Papa
Francesco (quarto tempo)
Lo spiazzamento
La
"Laudato Si’" è
un'enciclica così circolarmente compiuta che ogni volta che la sfoglio mi si
ripresenta il problema di quale entrata scegliere e di quale uscita. Ho scelto
questa volta il passo al n. 16 che evidenzia "l'intima relazione tra i poveri e la fragilità del pianeta".
Si tratta infatti di una chiave francamente inedita che guarda all'ecologia con
un'ottica che mette al primo posto il punto di vista di un'enciclica sociale.
Questa forse la novità sistemica più grande di tutto l'impianto, perché finora
l'ecologia faceva parte di quella branca delle scienze e degli interessi
economici e politici che guardano alla sostenibilità e all'impatto ambientale
con l'ottica di una classe media globale cresciuta corposamente nei Trenta Gloriosi
e oggi impoverita dalla crisi finanziaria. Come a dire che ecologia e consumo
sfrenato hanno finito, non da ieri, per entrare in rotta di collisione. E
invece con papa Francesco l'ottica muta radicalmente. Avviene per il radicamento
e la passione evangelica (il Nazareno avverte che i poveri li avremo sempre con
noi) e così facendo si sottrae al ricatto del pensiero unico, della supposta
neutralità della scienza, delle nuove ideologie palesi e occulte e dei loro
cascami.
Devo
ripetere che la citazione che mi è tornata immediatamente in mente è quella
adottata da Alexander Langer: "Quando
sentiamo che gli uomini hanno fame, il problema non è mangiare di meno, ma
pensare di più".
Senza
ovviamente incorrere negli anatemi sull'eccesso
diagnostico che papa Francesco non lesina nei suoi interventi. Torna anche
in memoria l'immagine di papa Bergoglio sulla Chiesa come ospedale da campo, e
l'osservazione che è inutile fare diagnosi a chi sta morendo. Dove l'urgenza di
intervenire concretamente non deve ridurre l'ansia di sviscerare il problema.
Già
nella "Evangelii gaudium"
il criterio erano i poveri. E adesso siamo in grado di intendere come questa
presenza di un soggetto storico derelitto e della sua attenzione sia da
considerare l'ottica irrinunciabile del Papa argentino. È qui che nasce, a ben
vedere, contro la cultura dello scarto, l'ecologia
integrale. Così integrale da mettere da subito in primo piano l'importanza
dei processi partecipativi. E se guardi al mondo globalizzato e sfigurato
dall'avidità e dall'uso insensato delle tecnologie, puoi anche capire come ad
uno sguardo mistico, ma non inutilmente devoto, Dio possa apparire "non
cattolico".
Perché
Dio agisce in tutti gli uomini (è anche il lascito del Concilio Ecumenico Vaticano
II) e appare più interessato a un'ecologia integrale, legata al bene comune,
che ad approcci catechistici e creazionistici. Forse, a pensarci bene, anche
questa enciclica si installa nei lavori in corso di congedo dal Novecento.
Perché congedarsi dal Novecento significa non smettere di cercare, oltre i
confini del narcisismo consumistico, nuovi soggetti sociali. Sottrarsi al
dinamismo e alla velocità della competizione universale. Andare oltre le mappe
di quelli che si limitano a cambiare le regole senza pensare all'antropologia e
ai problemi delle squadre destinate a scendere in campo. E in quale campo poi?
Tutto questo riesce a dire questo Papa restando, senza risparmiarci curve e
controcurve, nel solco della grande Tradizione. Assegnando confini ben più
ardui e ben più in là anche ai garruli rottamatori che avessero in animo di
ridurre la portata delle riforme e dei riformismi necessari. Perché è più
resistente del previsto il muro di gomma che circonda gli sforzi di chi si sente
veramente intenzionato a un'ecologia integrale. La durezza del potere e
l'avvolgimento del consumo possono rivelarsi impermeabili al messaggio di papa
Francesco. Perché il dominio finanziario è diventato tanta parte del potere
demoniaco del potere. Obbligando a una critica che non può risparmiare le
ragioni e le condizioni dello sviluppo e che non può pensare lo sviluppo
medesimo senza il contributo di una critica adeguata. Di più, non è pensabile
il percorso di questa umanità in cammino e neppure gli esiti di questa politica
senza un approccio insieme disincantato e finalmente umanistico. (Tutti modi
maldestri per approcciare l'espressione ecologia
integrale.) Quanto alle capacità onnivore e includenti del consumo, si
ponga mente alla circostanza che anche il pensionato resta in servizio attivo
come consumatore una volta uscito dal lavoro. Con l'obbligo dunque di
riflettere seriamente sulla durata e
sull’invasività del consumo rispetto
al lavoro nelle società postmoderne. È questa una delle zone di riflessione
meno frequentate per chi ha giustamente generalizzato l'espressione baumaniana "società liquida".
