UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

lunedì 21 febbraio 2022

LA FUSIONE NUCLEARE PER NON INIZIATI
Conversazione fra Romano Rinaldi e Gianluca Spizzo*
 


 
La notizia del recente esperimento di fusione nucleare sostenuta per un tempo non istantaneo (5 secondi) nel laboratorio europeo del reattore JET (Joint European Torus) a Culham, vicino Oxford, in Inghilterra, diffusa il 9 e 10 febbraio in tutto il mondo, ha suscitato grande interesse scientifico e mediatico ed ha inaspettatamente dotato di un carattere “profetico” l’articolo di “Odissea” del 21 gennaio (1).
 
Per i lettori di “Odissea” ho incontrato Gianluca Spizzo, uno dei ricercatori italiani del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) impegnati nella ricerca e sviluppo delle metodologie fisiche e matematiche tese a raggiungere, attraverso questi esperimenti, un traguardo che ha dell’incredibile; la produzione di enormi quantità di energia riproducendo sulla Terra una reazione simile a quelle che avvengono nel Sole. Si tratta della reazione di fusione di nuclei di “idrogeno” (in effetti i due isotopi: deuterio e trizio) per dare origine al gas nobile elio (Helios = Sole) con l’espulsione di un neutrone e il rilascio di una grande quantità di energia nucleare sotto forma di calore. A differenza delle reazioni chimiche, che avvengono tra gli elettroni e sono attivate dalle energie che si sviluppano tra i legami interatomici (formazione e trasformazione di molecole e composti), le reazioni nucleari avvengono tra neutroni e protoni che sono legati tra di loro da forze enormemente superiori e le trasformazioni che si attuano sono trasmutazioni di elementi in altri elementi, proprio come è avvenuto nella formazione dell’Universo e (in una certa misura) continua ad avvenire nelle stelle. [R. R.]
 
Rinaldi. Quali sono le differenze concettuali tra la fissione (il processo che utilizzano le attuali centrali nucleari per la produzione di energia elettrica) e la fusione nucleare? Per quanto ne so io, nelle prime si utilizza un materiale fissile, un isotopo radioattivo dell’uranio (uranio 235) che, fabbricato in barre poste in determinate condizioni di confinamento, danno l’avvio alla “reazione a catena” una volta raggiunta la “massa critica”. A quel punto si può controllare la reazione in modo da mantenere costante la produzione di neutroni (e di calore). Se si lascia proseguire la reazione, questa si autoalimenta e tutto il materiale fissile fonde producendo una situazione infernale: il famoso “melt-down” della “Sindrome Cinese” ovvero quello che è avvenuto nel disastro nucleare di Chernobyl. Non è una esplosione nucleare ma è un “incendio” esplosivo di materiale altamente radioattivo che nulla riesce a spegnere.
 
Spizzo. Proprio così; viceversa, la reazione di fusione nucleare, per esempio quella tra deuterio (2H, 1 protone + 1 neutrone) e trizio (3H, 1 protone + 2 neutroni) che si utilizza negli esperimenti come JET, porta alla formazione di un nucleo di elio (He, 2 protoni + 2 neutroni) e l’emissione di un neutrone (particella neutra). Nessuno dei due prodotti della reazione è radioattivo. Ai ragazzi delle scuole che vengono in visita al nostro laboratorio del Consorzio RFX, a Padova, scherzando io dico che con il prodotto della fusione, l’elio, possono gonfiare i palloncini delle feste di compleanno. È una battuta ma come tutte le battute, diceva Oscar Wilde, ha un fondo di verità.
Un altro grande vantaggio della fusione è che un reattore a fusione non potrà mai esplodere, come Chernobyl. Un vecchio “padre” della fusione, l’ingegnere inglese John D. Lawson, scoprì nel 1961 un criterio che porta il suo nome. Se per qualsiasi motivo la temperatura all’interno del reattore a fusione dovesse superare il limite stabilito da quel criterio, la reazione automaticamente si spegnerebbe. Insomma, un reattore a fusione è intrinsecamente sicuro, come se avesse una specie di “airbag” incorporato. E questo semplifica molto il progetto di un reattore a fusione per quanto riguarda l’aspetto sicurezza. Il terzo vantaggio sta nel fatto che una reazione di fusione produce una quantità di energia cinque volte superiore a quella della fissione, a parità di massa. In sostanza, un reattore a fusione ha bisogno di una quantità incredibilmente piccola di “combustibile” per funzionare. Nella “pancia” del grande reattore in costruzione nel sud della Francia, entrerà l’equivalente in deuterio di due fialette di acqua pesante (ossido di deuterio, vedi figura). Per paragone, la stessa quantità di energia viene prodotta da un quintale di carbone. Pensate la differenza in termini di inquinamento!


