AREZZO. L’ORTO DI VASARI
di Angelo Gaccione
Piazza Grande |
Sentite come parla del suo orto
Giorgio Vasari in una lettera all’amico cardinale Minerbetti: “Il mio orto, alido e sitibondo di me,
sentendo che io vado, rimette le fronde, già secche per il dolore di vedermi
stentare per le case altrui, doglioso nel vedersi da altre mani troncarsi le
cime delle erbe et sbarbare i cesti delle ricche foglie, vero ornamento, honore
et veste della fruttifera terra...”.
Quello che Vasari chiama orto, in
realtà è un giardino che circonda la casa di via XX Settembre che l’artista
compra nel 1541 nel borgo di San Vito, e che a quel tempo era formata di
campagna e orti. Una zona più fresca e silenziosa e di sicuro con un’aria
migliore rispetto al resto della città fittamente urbanizzata. Era qualche
tempo che volevo venire ad Arezzo per vedere proprio la casa del Vasari. In
altro tempo mi ero limitato a visitare l’esterno della città, e avevo anche
trovato chiusi alcuni luoghi. Per esempio la casa natale di Petrarca e diverse
chiese, ma avevo potuto godere del Duomo e del Palazzo dei Priori, della
Fortezza Medicea e di Palazzo Pretorio, di Santa Maria della Pieve, della
fascinosa Piazza Grande con le case medievali e delle Logge Vasari, sotto i cui
archi mi ero anche seduto per ristorarmi. Questa volta invece ho potuto
fermarmi un numero di giorni sufficienti per esplorarla da un angolo all’altro
e non mi sono fatto sfuggire nulla o quasi. Ho potuto con più agio sciamare
dall’Anfiteatro Romano fino alle mura del Prato dove vigila il patriottico
monumento al Petrarca; da Piazza Guido Monaco col monumento a questo figlio illustre
del quale, se non è certa la sua nascita qui, ha qui tanto operato, dando al
mondo il tetragramma prima e la solmisazione
dopo, che alla musica apportarono un immenso beneficio, al Borgo di Santa
Croce, e così via.
Non ho ovviamente mancato l’appuntamento con le numerose chiese, e in particolare con la basilica di San Francesco di cui a suo tempo mi aveva colpito la facciata grezza e non finita (me ne ero ricordato anni dopo parlando di San Lorenzo di Firenze, e così è finita nelle pagine di Romanzo impuro nella parte ambientata in questa città), perché volevo vedere la Cappella Maggiore con i magnifici affreschi di Piero della Francesca nel ciclo della Legenda della Croce. Di questo pittore ho visto tutto in città diverse, ma devo dire che questa chiesa meritava davvero. I suoi dipinti sono ammirevoli, ma non sfigurano artisti come Paolo Schiavo, Lorentino d’Andrea, Niccolò Soggi e il grande Spinello Aretino. Le vele della Cappella dipinte da Bicci di Lorenzo sono pregevoli, e le immagini si sono nel complesso ben conservate. Il racconto di Piero (perché tutta questa pittura ha un intento narrativo, didattico e simbolico) è superbo: le scene ed i colori squillanti, lo scandaglio teologico degli episodi della Bibbia di facile lettura per la sensibilità di una cultura che nel Rinascimento doveva ancora mantenere fortemente la sua cifra educativa e morale.
