EUROPA EUROPA!
di Fulvio Papi
Rileggendo la poesia di Vittorio Sereni dell’agosto del 1942
dedicata al Pireo.
Vittorio Sereni |
Italiano in Grecia
Prima sera ad
Atene, esteso addio
dei convogli che
filano ai tuoi lembi
colmo di strazio
nel lungo semibuio.
Come un cordoglio
ho lasciato
l’estate sulle curve
e mare e deserto è
il domani
senza più stagioni.
Europa Europa che
mi guardi
scendere inerme e
assorto in un mio
esile mito tra le
schiere dei bruti,
sono un tuo figlio
in fuga che non sa
nemico se non la
propria tristezza
o qualche rediviva
tenerezza
di laghi di fronde
dietro i passi
perduti,
sono vestito di
polvere e sole,
vado a dannarmi a
insabbiarmi per anni.
La referenza
della poesia è l’arrivo ad Atene con la divisione “Pistoia” che doveva
imbarcarsi per la guerra dell’Africa del Nord. Impresa ormai inutile perché la
Quinta armata inglese aveva in mano la situazione. Quello che qui ci interessa
è la duplice invocazione “Europa Europa”. L’eco è dall’opera di Valéry Larboud,
grande conoscitore della letteratura europea, e traduttore di Conrad, Joyce,
Svevo. Era l'Europa della grande “civiltà dello spirito”, negli anni 1914-’18
dimenticata dai nazionalismi culturali delle potenze in conflitto. Anche se non
mancavano intellettuali che si raccoglievano in Svizzera intorno a Romain
Rolland: l’Europa della pace e della cultura.
Sopravvisse e si ampliò questa Europa nonostante le
dittature italiane e tedesche. Dopo la nuova guerra dei 50 milioni di morti,
l’Europa si è ricostruita ed ha vissuto per decenni, durante la guerra fredda,
sotto la protezione dell’ombrello atomico americano, riconosciuto positivo
anche da Berlinguer. L’Europa non ha avuto bisogno di trovare subito una
propria unità politica con una propria prospettiva difensiva. Questo è stato un
vantaggio notevole per lo sviluppo di un’economia, poi per il solo mercato e
per la finanza. E dal benessere sono poi nate le sue qualità negative:
l’individualismo come figura sociale, il consumo come prevalente forma di
riconoscimento, lo spettacolo come allontanamento di sé, il lavoro
approssimato, il conformismo diffuso, una retorica bassa come comunicazione. E
quindi la caduta della persona responsabile, prudente, compresa nel proprio
senso, capace di qualche sacrificio necessario per il bene comune, convinta
della propria realtà, ma educata nel proprio sentimento.
È inutile nasconderci dietro un filo d’erba: è questa
Europa fragile, dipendente da anni dalla politica americana, dedita al proprio
“progresso”, a mostrare tutta la propria difficoltà e debolezza nell’affrontare
la tragedia dei profughi da un altro mondo, e la criminalità di terroristi,
fedeli ai propositi di una propria religione distruttiva. C’è da sperare che
abilità operative, tecnologia militare ed etica civile possano salvare l’Europa
da un “risveglio” troppo amaro.
Non dico che questi brevi tratti siano un’analisi come si
dovrebbe fare, ma un pensiero molesto e indispensabile forse sì.