CHIRURGHI IN
PRIMA LINEA
di Angelo Gaccione
Contardo Vergani
Ricerche
come queste in cui si è avventurato il chirurgo Contardo Vergani sono
encomiabili perché fondono materie fra le più diverse e vanno a scavare dentro
archivi, ambiti e luoghi per far parlare fatti, documenti, dati, memorie, vite,
che altrimenti rimarrebbero muti. Non si tratta di semplice medicina, il suo
orizzonte si dilata e finisce, quasi necessariamente, per comprendere storia, politica,
etica personale e quant’altro l’agire umano e gli eventi sociali vanno a
determinare. Per averne un’idea basta dare una semplice occhiata alla
bibliografia del volume che stiamo prendendo in esame: Chirurghi in prima
linea. Storia degli ospedali chirurgici mobili nella Grande guerra,
e all’apparato fotografico che lo correda. Non va dimenticato che Vergani è prima
di tutto un medico e dunque la passione per la storia è mossa prevalentemente
dalla sua professione. A fine lettura ci si renderà conto che il suo intento
(ben quattro anni di ricerche spostandosi da un luogo all’altro) non era solo
quello di rendere giustizia ai tanti colleghi in camice bianco che rischiando
la propria vita sui vari fronti di guerra l’hanno salvata ad un numero
considerevole di soldati, ma di avere, altresì, tenuto d’occhio l’interesse per
diagnosi e clinica che della medicina stanno alla base. L’intervento dei medici
in prima linea durante la grande guerra - o inutile strage -,
come l’aveva definita Papa Benedetto XV, diventerà un prezioso apprendistato
per medici dalle diverse specializzazioni e per la sanità civile; grazie al
dibattito scientifico e ai congressi di chirurgia che avranno luogo. Dibattito
e confronto che si incentreranno sulle ferite di guerra: cranio-cerebrali,
midollari, toraciche, addominali, osteo-articolari, e con la consapevolezza di dover
operare in ambiente asettico per la buona riuscita dell’intervento; un ambiente
sterile in grado di non compromettere il successo. Dati ed esperienza che
ritorneranno utili negli anni a venire.
Contardo Vergani |
Vergani in camice bianco
Teniamo
conto che la ricerca di Vergani è focalizzata prevalentemente ad indagare sull’idea
pioneristica di Baldo Rossi di portare al fronte il suo Ospedale Chirurgico Mobile,
addirittura smontabile. Se consideriamo i tempi e le contingenze belliche, possiamo
capire immediatamente il quadro delle difficoltà in cui si va a prestare
soccorso. Baldo Rossi vincerà la sua sfida, dotato com’è di una volontà di
ferro, di grandi capacità organizzative, di una sterminata rete di contatti e
di entrature, ma anche di notevole senso pratico. Non solo troverà il denaro
per la sua creatura che battezzerà “Ospedale Chirurgico Mobile Città di
Milano”, ma ne scriverà il regolamento e ne disegnerà persino il bozzetto del
prototipo. Al seguito della “carovana” composta da diciotto carri merci che si
muoverà il 15 maggio del 1916 dallo scalo di Porta Vittoria per dirigersi al
fronte, viaggiavano all’incirca centocinquanta persone. Rossi è come se
spostasse il suo intero efficiente padiglione Zonda sul teatro di guerra. Non
solo medici e militari di grado differente, ma anche dame della Croce Rossa che,
con mansioni fra le più diverse, daranno il loro prezioso contributo di
abnegazione e di umanità. Alcune di loro pagheranno questa devozione con il sacrificio
della vita.
Baldo Rossi in un dipinto
di Pietro Gaudenzi
L’idea di
Baldo Rossi si rivelerà valida: poter disporre di un soccorso il più vicino
possibile al fronte di guerra per la cura dei feriti, significa intervenire in
modo più rapido rispetto alle distanze delle strutture ospedaliere fisse.
Tant’è che presto all’ospedale mobile di Rossi si affiancherà il numero 2 col nome
“Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde” diretto dal prof. Bozzi e il
numero 3 intitolato al nome del medico Giovanbattista Monteggia. L’Ospedale
Maggiore di Milano, il Policlinico, così io lo chiamo da sempre, conserva
tuttora uno dei padiglioni intitolati al suo nome, come conserva una lastra
ricordo per Rossi allo Zonda, voluta da amici e colleghi che per l’occasione si
erano auto tassati.
Baldo Rossi in un dipinto di Pietro Gaudenzi |
Il Policlinico
A chiusura
della sua ricerca Vergani si chiede, alla luce dell’esperienza, se l’idea propugnata
da Rossi di costruire gli ospedali chirurgici mobili fu vera gloria. Al netto
delle polemiche, delle inevitabili incomprensioni, delle criticità reali
(personale non sempre all’altezza del compito o poco specializzato, costi
eccessivi, ecc.), dopo aver confrontato le posizioni non sempre benevole di
personalità di primo piano della chirurgia del tempo, Vergani dà una risposta
positiva e fa bene. Ricordiamo qui di sfuggita che persino l’imbocco di una
galleria era stata trasformata in ospedale da campo, quella di Zagora, dove
vengono ricoverati 323 feriti ed eseguiti 176 interventi chirurgici. Questo per
dire in che situazione si doveva operare. Davanti a tanto indefesso impegno c’è
da inchinarsi a uomini e donne come questi, e bisogna andare fieri del servizio
offerto dall’équipe milanese. Ma anche le cifre depongono a favore del 1°
ospedale chirurgico “Città di Milano”: più di 5 mila interventi chirurgici di
cui oltre 4 mila su feriti gravi. Nel complesso i tre ospedali mobili cureranno
migliaia di soldati. Se proviamo ad immaginarci per un momento i luoghi di calvario
e di sofferenza dove si svolgeva la guerra di trincea, tra fango, freddo, fame,
cadaveri in putrefazione, gas asfissianti, palle di mortai, lamenti, urla,
bestemmie dei feriti o di chi si ritrovava con il ventre squarciato dalle
pallottole. Se pensiamo all’ambiente allucinante e ostile in cui si doveva
esercitare una professione così delicata; ai mezzi limitati e scarsi nel
fragore assordante delle armi; al pericolo sempre in agguato a cui si era
esposti; “le gesta chirurgiche audaci e disperate” (sono parole di
Vergani), di quel pugno di uomini e donne, rasentano l’eroismo o la santità.
Uomini e donne che hanno fatto prevalere in ogni istante senso del dovere e umanità,
e si sono presi cura medicando, soccorrendo, confortando, incuranti del rischio
personale. “Migliaia di feriti salvati da morte certa”, scrive Vergani.
Lutti evitati a tante famiglie che si sarebbero assommati ai 650 mila morti e
al quasi mezzo milione di mutilati che in quegli anni terribili (1915 – 1918),
sono costati a noi italiani. “Innumerevoli discendenti devono la loro
esistenza agli uomini e alle donne delle Unità Mobili”, sono ancora parole
di Vergani. A quegli uomini e a quelle donne che si sono prodigati per salvarla
ai loro padri la vita, e ai quali va reso onore imperituro.
Il Policlinico |