Nella scena dell’Incontro della regina di Saba con il re Salomone, Piero si è ritratto in vesti sontuose e con lo sguardo frontale stranamente rivolto altrove. Non guarda, come il corteo di personaggi, all’incontro e all’evento dei due protagonisti che si stanno stringendo la mano. Ne è quasi estraniato ed indifferente. Nell’episodio della Battaglia di Ponte Milvio colpiscono invece gli occhi di Costantino e del suo bianco destriero, indomiti e fieri della imminente vittoria. Un enorme crocifisso dipinto da anonimo del XIII secolo introduce alla Cappella. Un altro in legno, anch’esso anonimo, è del XIV secolo lo trovate nella chiesa, ed è quanto di più umano e terreno possibile. Se ne avessi il tempo mi piacerebbe dedicare un lavoro corposo a questo simbolo cristiano, alle migliaia che ne ho visto scolpito, dipinto, affrescato, inciso, intarsiato a mosaico, in ogni dove. Non mi sono dispiaciuti in questa chiesa né il san Francesco giovane e sbarbato, né la statua in bronzo dell’Immacolata che lo scultore contemporaneo fiorentino Mario Moschi ha regalato alla basilica. Mi è dispiaciuto invece il prezzo esagerato del biglietto e soprattutto l’assoluta mancanza di cartigli esplicativi. Nulla di nulla, neppure uno straccio di guida che dica qualcosa ai visitatori di questa Cappella, e per somma di beffa una rivista del costo di 9 euro disponibile solo in francese, cosicché gli italiani non se la possono portar via, mentre i visitatori di lingua francese se la devono pagare.
Tutt’altra storia, invece, alla Badia benedettina delle sante Flora e Lucilla in piazza della Badia. Tutt’altra storia grazie all’anziano ma vivace e simpatico parroco don Vezio Soldani, che si è messo a disposizione e ci ha raccontato ogni dettaglio, fatto gustare aneddoti, opere e storia, con semplicità e sintesi. Ho usato la particella pronominale ci perché non ero solo in questa chiesa, assieme a mia moglie qualche straniero e un paio di “sperduti” italiani. Ci sono città straordinarie dove nessuno mette piedi, in compenso vanno a New York o alle Maldive. Anche su questa chiesa ha messo le mani il Vasari che l’ha completamente modificata. La sua presenza qui è molto forte: vi è stato portato, nel 1865, l’altare maggiore che aveva realizzato tra il 1562 e il 1564 per custodire le sue spoglie e quella della sua famiglia, e che in origine era stato collocato nella Pieve di Santa Maria. È stata per me una vera delusione apprendere da don Vezio che i resti dell’autore de Le vite e quelli dei suoi familiari (genitori, nonni e moglie), non erano dentro l’altare di questa chiesa come mi ero immaginato, e che invece erano andati dispersi. Vi sono rimasti i loro ritratti che l’artista ha dipinto, e nel Lazzaro e la Maddalena Vasari ha riprodotto il suo volto e quello della moglie. Tutto il complesso monumentale vasariano è straordinario, come straordinaria è la sua Assunzione, una tavola enorme del 1567 in cui si è ritratto fra gli apostoli con un libro in mano, forse il suo trattato sulla pittura. Ci sono opere di grande valore in questa chiesa, e basta citare qualche nome: Lappoli, Baccio da Montelupo (ottimo crocifisso ligneo), Segna di Bonaventura, il paliotto quattrocentesco (ambito Neri di Bicci), Maiano, Simone Mosca...
Casa Vasari |
Non ho ovviamente mancato l’appuntamento con le numerose chiese, e in particolare con la basilica di San Francesco di cui a suo tempo mi aveva colpito la facciata grezza e non finita (me ne ero ricordato anni dopo parlando di San Lorenzo di Firenze, e così è finita nelle pagine di Romanzo impuro nella parte ambientata in questa città), perché volevo vedere la Cappella Maggiore con i magnifici affreschi di Piero della Francesca nel ciclo della Legenda della Croce. Di questo pittore ho visto tutto in città diverse, ma devo dire che questa chiesa meritava davvero. I suoi dipinti sono ammirevoli, ma non sfigurano artisti come Paolo Schiavo, Lorentino d’Andrea, Niccolò Soggi e il grande Spinello Aretino. Le vele della Cappella dipinte da Bicci di Lorenzo sono pregevoli, e le immagini si sono nel complesso ben conservate. Il racconto di Piero (perché tutta questa pittura ha un intento narrativo, didattico e simbolico) è superbo: le scene ed i colori squillanti, lo scandaglio teologico degli episodi della Bibbia di facile lettura per la sensibilità di una cultura che nel Rinascimento doveva ancora mantenere fortemente la sua cifra educativa e morale.