  
R. Perché si parla di “plasma” (un termine usato in ematologia) nel caso della fusione nucleare? La durata di soli 5 secondi è davvero un traguardo importante? Perché?


S. La fusione per innescarsi ha bisogno di temperature elevatissime: questo è il prezzo da pagare per avere una fonte di energia pulita, sicura e inesauribile. Si parla di temperature pari a 100 milioni di gradi. L’idrogeno, e i suoi isotopi, che sono dei gas, a quelle temperature subiscono una trasformazione che li porta a un “quarto stato” della materia, chiamato “plasma”. “Plasma” è un termine che fu coniato dal fisico americano Irving Langmuir per descrivere l’aspetto di un gas ionizzato dentro i tubi da scarica in quarzo, chiamati “tubi di Crookes”, che erano molto studiati all’inizio del 1900. Non c’entra nulla con il “plasma” in medicina! Il plasma dei gas è abbastanza comune in natura: sono fatti di plasma i fulmini, gli archi delle saldatrici, le aurore boreali, e ovviamente c’è plasma sul Sole, che noi moderni alchimisti cerchiamo di riprodurre sulla terra. Un plasma, date le temperature “stellari”, nel vero senso della parola, non può essere confinato in nessun contenitore materiale. Furono gli scienziati russi per primi a capire che si poteva utilizzare un campo magnetico per imbrigliare questa materia incandescente che, essendo composta di particelle cariche (ioni ed elettroni), risente fortemente dei campi elettromagnetici. Chiamarono questa bottiglia magnetica a forma di ciambella vuota “Tokamak”: TOroidalnaya KAmera MAKina, macchina a camera toroidale. I principali esperimenti attuali di fusione, JET (Joint European Torus) in Inghilterra e ITER (International Thermonuclear Experimental Reactor), in costruzione nel sud della Francia (ne parliamo dopo), sono basati sul principio del Tokamak. L’idea è geniale, perché anche il plasma del Sole è imbrigliato alla superficie da campi magnetici, ma gran parte del lavoro viene fatto da una potentissima forza di gravità. Cosa che purtroppo manca nel plasma terrestre; noi dobbiamo fare tutto col campo magnetico del Tokamak, il che complica tremendamente le cose. La durata di “soli” 5 secondi dell’esperimento potrebbe apparire irrisoria ma non lo è affatto se si pensa alle velocità tipiche delle particelle che compongono il plasma. Un nucleo di deuterio alla temperatura tipica di JET impiega qualche microsecondo, vale a dire un milionesimo di secondo, per fare un giro completo del toro, cioè della ciambella. In 5 secondi il deuterio fa 2 milioni di giri dentro la ciambella, il che è incredibile! Quindi 5 secondi è un tempo più che sufficiente per dimostrare che il processo è sostenibile in linea di principio. La breve durata è principalmente dovuta al materiale (rame) col quale sono costruite le spire dei magneti. Altri materiali hanno caratteristiche elettriche molto più efficienti: sono i cosiddetti “superconduttori” che, operando a bassa temperatura, promettono di superare questa limitazione. Per inciso, la maggiore azienda per la produzione di bobine super-conduttrici è italiana, ASG Supeconductors, di Genova. È là che viene fabbricata una parte delle bobine superconduttrici di ITER.
 


  
R. Quali e quante “scorie” radioattive sono prodotte dal processo di fusione nucleare e dagli apparati necessari alla sua realizzazione? C’è il rischio dell’uso delle scorie per armi nucleari?