Un pensiero ecologico
cresciuto
La
fede nel suo Dio di papa Francesco la ritroviamo al n. 6: "Si dimentica che "l'uomo non è soltanto una libertà che si
crea da sé. L'uomo non crea se stesso. E egli è spirito e volontà, ma è anche
natura"."
E
va subito detto che c'è oramai un pensiero ecologico che è cresciuto nelle
encicliche degli ultimi papi. Né soltanto in essi, se papa Francesco trova
subito il destro per citare il patriarca Bartolomeo, che più volte si è
espresso invitandoci a riconoscere i peccati contro la creazione. "Che gli esseri umani distruggano la
diversità biologica nella creazione di Dio; che gli esseri umani compromettano
l'integrità della terra e contribuiscano al cambiamento climatico, spogliando
la terra delle sue foreste naturali o distruggendo le sue zone umide; che gli
esseri umani inquinino le acque, il suolo, l'aria: tutti questi sono
peccati"(n. 8).
I
buoni cattolici tradizionalisti fedeli alla confessione sono avvertiti: è
cambiata l'agenda dei peccati; meno sesso e più attenzione alla natura. Francesco
d'Assisi interviene a questo punto: "Credo
che Francesco sia l'esempio per eccellenza della cura per ciò che è debole e di
una ecologia integrale, vissuta con gioia e
autenticità. È il santo patrono di tutti quelli che studiano o lavorano
nel campo dell'ecologia, amato anche da molti che non sono cristiani. Egli
manifestò un'attenzione particolare verso la creazione di Dio e verso i più
poveri e abbandonati"(n. 34).
Pienamente
arruolato, e senza fatica. Ma con una valenza sistemica ulteriore: "La sua testimonianza ci mostra anche
che l'ecologia integrale richiede apertura verso categorie che trascendono il
linguaggio delle scienze esatte o della biologia e ci collegano con l'essenza
dell'umano"(n. 11).
Compassione,
misericordia per il mondo: questa è l'ecologia, ossia il mettersi dalla parte
di Dio e di lì riorientare lo sguardo. Qui è fondato anche tutto lo stile
dell'enciclica e il metodo con il quale è redatta: i temi non vengono mai
chiusi o abbandonati, ma anzi costantemente ripresi e arricchiti. Un cammino, a
ben osservare, da discepolo attento di Ignazio di Loyola, interessato a un discernimento che coinvolge tutto il
creato e le creature. Una visione del mondo cioè che si astiene dall'essere una
narrazione ideologica. E credo che il Paolo VI dell’"Octogesima Adveniens" resterebbe stupito di questa
ripresa di autorità e di audience dell'attuale dottrina sociale della chiesa.
Ecologia implica il senso
del limite
Ma
sprechi, sfregi e indifferenza sono all'ordine del giorno. Dice Francesco: "La mancanza di reazioni di fronte a
questi drammi dei nostri fratelli e sorelle è un segno della perdita di quel
senso di responsabilità per i nostri simili su cui si fonda ogni società
civile"(n.25).
La
supponenza e un titanismo che rasenta il bullismo tecnologico creano mostri
apertamente grotteschi: "In questo
modo, sembra che ci illudiamo di poter sostituire una bellezza irripetibile e
non recuperabile con un'altra creata da noi"(n. 34).
E
qui può riprendere le mosse e la rincorsa la critica continua che Francesco ha
messo in campo contro le emozioni
artificiali (n.47) selezionate dai media e da Internet.
Laddove
la realtà è invece quella assai più tragica prodotta dagli squilibri attuali e
dalla "morte prematura di molti
poveri"(n.48).