Chiesa di San Francesco affreschi di Piero della Francesca |
Nella scena dell’Incontro della regina di Saba con il re Salomone, Piero si è ritratto in vesti sontuose e con lo sguardo frontale stranamente rivolto altrove. Non guarda, come il corteo di personaggi, all’incontro e all’evento dei due protagonisti che si stanno stringendo la mano. Ne è quasi estraniato ed indifferente. Nell’episodio della Battaglia di Ponte Milvio colpiscono invece gli occhi di Costantino e del suo bianco destriero, indomiti e fieri della imminente vittoria. Un enorme crocifisso dipinto da anonimo del XIII secolo introduce alla Cappella. Un altro in legno, anch’esso anonimo, è del XIV secolo lo trovate nella chiesa, ed è quanto di più umano e terreno possibile. Se ne avessi il tempo mi piacerebbe dedicare un lavoro corposo a questo simbolo cristiano, alle migliaia che ne ho visto scolpito, dipinto, affrescato, inciso, intarsiato a mosaico, in ogni dove. Non mi sono dispiaciuti in questa chiesa né il san Francesco giovane e sbarbato, né la statua in bronzo dell’Immacolata che lo scultore contemporaneo fiorentino Mario Moschi ha regalato alla basilica. Mi è dispiaciuto invece il prezzo esagerato del biglietto e soprattutto l’assoluta mancanza di cartigli esplicativi. Nulla di nulla, neppure uno straccio di guida che dica qualcosa ai visitatori di questa Cappella, e per somma di beffa una rivista del costo di 9 euro disponibile solo in francese, cosicché gli italiani non se la possono portar via, mentre i visitatori di lingua francese se la devono pagare.
A sinistra le Logge del Vasari |
Tutt’altra storia, invece, alla Badia benedettina delle sante Flora e Lucilla in piazza della Badia. Tutt’altra storia grazie all’anziano ma vivace e simpatico parroco don Vezio Soldani, che si è messo a disposizione e ci ha raccontato ogni dettaglio, fatto gustare aneddoti, opere e storia, con semplicità e sintesi. Ho usato la particella pronominale ci perché non ero solo in questa chiesa, assieme a mia moglie qualche straniero e un paio di “sperduti” italiani. Ci sono città straordinarie dove nessuno mette piedi, in compenso vanno a New York o alle Maldive. Anche su questa chiesa ha messo le mani il Vasari che l’ha completamente modificata. La sua presenza qui è molto forte: vi è stato portato, nel 1865, l’altare maggiore che aveva realizzato tra il 1562 e il 1564 per custodire le sue spoglie e quella della sua famiglia, e che in origine era stato collocato nella Pieve di Santa Maria. È stata per me una vera delusione apprendere da don Vezio che i resti dell’autore de Le vite e quelli dei suoi familiari (genitori, nonni e moglie), non erano dentro l’altare di questa chiesa come mi ero immaginato, e che invece erano andati dispersi. Vi sono rimasti i loro ritratti che l’artista ha dipinto, e nel Lazzaro e la Maddalena Vasari ha riprodotto il suo volto e quello della moglie. Tutto il complesso monumentale vasariano è straordinario, come straordinaria è la sua Assunzione, una tavola enorme del 1567 in cui si è ritratto fra gli apostoli con un libro in mano, forse il suo trattato sulla pittura. Ci sono opere di grande valore in questa chiesa, e basta citare qualche nome: Lappoli, Baccio da Montelupo (ottimo crocifisso ligneo), Segna di Bonaventura, il paliotto quattrocentesco (ambito Neri di Bicci), Maiano, Simone Mosca...
