Le
memorie locali
di Giovanni
Bianchi
La scia del 25 Aprile
Il
settantesimo anniversario del 25 Aprile ha dato la stura al proliferare di una
serie di interessanti memorie locali. Tra queste le autobiografie che, come
ricordava mi pare Lalla Romano, si presentano in genere come delle bugie bene
acconciate.
Non
è il caso dei testi raccolti in memoria di
Giovanni Orsi, personaggio eminente ai tempi della Prima Repubblica nella zona
più operosa della Brianza dei mobilieri: quella che insiste tra Cantù, Mariano
Comense, Meda e Cabiate. Orsi infatti è stato presidente dell’Associazione
Artigiani di Cantù e Brianza e sindaco del comune di Cabiate, esponente della
Democrazia Cristiana e della corrente della sinistra di Base, dove fece la
conoscenza con il leader milanese Albertino Marcora e con l’attuale capacissimo
presidente della Fondazione Cariplo, Giuseppe Guzzetti. Erano tempi nei quali
l’Italia della ricostruzione marciava verso il proprio futuro con una miriade
di piccoli imprenditori (i “Brambilla” del Censis, di Aldo Bonomi e delle
sociologie in generale) i quali per
esempio, come narra di sé proprio Giovanni Orsi, si recavano al proprio
matrimonio in bicicletta. Grande saggezza dei curatori del volume, Felice
Asnaghi e Angelo Orsi, è stata rintracciare tutta una serie di documenti
autografi, perché l’Orsi si rivela, oltre che eminente imprenditore e politico,
anche scrittore notevole.
Brianza cattolica e
antifascista
Cosa
narra Giovanni Orsi? Parla del “mondo cattolico” di Brianza. Una Brianza tutta
bianca dove neppure il fascismo delle origini riesce a sfondare, arrivando a
malapena nelle elezioni del 1924 a una percentuale del 18%, mentre i partiti
democratici si attestano sul 60%.
Una
“briantitudine” antifascista tra le
meno rammemorate nel diluvio di commenti e discussioni che anche recentemente
hanno accompagnato questa terra così bene raccontata dal Carlo Emilio Gadda di La cognizione del dolore. Un “mondo cattolico” (oggi scomparso, ma
allora c’era) che il grande domenicano francese Marie-Dominique Chenu così
descriveva per comparazione:
“Noi
francesi abbiamo avuto più cenacoli intellettuali e gruppi liturgici; voi
italiani avete creato cooperative, forni sociali, Casse Rurali e Artigiane,
molte associazioni: il vostro è un cattolicesimo eminentemente popolare e associativo”.
Di
questo “mondo” l’Orsi scrive con una grande maestria, che può ricordare Piero
Chiara, o anche l’odierno Andrea Vitali (Premiata
Ditta Sorelle Ficcadenti). Ma anche e forse di più le sequenze dei films di
Ermanno Olmi –da Il posto a L’albero degli zoccoli– con alcune
puntate felliniane, come quella che troviamo a pagina 25 di queste Memorie di una vita. 1915 -1996,
Cabiate, gennaio 2016.
Vi
si parla di quel Galimberti della Ca’
Basa in questi termini:
“I
vecchi Galimberti, soprannominati i Ca’
Basa, erano affittuari del conte Padulli. Lavoravano i campi dalla mattina
alla sera. Un giorno, mentre erano in campagna, videro passare lungo la via per
Mariano una carovana di zingari. Uno dei due fratelli, intento a zappare la
terra, improvvisamente sbottò a dire: “Butto il forcone sul gelso, se scende
vuol dire che devo rimanere qui, se invece rimane sulla pianta, significa che
lascio tutto e mi unisco ai girovaghi”. L’attrezzo rimase impigliato fra i rami
e lui prese la giacca, fece un cenno di saluto, corse sulla strada, raggiunse
gli zingari e di lui non si seppe più nulla”.
Un
personaggio e una scena così possono stare ne La strada di Fellini, tra Gelsomina e Zampanò.