Per
questo "oggi non possiamo fare a meno di riconoscere che un vero approccio ecologico diventa sempre
un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni
sull'ambiente, per ascoltare tanto il
grido della terra quanto il grido dei poveri"(n.49).
Né
mancano le esemplificazioni tratte dalla quotidianità, là dove si osserva che
il cibo che si butta è sottratto alla mensa dei poveri. Molteplici sono dunque
le condizioni e gli elementi che concorrono alla creazione del"debito ecologico": un debito
che separa e quindi congiunge il Nord e il Sud del mondo.
Una domanda impertinente
Una
domanda perfino impertinente può nascere a questo punto: c'è una retorica della
povera gente chi si distende in tutta la letteratura cattolica postconciliare?
La risposta del Papa è perentoria: "Il
problema è che non disponiamo ancora della cultura necessaria per affrontare
questa crisi"(n.53). E che quindi andrebbe rafforzata la
consapevolezza che siamo una sola famiglia umana e che non c'è nemmeno spazio
per la globalizzazione dell'indifferenza.
Possiamo d'altra parte ripercorrere nei decenni immediatamente alle spalle un
pensiero teologico "diffuso", e sempre meno disciplinarmente e
scolasticamente separato dagli altri saperi "laici". Annota
puntualmente papa Francesco: "Per
quanto riguarda le questioni sociali, questo lo si può constatare nello
sviluppo della dottrina sociale della Chiesa, chiamata ad arricchirsi sempre di
più a partire dalle nuove sfide"(n.63).
E
poi l'affondo insieme storico, politico e mistico: "Siamo stati concepiti nel cuore di Dio e quindi "ciascuno di
noi è il frutto di un pensiero di Dio. Ciascuno di noi è voluto, ciascuno è
amato, ciascuno è necessario"."(n.65)
Dove
il creato non cessa di affermare il primato della persona perché "noi non
siamo Dio. La terra ci precede e ci è stata data"(n. 67).
Canta
infatti il salmo che il Signore gioisce
nelle sue opere (cfr Sal 104,31),
al punto che tutto l'Antico Testamento narra la tenerezza di Dio, smentendo
tutte quelle interpretazioni che contrapponevano un Dio padrone a un Dio di
misericordia rivelatosi soltanto nel Secondo Testamento. Non a caso per la
tradizione giudeo-cristiana, dire "creazione" è più che dire natura, "perché ha a che vedere con un progetto
dall'amore di Dio, dove ogni creatura ha un valore e un significato"(n.
76).
Allo
stesso tempo tuttavia,"il pensiero
ebraico-cristiano ha demitizzato la natura. Senza smettere di ammirarla per il
suo splendore e la sua immensità, non le ha più attribuito un carattere
divino"(n.78).
Si
tratta cioè di porre fine al mito moderno del progresso materiale illimitato.
Sapendo di trafficare con "un mondo
fragile, con un essere umano al quale Dio ne affida la cura".
Una
condizione storica che interpella la nostra intelligenza per riconoscere come
dovremmo orientare, coltivare e limitare il nostro potere. Un Dio che
assomiglia molto a quello illustrato da Simone Weil. Un Dio cioè che "ha voluto limitare se stesso creando
un mondo bisognoso di sviluppo"(n. 80). Non a caso la permanenza e lo
sviluppo di ogni essere "è la
continuazione dell'azione creatrice". E a completare il quadro una
affermazione davvero scolpita nella pietra: "Lo
scopo finale delle altre creature non siamo noi"(n. 83).
Infatti
leggiamo poco più avanti:"Ogni
creatura ha una funzione e nessuna è superflua"(n.84).
Mi
fermo, per non togliere al lettore dell'enciclica il gusto insieme della
lettura e della continua scoperta. E concludo con un'osservazione davvero
moderata: questo Papa che guarda alla globalizzazione, all’ecologia e al tutto
dal punto di vista dei poveri, parla tuttavia a tutti: ceti medi -impoveriti o
arricchiti- ricchi e poveri, centristi ed estremisti. Non so fino a quando. Ma intanto
è un grande vantaggio. E quindi, ancora una volta: Laudato Si’.