Casa natale del Petrarca |
Il cortile di Casa Petrarca |
La casa
natale del Petrarca, ora proprietà dell’Accademia Petrarca di Lettere Arti e
Scienze di Arezzo, è in via dell’Orto al n. 28. Salendo il Corso Italia, tra la
Pieve e la Cattedrale, compare questa costruzione solida, con il chiostro e un
loggiato al piano superiore. Come sappiamo il poeta è morto ad Arquà, ora Arquà
Petrarca, e ad Arezzo in realtà ha vissuto appena otto mesi, per via dei
contrasti politici del tempo (il padre era della fazione dei guelfi bianchi) e
ad Arezzo ci tornerà una sola volta in occasione di un viaggio a Roma per il
Giubileo del 1350. Dunque il rapporto con la città è stato alquanto marginale,
e tuttavia volevo vedere dove ha aperto gli occhi e cosa rimaneva in questa
casa. Praticamente poco: l’attuale edificio è del XVI secolo edificato su
quello che rimaneva dell’antica struttura. Vi si conservano opere d’arte,
cimeli petrarcheschi, materiale numismatico dell’Accademia e i 4 mila volumi
del letterato e naturalista Francesco Redi, che sono un notevole patrimonio per
la città.
San Domenico |
San Domenico
invece non ve la dovete proprio perdere. Intanto per la sua singolare forma
(probabilmente non finita), poi per la pendenza che la caratterizza, e ancora
perché da fuori pare molto più piccola, rispetto all’omonima piazza, di quanto
in realtà è all’interno. Qui il crocifisso di Cimabue che tutti abbiamo negli
occhi per averlo visto tante volte sui libri d’arte, è posto al centro
dell’abside. Non dimenticate che nel momento in cui lo dipinge Cenni di Pepo
(Cimabue), ha solo vent’anni. Mi ha sempre impressionato quello stomaco “a
caciocavallo” del Cristo che attira l’occhio più del volto dolente, più del
corpo esile e quasi femmineo degli arti. Sfortunatissimo pittore, poco si
conserva di altrettanto ben tenuto della sua opera, andata quasi pressoché
perduta. Sulla destra troverete una crocifissione di segno opposto, quella di
Parri di Spinello. È un affresco ben conservato, se si eccettua il pezzo di una
delle figure che attorniano la Vergine affranta. Del padre di Spinello,
Aretino, c’è una bella Annunciazione e una composizione più ampia, sempre ad
affresco, di santi, martirii e miracoli, che sempre abbondano in pittura.
Presente anche una madonna con Bambino affrescato
da Duccio di Boninsegna e una terracotta “invetriata”, come si dice in gergo,
di un San Pietro realizzato da Giovanni della Robbia assieme al fratello
Girolamo. L’interno ha dodici monofore gotiche da cui filtra la luce, con i
bordi a fasce come si vede nell’arte senese.
Il Duomo |
Ho scoperto
che la Casa Vasari è ha pochi metri da questa chiesa, basta percorrere un breve
tratto della via San Domenico e svoltare. Da sola la casa vale un viaggio ad
Arezzo. Non è una semplice casa, è il luogo dove l’artista dà il meglio della
sua visione artistica, della sua potenza creativa, del suo pensiero e della sua
visione di mondo di uomo del Rinascimento. La acquista nel 1541, ma ci lavorerà
per oltre 26 anni. Vuole affrescarla tutta e tornarci per riposarsi dalle
fatiche e dal continuo girovagare per le continue faticose committenze. La
finirà nel 1568, ma morirà appena sei anni dopo. La godrà per periodi piuttosto
brevi con la giovanissima moglie Niccolosa Bacci, perché conteso com’era non
gli era facile tirarsi fuori. Il piano
nobile vi introduce nella Sala del Camino detta anche del Trionfo della virtù. Sul soffitto, dentro un ottagono, tre figure
dal seno nudo, lottano aspramente. Sono l’Invidia e la Fortuna scacciate dalla
Virtù. Alle pareti figure allegoriche, paesaggi, poeti della classicità.