Il militante
Oltre
che buon scrittore Giovanni Orsi è militante e poi dirigente del mondo
cattolico. Intellettuali organici di questo “mondo” erano i propagandisti e i
preti. E infatti le figure dei parroci di Cabiate, come le racconta Giovanni
Orsi, costituiscono una galleria indimenticabile. Cos’era infatti quel mondo cattolico?
Un mondo di grandi fondamenti e di grande e generoso attivismo. A partire dal vertice
della curia ambrosiana. Diceva del cardinale Schuster il suo amico arcivescovo
di Parigi: “È un mal-vivant”… Che non
si traduce malvivente, ma uno che vive male, perché lavora troppo, non mangia
quasi nulla, dorme pochissimo e lavora sempre.
Altra
figura eminente di questo mondo cattolico ambrosiano è monsignor Francesco
Olgiati, più volte ricordato dall’Orsi. Olgiati, professore di filosofia del
diritto all’Università Cattolica del Sacro Cuore, era un grande studioso che
dedicava tutte le proprie attenzioni proprio all’educazione dei militanti
cattolici.
I
suoi numerosissimi libri, in particolare Il
sillabario del cristianesimo e Il
sillabario della morale cristiana, superarono le trenta edizioni,
diventando ante litteram dei best sellers.
Tra
questi intellettuali organici alla cattolicità ambrosiana -come l’Olgiati
ricordato dall’Orsi- c’era il professor Giuseppe Lazzati, che diventerà nei
decenni successivi rettore dell’Università Cattolica. Anche lui dedito
all’educazione dei futuri dirigenti, a partire dagli “aspiranti” di Azione
Cattolica. I suoi testi catechistici sono di un rigore e di una semplicità
esemplari. Quando Giuseppe Lazzati si occupa del passo evangelico che paragona
il credente ai tralci della vite, si ha l’impressione di leggere più una pagina
di botanica che il catechismo.
Lazzati
infatti -dimenticati i titoli accademici e la profondità dei propri studi
patristici- tutto faceva pur di farsi capire.
Quale cultura diffusa
In
questo clima nacquero in diocesi i “Corsi Dirigenti”, che si svolgevano la
domenica mattina presso la sede diocesana dell’Azione Cattolica milanese in via
Sant’Antonio. Qui era dato ascoltare insieme Giuseppe Lazzati e don Luigi
Giussani, già allora detto don Gius, le cui vie saranno destinate più tardi a
dividersi e divaricare.
Ci
si rende difficilmente conto della preparazione dei militanti cattolici di
allora.
Papà
era un operaio addetto alla manutenzione dei forni dalla Falck Unione. Era
iscritto alla Avanguardia Cattolica il cui motto risultava: “O Cristo o morte”. Una scritta che
ancora si legge alla base della cupola della chiesa prepositurale di Santo
Stefano a Sesto San Giovanni.
Vi
erano sere in cui, rientrato dal lavoro, papà comunicava alla nonna:
“Serata
di ritiro a Triuggio”, e usciva di corsa senza neppure avere cenato e dopo
avere furtivamente messo sotto la giacca un nerbo di bue che gli sarebbe
servito per fare a botte con i socialisti che si ponevano lungo il corso di una
processione eucaristica in atteggiamento di sfida, o calcandosi il cappello
sulla testa o sputando per terra.
Non
era tuttavia un energumeno, ma un lavoratore molto professionale e molto
preciso che possedeva una piccola biblioteca di testi dedicati alla formazione,
e tra questi in particolare quelli dell’Olgiati, ivi compresa una biografia di
Carlo Marx, evidentemente tutt’altro che celebrativa. La Brianza è uno degli
epicentri di questo mondo cattolico, in particolare con i suoi circoli, che,
come a Sesto San Giovanni, hanno progressivamente chiuso i battenti. Tutti:
quelli cattolici, quelli comunisti, quelli socialisti.
È
finita una stagione politica: quella delle grandi narrazioni ideologiche, e con
essa sono finiti i militanti (il cui termine fu storpiato alla fine degli anni
Ottanta in “militonto”).
Sono
finiti i luoghi di ritrovo sociale, e chi ripercorre le vie dei nostri paesi
troverà che i bar gestiti dai privati, che sono succeduti ai circoli familiari
e cooperativi, risultano frequentati la mattina in particolare da mamme e nonne
che sorbiscono il cappuccino dopo avere accompagnato i figli e i nipoti alla
scuola, e nel pomeriggio le medesime per il tè con le amiche, dopo essere
passate a ritirare figli e nipoti al termine delle lezioni.
