alla dimensione planetaria. Suppongo con la esclusione delle
popolazioni amazzoniche e polinesiane studiate, nella mia giovinezza, con il
sentimento del rimorso. Ma l’orgia del progresso è onnivora. A tutto ciò segue
(nella mia narrazione non nei fatti) la dimensione della intercettazione
selettiva e delle tecnologie necessarie per la selezione adatta ai propri fini.
Nell’opera di Rampini qui si apre una lunga e interessante analisi del sistema
politico delle informazioni con la tecnica dello spionaggio e delle misure
necessarie. “È su Internet che si combattono guerre totali (addio 007).
Internet è il nuovo terreno di un conflitto mondiale per decidere mosse
strategiche, in primo luogo la possibilità dell’informazione”. Mi limiterei ad
osservare tra chi usa le informazioni per le proprie finalità, quali che siano
le sue proposizioni storiche e sociali. Ma se due o tre personaggi del tutto
marginali alla Rete, decidono di sparare, lo fanno senz’altro. L’errore è
nell’imprevidenza umana nell’uso informatico o nel limite della Rete? O,
meglio, in tutti e due? Sfuggire in ogni caso è abbastanza difficile, dato che
emergono reti al plurale: “una balcanizzazione deplorevole, ma forse
inarrestabile. Gli interessi di ogni forma di capitalismo (“per essenza”) sono
non solo compatibili con altri, ma se ben orchestrati, possono creare ulteriori
vantaggi. Ora c’è la grande alleanza (impossibile tra Papato e Impero, USA e
URSS) tra la Silicon Walley e Wall Street. Mercati truccati? Bisogna provarlo e
ci vogliono analisti fuori misura. Ma vi sono rischi endemici già noti: “tutte
le ultime crisi finanziarie hanno recato il segno della contaminazione tra
finanza e tecnologie digitali”. A questo punto (del resto avanzato) decido di
abbandonare la narrazione del testo che, del resto, analizza una specie di
“fenomenologia sociale” derivata dalla struttura fondante. Tutte informazioni
che sarebbe bene conoscere per non rischiare (come capita) una chiacchiera
lunare. Vado a temi che mi paiono decisivi. L’uno è la nascita di una leva di
giovanissimi “creativi” che sono impegnati nelle varie tecno-detentrici di
tutti i poteri informatici. Sono ragazzi che studiano (e in una specie di
concorrenza “chiusa” relativa all’orizzonte dell’innovazione. Perché ragazzi? Naturalmente
non lo so, ma lo suppongo. Per tradizione i matematici di valore svelano il
loro talento molto giovani. E qui il discorso è accettabile. Poi c’è la forma
dell’allevamento dei talenti. Le possibilità vitali dei ragazzi vengono
selezionate in ordine a potenti ma molto limitate possibilità. Si può portare
ad un massimo livello una potenzialità dell’esistenza, considerando superfluo
il resto. Lo scambio di questa selezione avviene in denaro. Poiché ci sono molte
possibilità di creatività intellettuale che vengono connesse con un equilibrio
valoriale (non indotto da un potere totalmente), c’è più di una domanda, anche
radicale, che si può avanzare. E infatti non mancano critici del nuovo impero
che, da quando ho capito, trovano forme di opposizione, la famosa pirateria
informatica, all’interno dello stesso sistema. Un qualsiasi generale sa che
l’attacco lo si deve portare nel punto più debole dell’avversario. In questo
caso non c’è per una ragione pratica facilmente descrivibile: il “valore d’uso”
(quale che sia), è condiviso da miliardi di soggetti che chiedono
immediatamente la riparazione del guasto, un modo che ha qualche somiglianza
con un disastro naturale che compromette la propria vita. Di qui non si passa.
Federico Rampini |
La critica
se non è “democraticamente” parziale, appartiene alla messa in gioco di un
eccesso di valori formali: una debole energia aristocratica, per ora una
“primula rossa”. A voler indovinare, seguendo le esperte tracce di Rampini, può
entrare in crisi quando viene meno (per infinite ragioni) il “vuoto” che
valorizza l’informazione, cioè il suo senso. Una informazione veramente
totalitaria, assomiglia a un reciproco “scacco al re” e quindi non interessa
nessuno. È ovvio che ogni forma di informazione deve corrispondere a un
interesse in qualche modo competitivo. Provate a mettere un sistema informatico
alla vita come appare nel Vangelo di Matteo. Utopie? Scemenze? In fondo anche
Platone a proposito della sua Repubblica sosteneva
che non era di principio irrealizzabile, ma che forse, (il forse lo posso
mantenere?) sarebbe capitato un tempo... Stiamo agli aspetti negativi concreti
che si ricavano dall’ultimo lavoro di Rampini. Uno: promuovere i famosi giovani
“creativi”, vuol dire ipotizzare l’infinità di un mondo competitivo. Due: si
può ampliare questa analisi nella dimensione analitica del capitalismo
contemporaneo privo di dialettica della speranza. Tre: una splendida città come
San Francisco è stata urbanisticamente rovinata ed è diventata inabitabile per
i costi delle locazioni, anche per un professore con 55.000 mila dollari
l’anno. Quattro: è aumentata in modo notevole la quantità della povera gente.
Questa analisi critica si può metaforizzare con un “bianco e nero”
dell’intelletto, che, qualche volta, si può affrontare con i mezzi legali del
sistema politico: qualche volta, in qualche caso. Il paradiso non è dei
privilegiati, ma è quello perduto, persino nell’immaginazione dei più. Quindi,
come credo direbbe anche Rampini: usate il sistema informatico fin che si
integra come “prassi” nel vostro senso. Altrimenti il sistema può schiacciare
ogni forma di temporalità, si da distruggere la possibilità di una identità.
Spero (da inesperto) di non esagerare e, in ogni caso, complimenti all’ottimo e
competente scrittore.