CAFONARIA 2
di Angelo Gaccione
È molto più facile debellare il cancro e
migliorare l’assetto economico della società, che liberarsi della cafonaggine.
La cafonaggine è una pianta ostinata e tenace, ed estirparla sarà un’impresa
piuttosto ardua. La difficoltà non consiste soltanto nella sua pervasività, ma
nel fatto che attraversa tutte le classi. Noi italiani ne siamo abbondantemente
contaminati e a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, abbiamo fatto
notevoli progressi peggiorativi in questo senso. Abbiamo ricostruito i beni
della nazione (fabbriche, ponti, strade, scuole, case, palazzi…), ma le macerie
del nostro comportamento civico non sono state rimosse; anzi, le rovine si sono
accumulate. Per rimanere nell’ambito della metafora, con l’esplosione del boom
economico e del consumismo, quelle rovine sono divenute gigantesche discariche.
Che non vi sia automatismo di rapporti fra miglioramento economico e
miglioramento dei comportamenti sociali e civici, è oramai un luogo comune. Probabilmente
questo automatismo migliorativo non funziona neppure in rapporto
all’istruzione. Se fosse così, la società avrebbe dovuto già da tempo essere
largamente migliorata. Tuttavia, al di là di qualunque raffinata analisi
possibile, sulle cause e sui tempi, resta il fatto che la cafonaggine e la
perdita di decoro civile, hanno investito anche quei ceti sociali che più di
tutti ne erano stati immuni. Sono diventati di massa. Società di massa uguale
cafonaggine di massa, è un’equazione che sembra combaciare molto bene.
Ci sono dei luoghi che per la loro natura e per il
significato simbolico che li contraddistingue, dovrebbero indurre ad
atteggiamenti “consoni”. L’aggettivo non è dei migliori, ma è il più usato.
Eppure non è più così. Quello a cui mi è capitato di assistere nella sala
d’attesa del padiglione “Devoto” del Policlinico di Milano, dove ho dovuto
forzosamente sostare alcune ore per un prelievo di sangue, mostra come la
cafoneria, nell’indifferenza generale, abbia invaso persino un luogo di
sofferenza come un ospedale. Pazienti che strillano senza riguardo nei loro
telefonini, altri che raccontano i loro fatti a voce alta disturbando i vicini,
porte che sbattono di continuo ad opera di pazienti, infermieri, medici che non
si peritano di prestarvi attenzione come dovuto e che ti fanno sussultare.
Insomma un luogo di delirio, una fiera, un mercato, dove la cafoneria regna
sovrana e non si leva voce alcuna per far cessare questo andazzo. Probabilmente
i responsabili non ne sanno nulla: è raro che i responsabili siano al corrente
di ciò su cui sono tenuti a controllare. E se anche lo sapessero si
guarderebbero bene dall’intervenire. E sapete perché? Perché si tratta di una
struttura pubblica, cioè terra di nessuno; e siccome è terra di nessuno,
naturalmente nessuno se ne cura. Ben diversamente vanno le cose nelle strutture
private, e non è che siano a corto di cafoni.
Semplicemente tengono al buon nome del servizio, che poi vuol dire al
buon nome della cassa, perciò vige un altro clima.