S. Una reazione di fusione produce, oltre all’elio che rimane “imbrigliato” nel campo magnetico del reattore, anche neutroni ad alta energia; sono i neutroni che trasportano circa l’80% dell’energia della reazione. Nel progetto del reattore a fusione, i neutroni depositano la loro energia come calore in un mantello (il cosiddetto “blanket”) che circonda il plasma. Qui avviene l’estrazione del calore attraverso un circuito di raffreddamento (ad acqua o altro fluido) che rappresenta il circuito primario della futura centrale elettrica. Insomma, alla fine di tutto, la fusione è la moderna interpretazione di una macchina a vapore! È pur vero che i neutroni, nel loro “viaggio” verso l’esterno (non possono essere trattenuti dal campo magnetico!), possono cambiare le proprietà delle strutture metalliche del reattore; questo fenomeno viene chiamato attivazione neutronica. Si tratta di una forma di radioattività cosiddetta “secondaria” (quindi non prodotta da scorie della reazione) e di vita piuttosto breve a seconda dei materiali, da qualche giorno ad un massimo di pochi decenni. Nulla a che vedere col materiale fissile utile per la produzione di armi nucleari! È da sottolineare poi che la radioattività riguarda componenti interni del reattore, cioè camera da vuoto, blanket e prima parete, che sono elementi completamente schermati dall’esterno. Il rischio di contaminazione all’esterno, di fughe di materiale radioattivo, come a Fukushima, è inesistente. Infatti, in caso di malfunzione, non è possibile che le strutture interne della macchina fondano anche in caso di perdita totale di refrigerante. Non è necessario quindi un sistema di emergenza per il raffreddamento, come avviene nelle centrali nucleari a fissione.


 
 

R. Quali tempi sono prevedibili per lo sviluppo della tecnologia industriale della fusione nucleare per la produzione di energia elettrica? Quali i principali ostacoli da superare?


S. Fabio Pistella, ex direttore dell’ENEA, nonché uno dei padri della fusione in Italia, ama paragonare il progresso della fusione al programma spaziale, piuttosto che agli analoghi esperimenti della fisica delle particelle, come avviene al CERN di Ginevra. Nell’esplorazione spaziale ci sono state varie tappe: i lanci sub-orbitali poi quelli orbitali, poi lo sbarco sulla Luna, più recentemente lo Space Shuttle e la Stazione Spaziale Internazionale (ISS) e si pensa nel futuro di raggiungere Marte con sosta preventiva sulla Luna. Così il progresso nella fusione nucleare, partito nel 1959 con la conferenza di Ginevra “Atomi per la Pace”, ha avuto varie tappe. Il progetto europeo JET è una tappa importante, come pure l’esperimento di produzione di energia da fusione fatto recentemente su JET con una miscela di deuterio e trizio, e con una nuova parete in tungsteno. Questo esperimento ha fornito le indicazioni necessarie alla prossima realizzazione di un nuovo e più potente reattore molto più grande e che sfrutta le proprietà dei superconduttori (a bassissima temperatura) e che sarà un’ulteriore tappa verso la futura centrale elettrica a fusione nucleare, cioè il “Marte” di questo programma. Questa “tappa” è attualmente in costruzione a Cadarache, in Provenza col nome di Progetto ITER (International Thermonuclear Experimental Reactor). ITER sarà il primo esperimento tokamak con tutti i componenti del futuro reattore a fusione nucleare per la generazione di energia. Opererà stabilmente con deuterio e trizio, avrà un “blanket” per il raffreddamento dei neutroni, un sistema di rimozione delle cosiddette “ceneri” di elio (chiamato “divertore”), e tutti i sistemi di controllo e di sicurezza necessari in una futura centrale per la produzione di energia elettrica. ITER è un progetto internazionale che fa capo a un consorzio di sette “nazioni” (Cina, EU, Giappone, India, S. Corea, Russia, USA), e che rappresenta più della metà della popolazione mondiale. Secondo queste tappe, la produzione di energia elettrica dovrebbe avvenire dal 2050 in poi. All’interno di questo percorso, sono poi previste delle tappe intermedie volte a studiare aspetti specifici, per esempio il divertore, oppure aspetti di fisica teorica da approfondire, come la turbolenza magnetica e le particelle veloci. Queste tappe intermedie sono complessivamente designate come “broader approach” (approccio ampio) nel programma della fusione, e sono ugualmente importanti. Nella fisica, come nella vita, i piccoli passi contano come e più dei grandi “balzi” in avanti.


 

R. Quali materie prime e in quale quantità rappresentano risorse non rinnovabili nella tecnologia della fusione nucleare?