Una storia esemplare
Resta
ancora una osservazione sull’atmosfera dell’antifascismo in Brianza. Le
testimonianze di Orsi sono puntuali e gustose insieme. Basterà per tutte quella
relativa a una spedizione punitiva dei fascisti.
Scrive l’Orsi: “La sera del 19
dicembre la popolazione era in subbuglio perché dovevano arrivare da Milano
alcuni nazionalisti che avevano promesso il loro intervento per combinare
l’apertura del circolo. Il parroco era andato dopo le 20 alla stazione ad accompagnare
suo fratello. Fu visto dalla ronda fascista locale che aveva procurato anche
l’intervento dei fascisti di Meda, i quali avevano scelto Cabiate come campo di
loro azione e ribalderia. Quella sera chiamarono alla sede del Fascio un tal
Battista Longoni a cui diedero una delle solite purghe. Alle 22.30 chiamarono
il parroco, che già si trovava a letto. Fu invitato alla sede del Fascio, col
pretesto che si dovesse discorrere circa il modo da usare per pacificare il
paese. Introdotto il parroco tra questi ribaldi, forniti di manganelli e di
moschetti, il ribaldo maggiore vomitò contro il parroco un sacco di infami
calunnie: sabotatore, sovvertitore del popolo, intrigante, politicante,
travisatore della religione e gli disse: “Promette di non sparlare del fascio e
dei fascisti? Promette di non impicciarsi delle cose successe”? Il parroco
rispose solo queste parole: “Prometto di essere e di fare solo il parroco di
Cabiate”.”
Tutto
era cominciato per l’iniziativa di un gruppo di giovani cabiatesi, che avevano
alzato abbondantemente il gomito, di mettersi a cantare squarciagola “bandiera rossa”, provocando la reazione
degli squadristi.
Il senso di una storia
locale
La
Brianza ha di questi scorci storici che meritano davvero di essere ripercorsi.
Ricordo
la mia prima visita al circolo di Meda da presidente regionale delle Acli
lombarde. Mi mise sull’avviso il presidente del circolo: “Ricorda Giovanni che
la Brianza è particolare, ma Meda è più particolare ancora”.
Un
giudizio sintetico che era insieme una mappa.
È
questo il mondo narrato da Giovanni Orsi (Cabiate comincia dove Meda finisce).
Un mondo laborioso, professionale, solidale, cattolico. Non mancano ovviamente
i difetti e non vengono nascosti, ma il Noi la vince sempre sull’Io.
Nostalgia?
No. Memoria storica. E la storia discende dalle domande che le rivolgiamo: che
è la lezione di Le Goff e di Scoppola. Memoria di gente con la schiena diritta
che il molto lavoro e il non poco guadagno non distraevano né dalla politica,
non dalla ruminazione religiosa, e neppure dall’attenzione agli altri. Così
toccò proprio a Giovanni Orsi, alla fondazione della Dc, tenutasi a Napoli nel
1947, tenere il discorso alla Costituente degli Artigiani. Perché questo era il
militante cattolico di quegli anni, con nel portafoglio più tessere che soldi:
la tessera dell’Azione Cattolica, delle Acli, della Cisl, della Dc, del circolo
e della cooperativa familiare.
Un
mondo composto da un popolo di contadini, artigiani, operai, militanti,
propagandisti, sindacalisti, uomini di partito. Con per stella polare un bene
comune che anche oggi sarebbe bene riscoprire. Un’etica di cittadinanza fondata
sul Vangelo e sul lavoro.
Perché
proprio l’artigianato è stato da queste parti fede nel lavoro e più ancora
nella famiglia: in zone dove dilagava con una presenza tra il 36 e il 40%. Dove
i giovani risultavano “apprendisti” in cerca di un lavoro, che riuscivano a
trovare in fretta, e che li avrebbe accompagnati, così pensavano, per tutta la
vita.
[Sesto
San Giovanni -Milano-Febbraio 2016]