LA DIFFICILE SFIDA DELL’INTEGRAZIONE
di Fulvio Papi
Rileggendo a distanza di una decina
d’anni alcune pagine del celebre libro di Alain Touraine “la globalizzazione e la fine del sociale” ho ritrovato alcune
riflessioni che sono particolarmente importanti per comprendere alcuni aspetti
fondamentali della drammatica crisi contemporanea, funestata da veri e propri
attacchi di natura militare nei confronti delle forme di vita occidentali. Cito
i passi che poi cercherò di commentare al meglio possibile. “L’autoritarismo, l’ignoranza, l’isolamento
costituiscono altrettanti ostacoli alla produzione di sé come soggetto che
colpiscono più duramente alcune categorie di persone. Allo stesso tempo questi
ostacoli vengono rafforzati dalla educazione e dai valori dominanti che tendono
ad assegnare a ciascuno un posto e a integrarlo in un sistema nel quale non può
avere alcuna influenza. Ora per riprendere l’idea di Amartya Sen, ciò che
conta, al di là del benessere, è la libertà di essere un attore […]. Soggetto non è sinonimo di “io”, l’io è il
mutevole insieme e sempre frammentario con il quale ci identifichiamo pur
sapendo che è privo di unità durevole […]. È un tema tipico dell’esperienza contemporanea che deve essere portato
alle conseguenze estreme, perché soltanto dalle macerie di un io disgregato può
nascere l’idea di soggetto”. Questa analisi di Touraine ci porta al centro
di un problema contemporaneo ben noto: il fallimento (o quasi) in Francia della
integrazione degli extracomunitari nel sistema culturale nazionale. Il problema
è ovviamente aperto anche in altre situazioni nazionali. L’integrazione con
l’autorità, la legge, la lingua, il costume, l’educazione possono creare un
“io” che abbia sufficienti ragioni per relazioni dirette con l’ambiente sociale
in cui è entrato. Ma questo “io” può anche apparire nella relazione che
ciascuno ha con se stesso, insufficiente, passivo e frustrante, incapace di
agire secondo una qualsiasi persuasiva finalità. Ora è propria questa
caratteristica che appare fondamentale per trovare un “soggetto” il quale, e
qui è il tema essenziale, può nascere solo dalle “macerie dell’io”. Il che
significa che l’io, così com’è stato costituito, appare, nell’esame di sé a se
stesso, come un artificio, una maschera, una falsificazione. Una esperienza del
vuoto di sé che è derivato dalla disintegrazione dell’ “io” che ora consente
solo la nascita di una figura esistenziale di un “soggetto” vuoto. Questa analisi
mi pare particolarmente pertinente oggi quando vediamo giovani immigrati di
seconda o terza generazione di fronte all’impossibilità o alla incapacità di
costruire un “io”, e di incontrare la propria libertà solo nella relazione
negativa con sé stessi. È facile inferire che sia proprio questa situazione
individuale, condivisa da altri, a creare le condizioni per una ribellione
radicale che trova il suo “agire” solo nella violenza e nel gioco crudele del
dare la morte. Probabilmente sono in questa prospettiva le ragioni esistenziali
ed eversive che conducono alla adesione a forme religiose totalizzanti che
sostengono la negazione assoluta del mondo occidentale, quella società che ha
impedito il formarsi di un “io” conforme a se stessi. La credenza religiosa, in
questi “soggetti”, nei quali l’occidentalizzazione è fallita nella formazione
dell’identità, è una decisione parallela. Una analisi come questa che rimette
nel discorso, con un nuovo significato, il concetto, un poco arcaico, di
“soggetto”, mette di fronte a una situazione che non lascia sbocchi positivi
alla nostra tradizione. Il “soggetto”, qui nasce dalla inesistenza di un “io”,
dalla identità vuota di se stesso che può trovare “io” e “identità” solo nella
distruzione dell’assoluto altro da sé che è il contenuto vitale, opposto al
proprio vuoto, nelle sue forme compiute personali e sociali. Il fanatismo e la
crudeltà hanno la loro radice nel modo distruttivo in cui si è costruita questa
forma sociale di “soggetto”. Nel mondo contemporaneo questa è una, la più
drammatica, delle possibilità dell’incontro tra culture diverse che trovano nel
mondo occidentale “soggetti” disponibili alla radicalizzazione “ideologica” del
loro confronto. Ma, ripeto, nei “convertiti” occidentali la radice è quel
“soggetto” che nasce dalla devastazione dell’ “io” che conduce nell’aggressione
mortale al ritrovamento di una identità.
È un problema tragico che con meno fiducia nella positività universale
della nostra cultura, si poteva forse immaginare e quindi temere. Ma ora non è
né una questione di superficie e tanto meno di chiacchiere.
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