S. Il deuterio si ricava dall’acqua marina: in 50 litri di acqua ci sono poco meno di 2 g di deuterio, quindi, possiamo affermare che i depositi potenziali di deuterio siano di fatto infiniti. Per quanto riguarda il trizio, non verrà introdotto dall’esterno dentro il reattore ma verrà autoprodotto nella camera da vuoto dal bombardamento neutronico del litio contenuto nei moduli del “blanket”, secondo un processo di co-generazione che in fisica nucleare è denominato “breeding”. Quindi il litio costituisce, assieme al deuterio, la materia prima delle centrali a fusione. Per una centrale da 1 giga-Watt elettrico il bisogno di litio sarà di circa 30/70 t per anno. Le disponibilità di litio terrestre sono abbondanti. Inoltre, il litio è presente nella misura di 0.1 mg/litro nell’acqua di mare, per cui si può concludere che le riserve di combustibile per la fusione siano di fatto illimitate.
 
R. Potrebbe, da sola, la tecnologia della fusione nucleare sopperire al fabbisogno energetico nazionale o del mondo intero?

S. È difficile rispondere a una domanda del genere, perché dipende dall’evoluzione della tecnologia. Sicuramente potrà dare un contributo fondamentale all’abbattimento delle emissioni di CO2 nella seconda metà del secolo.


 
R. Quale impatto ambientale può determinare un impianto a fusione nucleare ed il reperimento dei materiali per la costruzione dell’impianto e per la produzione di energia?
 
S. Su questo mi trovi impreparato.


R. Visto che qui ti dichiari impreparato, proverò io a fornire qualche indicazione. La costruzione di qualsiasi centrale elettrica di una certa importanza, comporta la disponibilità di un’area più o meno delle stesse dimensioni. Quindi l’impatto sul territorio è ormai ben noto. Poi si dovranno considerare i materiali da impiegare, a partire dal cemento che a sua volta richiede cave di pietra calcarea e lavorazione a caldo che consuma energia ed attualmente produce una notevole quantità di CO2. Vanno poi chiaramente aggiunti i metalli e i materiali, a partire dall’acciaio e tutti gli altri che vanno nei componenti tecnologici delle macchine e degli strumenti. Anche in questo caso non ci si discosta granché da altri tipi di installazioni ad alto contenuto tecnologico. Poi ci sono i prodotti “di consumo” e fino ai combustibili veri e propri di cui si è già detto. Si può solo sperare che la non pericolosità intrinseca dell’impianto e la mancanza di emissioni nocive possano inibire, almeno in parte, la sindrome “nimby” ma su questo aspetto è praticamente impossibile definire un parametro di accettabilità generalizzato. Adesso ti faccio un’altra domanda. Qual è la “resa energetica” del “combustibile” usato nella fusione nucleare rispetto ai tradizionali combustibili fossili?


S. Una fialetta di deuterio fornisce la stessa energia di due ettolitri di nafta o di un quintale di carbone. E non produce CO2!

 
 
 
R. Infatti, nell’esperimento condotto con JET, due decimillesimi di grammo di “combustibile” hanno prodotto l’energia che si ottiene con 2 kg di gas. Il rapporto tra le masse in gioco è di 1 su dieci milioni. Per metterla “in soldoni” è la differenza che c’è tra il costo di un caffè (1€) e quello di un palazzo di 12 piani su una base di 400mq (a 2.000 €/mq).
Ora proviamo a riassumere gli ultimi due aspetti che mi preme affrontare in questa conversazione. Qual è l’impegno dell’Italia (personale e risorse economiche) dedicato al progetto? Quali competenze scientifiche sono necessarie per completare la fase di sviluppo di questa tecnologia fino ad arrivare alla produzione industriale di energia elettrica?
 
