Cari tutti,
vi segnalo lo scritto del filosofo e musicologo Gabrielle Scaramuzza
che troverete nella rubrica "Il Pane e le Rose"
Per Claudio Abbado
di Gabriele Scaramuzza
Non starò a ripercorrere la storia, nota, e ripetuta in
questi giorni su tutti i giornali, di Claudio Abbado. Mi soffermo piuttosto su
alcuni punti cardine della lezione che ci ha lasciato, ed è di valore duraturo.
Abbado lavora fino alla fine, inseguendo un sogno non di solo perfezionamento
professionale del suo lavoro, bensì soprattutto di testimonianza dell’alto
valore, culturale, esistenziale e civile insieme, della musica. Non a caso
Fulvio Papi, che lo conobbe, lo ricorda tuttora con ammirazione e affetto.
Non so più
quale è stata la prima volta che ho visto Abbado alla Scala; l’ultima volta fu
nel concerto del ritorno, nel novembre del 2012, in giorni in cui è mancata la
sorella Luciana Pestalozza, pure musicalmente assai impegnata: seguo ogni anno
Milano Musica, da lei fondata.
A chi ascolta
resta il senso che Abbado
imprime alle sue esecuzioni, e trascina dall’inizio alla fine; qualcosa di
simile mi accade con Furtwängler.
Pochissimi giorni fa ho potuto ascoltare il video della sua direzione
dell’ultimo tempo della Nona di
Mahler: l’intensità emotiva del suo volto si trasmetteva nei volti dei giovani
esecutori che lo attorniavano, con profonda gratitudine.
Tra Milano e
Pesaro ha contribuito alla rinascita di Rossini: hanno fatto epoca le sue
esecuzioni di Cenerentola,
di Il viaggio a Reims. Ma restano indimenticabili,
per citare le opere cui mi sento più intimamente legato, Mahler (a partire
dalla Seconda, con cui si è
presentato e ha preso congedo dalla Scala), Wozzeck.
E tanto Verdi: il Requiem, il Ballo
in maschera; il
Macbeth e il Simon Boccanegra con Strehler;
il Don Carlo con Ronconi; per tacere di Otello
e Falstaff. In anni più recenti rivisto
Abbado nel Simon Boccanegra a
Firenze, con l’orchestra che letteralmente volava, presa dall’unità di senso
che le sapeva imprimere. Indimenticabile anche l’attimo di silenzio finale, la
sospensione prima di abbassare la bacchetta e ricevere gli applausi. Un momento
di alto raccoglimento per non disperdere l’intensità dell’ascolto e lasciar
vibrare il dramma dentro di noi.
Quanto al suo modo di dirigere sono grato a Alice Cappagli
(violoncellista nell’Orchestra della Scala fin dai primi anni ’80, ha suonato
sotto la direzione di Abbado più volte) per avermi offerto una testimonianza di
prima mano, e competente, in proposito. La riporto qui sotto con le sue
parole...
(Leggi tutto l'articolo nella rubrica "Campi Elisi)