Nella Camera della Fama e delle Arti, la Fama è dipinta seduta sul globo terrestre e squilla la sua tromba per annunciarla ai quattro punti cardinali, mentre le Arti sono raffigurate nei pennacchi della volta e sono la Scultura, l’Architettura, la Poesia e la Pittura. Nei medaglioni delle lunette Vasari celebra i suoi amati artisti, fra cui il bisnonno Lazzaro, Luca Signorelli, Spinello Aretino, Bartolomeo della Gatta, Buonarroti, Andrea del Sarto, e naturalmente se stesso. La camera di Apollo e delle Muse rende omaggio al dio Apollo e ai vari dèi protettori: Melpomene, Calliope, Tersicore, ecc. con i simboli che li distinguono. Seguono la Camera di Abramo e quella del Trionfo della Virtù. La prima era la sua camera nuziale: per propiziare la fertilità raffigura il Padreterno che benedice il seme di Abramo, la stirpe che si genererà. Questo auspicio non si realizzò, Vasari non ebbe figli, e la stirpe di Abramo, cioè noi uomini, siamo quell’infame prodotto malriuscito, come attestano gli incendi di boschi, pinete e parchi, di questo periodo in ogni dove. Ricchissima la quadreria iniziata negli anni Cinquanta e arricchita da successive acquisizioni, contiene opere di artisti come Jacopo Zucchi, Jan van der Straet (italianizzato in Giovanni Stradano), Michele Ridoldo del Ghirlandaio, e tanti altri. Del Vasari vanno ricordati almeno il grande dipinto Cristo portato al sepolcro, opera di grande potenza espressiva e drammatica, e un Giuda. Prima di lasciare la casa, ho voluto sostare a lungo nel giardino e fra le piante. Non è tenuto molto bene: è l’Italia, signori. Ho voluto sostarvi perché immagino quanto gli fosse caro sostare qui, raccogliere le idee e riflettere: nella quiete del meriggio, all’approssimarsi del tramonto, o al mattino presto per prendersi cura delle sue amate piante.
Casa Vasari |
Nella Camera della Fama e delle Arti, la Fama è dipinta seduta sul globo terrestre e squilla la sua tromba per annunciarla ai quattro punti cardinali, mentre le Arti sono raffigurate nei pennacchi della volta e sono la Scultura, l’Architettura, la Poesia e la Pittura. Nei medaglioni delle lunette Vasari celebra i suoi amati artisti, fra cui il bisnonno Lazzaro, Luca Signorelli, Spinello Aretino, Bartolomeo della Gatta, Buonarroti, Andrea del Sarto, e naturalmente se stesso. La camera di Apollo e delle Muse rende omaggio al dio Apollo e ai vari dèi protettori: Melpomene, Calliope, Tersicore, ecc. con i simboli che li distinguono. Seguono la Camera di Abramo e quella del Trionfo della Virtù. La prima era la sua camera nuziale: per propiziare la fertilità raffigura il Padreterno che benedice il seme di Abramo, la stirpe che si genererà. Questo auspicio non si realizzò, Vasari non ebbe figli, e la stirpe di Abramo, cioè noi uomini, siamo quell’infame prodotto malriuscito, come attestano gli incendi di boschi, pinete e parchi, di questo periodo in ogni dove. Ricchissima la quadreria iniziata negli anni Cinquanta e arricchita da successive acquisizioni, contiene opere di artisti come Jacopo Zucchi, Jan van der Straet (italianizzato in Giovanni Stradano), Michele Ridoldo del Ghirlandaio, e tanti altri. Del Vasari vanno ricordati almeno il grande dipinto Cristo portato al sepolcro, opera di grande potenza espressiva e drammatica, e un Giuda. Prima di lasciare la casa, ho voluto sostare a lungo nel giardino e fra le piante. Non è tenuto molto bene: è l’Italia, signori. Ho voluto sostarvi perché immagino quanto gli fosse caro sostare qui, raccogliere le idee e riflettere: nella quiete del meriggio, all’approssimarsi del tramonto, o al mattino presto per prendersi cura delle sue amate piante.
Quelle
piante sitibonde di lui, addolorate e
dogliose di non averlo presente per
prendersene cura.
ALBUM
Palazzo Pretorio |
Santa Maria della Pieve |
Piazza Grande |