S. L’Italia partecipa al progetto con circa 600 ricercatori impiegati a vario titolo dal CNR, ENEA ed altri Enti pubblici e privati. Il finanziamento è confrontabile con l’impegno di altri Paesi europei e riguarda anche le infrastrutture e impianti pilota. Per esempio, nell’ambito degli accordi europei su ITER, a Padova, presso il Consorzio RFX, che è un consorzio privato di CNR, ENEA, Università di Padova, INFN e Acciaierie Venete S.p.A. e che opera nell’area del CNR, si sta sviluppando il prototipo (in scala 1:1) dell’acceleratore di particelle neutre di ITER. Questo progetto, chiamato MITICA (Megavolt ITER Injector & Concept Advancement), rappresenta il principale sistema di riscaldamento di ITER, in sostanza l’“accendino” che innescherà la fusione in ITER. Attualmente è in avanzata fase di operazione una versione più piccola di MITICA, chiamata SPIDER (Source for the Production of Ionized Deuterium Extracted from Rf plasma - vedi figura). Gli esperimenti coinvolgono non solo i ricercatori italiani, coordinati dai miei colleghi Vanni Toigo e Gianluigi Serianni ma anche altri europei, indiani, e giapponesi altrettanto coinvolti nel programma ITER. Sempre nell’area del CNR di Padova, il Consorzio RFX gestisce anche un'altra macchina di forma toroidale, una ciambella chiamata proprio RFX, che è in fase di rinnovamento per inglobare tutta una serie di migliorie e di nuovi dispositivi di misura che la rendono in assoluto una delle macchine da fusione più diagnostiche al mondo. RFX in realtà è il primo esperimento, il “padre” a cui deve il nome il nostro Consorzio. Iniziato nel 1992, ebbe una prima fase di revisione nel 2004, operò fino al 2015 per poi iniziare la seconda fase di rinnovamento che si sta completando proprio ora, sotto la guida dei miei colleghi Lionello Marrelli e Simone Peruzzo. RFX riaprirà gli esperimenti nel 2023, quando JET avrà presumibilmente esaurito il suo ruolo, e sarà un importante “palestra” in cui si allenerà la “generazione Z” di giovani ricercatori italiani che opererà presso ITER. Inoltre, presso i laboratori dell’ENEA di Frascati è in fase di progetto un nuovo tokamak, chiamato DTT (Divertor Tokamak Test, vedi figura) che sarà una tappa importante all’interno del programma “fusione” Europeo per lo studio del sistema di rimozione delle ceneri di elio, di cui abbiamo accennato riguardo a ITER. È previsto che gli esperimenti su DTT comincino nel 2032. Insomma, il programma fusione italiano può offrire un vasto campo di progetti su diverse scale di tempo: attualmente SPIDER e MITICA a Padova, nel 2023 RFX, nel 2032 DTT a Frascati, e poi ancora nel 2050 ITER. L’Italia, che entrò nel programma di ricerca sulla fusione fin dagli albori di questo percorso, nel 1959, con i nostri “padri fondatori”, Giorgio Rostagni e Gaetano Malesani a Padova, Marcello Fontanesi a Milano, e Bruno Coppi a Roma, rimane uno dei Paesi di riferimento in questo settore di ricerca scientifica e sviluppo tecnologico.
 

 
R. Posso immaginare che le competenze scientifiche e tecniche coinvolte in questo progetto siano un insieme aperto di molte discipline e molti rami di ricerca e sviluppo in fisica, matematica, scienze dei materiali, elettronica, elettrotecnica, metallurgia, informatica e tanti altri che dovranno concorrere alla realizzazione di un progetto tanto ambizioso. Per citare solo un esempio, lo studio della fisica del plasma richiede, tra l’altro, l’elaborazione di modelli della dinamica (moti, vortici, ecc.) di questo particolare “fluido” e del campo magnetico in cui è costretto. Si tratta di uno studio iniziato con la curiosità di Leonardo da Vinci riguardo i moti vorticosi dell’acqua oltre 500 anni fa! Recentemente la matematica e la fisica hanno fornito risposte alle domande che già si faceva Leonardo, coi famosi disegni dell’acqua e delle nuvole, nell’ultimo periodo della sua vita. È di tre giorni fa la notizia, apparsa sulla prestigiosa rivista scientifica Nature (2), dell’applicazione di un complesso codice informatico che fa capo alla ricerca sull’intelligenza artificiale (AI) per pilotare i campi magnetici in un Tokamak e mantenere attivo il flusso di plasma in una macchina sperimentale per il tempo massimo (2 secondi) consentito da quello strumento.
 
S. Hai perfettamente ragione ed è un campo nel quale stiamo lavorando anche noi n Italia.


 
 Note 
* Gianluca Spizzo è Ricercatore presso l’Istituto per la Scienza e la Tecnologia dei Plasmi del CNR (ISTP-CNR), e presso il Consorzio RFX a Padova.
https://www.cnr.it/peoplepublic/peoplepublic/index/scheda/u/gianluca.spizzo  
 
(1) R. Rinaldi (“Odissea” venerdì 21 gennaio 2022)
https://libertariam.blogspot.com/2022/01/confronti-fonti-energetiche-diromano.html 
 
(2) Jonas Degrave, Federico Felici (et al.) Magnetic control of tokamak plasmas through deep reinforcement learning. Nature, Feb. 16th 2022.
https://www.nature.com/articles/s41586-021-04301-9  

Privacy Policy