La Grecia siamo noi. Economia & Lobby
di Vittorio
Agnoletto
“Ci troviamo
davanti a un vero scontro frontale tra le grandi corporazioni internazionali e
gli Stati. Questi subiscono interferenze nelle decisioni fondamentali,
politiche, economiche e militari da parte di organizzazioni mondiali che non
dipendono da nessuno Stato. Per le loro attività non rispondono a nessun
governo e non sono sottoposte al controllo di nessun Parlamento e di nessuna
istituzione che rappresenti l’interesse collettivo. In poche parole la
struttura politica del mondo sta per essere sconvolta… Le grandi imprese
multinazionali non solo attentano agli interessi dei Paesi in via di sviluppo
ma la loro azione incontrollata e dominatrice agisce anche nei Paesi
industrializzati in cui hanno sede.”
Queste le parole di un celebre discorso tenuto nel 1972
all’Onu da Salvator Allende, presidente del Cile, a capo di un governo di
sinistra democraticamente eletto. Parole tragicamente profetiche; un anno dopo
Allende e il suo governo caddero sotto il sanguinoso colpo di Stato del
generale Pinochet, golpe realizzato con l’appoggio della Cia e della Itt, una
delle più grandi compagnie telefoniche al mondo.
Il Cile divenne subito il Paese cavia dove furono
sperimentate le teorie economiche liberiste elaborate proprio allora
all’Università di Chicago; José Piñera, il ministro dell’Economia della
dittatura cilena si circondò infatti dai “Chicago Boys” che avviarono un vasto
processo di privatizzazione, compreso il sistema pensionistico, smantellando le
riforme attuate dal governo socialista. Le politiche liberiste della scuola di
Chicago divennero in seguito il riferimento delle politiche attuate da Reagan,
dalla Thatcher e dal Fmi, il Fondo Monetario Internazionale e sono quelle che
ancora oggi vengono imposte alla Grecia dallo stesso Fmi, dalla Bce e dalla
Commissione Europea.
Per capire le conseguenze a livello globale di quelle
politiche è sufficiente leggere il rapporto annuale di Credit Suisse, una delle
principali banche finanziarie del mondo. L’8,6 % della popolazione mondiale
controlla oltre l’85% della ricchezza del pianeta, mentre al 69,8% ne resta
meno del 3%, esattamente il 2,9%. Non solo, secondo i dati di Credit Suisse,
che non è certo un organo d’informazione dei movimenti aderenti al Forum
Sociale Mondiale di Porto Alegre, la concentrazione della ricchezza nelle mani
di pochi aumenta ogni anno.
Nel 2001 Susan George, presidente di Attac Francia, intervenendo a Genova, all’assemblea di
apertura del Forum Sociale, spiegava che se non si fosse fermata la
finanziarizzazione dell’economia una spaventosa crisi economica e sociale
avrebbe travolto l’Europa; nella stessa occasione Walden Bello, sociologo
filippino, dirigente di importanti movimenti sociali, sostenne la stessa tesi
rifacendosi alla crisi che qualche anno prima aveva travolto le economie delle
“tigri asiatiche”. Ma furono e tutti noi fummo Cassandre inascoltate.
Oggi in Grecia lo scontro centrale non è tra due Paesi,
la Grecia e la Germania, ma tra la grande maggioranza di un popolo e il potere
delle grandi banche e dei fondi finanziari dei quali i governi europei, Merkel
in testa, sono espressione e complici, come lo sono stati i governi greci che
hanno preceduto Tsipras. Troppi si dimenticano che nel 2001, per fare quadrare
i conti al fine di entrare nell’euro, i governi liberisti greci si affidarono
alla banca d’affari Goldman Sachs che attraverso complesse operazioni
finanziarie (fece “sparire” un debito di 2,8 miliardi di euro) truccò i conti;
nel 2005 quel debito di 2,8 miliardi riemerse, ma erano ormai diventati oltre 5
miliardi che pesavano sulle spalle della popolazione greca. Ovviamente Goldman
Sachs non subì alcuna conseguenza, né dovette pagare alcuna penale, anzi Mario
Draghi che poco dopo divenne il vice presidente della Goldman Sachs con
specifica delega alle politiche europee, ha ampiamente contribuito in questi
mesi a colpevolizzare, in relazione al debito, il popolo greco e il governo
Tsipras, ignorando le responsabilità della sua casa madre, la Golman Sachs che
peraltro aveva realizzato significativi guadagni con le commesse ricevute dai
governi greci di allora.
In queste settimane a Bruxelles è stata formalizzata la
fine di quella fase della storia umana iniziata nel 1789 con la Rivoluzione
francese. Parole come “una testa un voto”, “democrazia e cittadinanza” perdono
qualunque senso. Gli strumenti di partecipazione democratica, dalle elezioni ai
referendum, appaiono sempre più come vuote celebrazioni di riti ormai superati.
Dobbiamo aver chiaro che in queste ore stiamo subendo una
sconfitta storica destinata a pesare su tutta l’Europa per i prossimi anni. Non
è facile capire come si possa rendere efficace la nostra solidarietà col popolo
greco; è necessario impegnarsi in tutti i campi, come cittadini, come lavoratori,
consumatori e risparmiatori per contrastare un sistema nelle mani delle lobby
finanziarie globali. Siamo il 90% della popolazione mondiale ma siamo divisi e
non consapevoli della nostra potenziale forza.
[“Odissea”
ringrazia V.A. per averne concesso la pubblicazione per i nostri lettori. Il
testo è apparso sul suo blog: ilfattoquotidiano.it]