IUS SINE SOLI
di Franco Astengo
Nadia Urbinati in un suo articolo
apparso oggi sulle colonne di “la Repubblica” usa parole molto appropriate nel
merito del concetto di cittadinanza. Ci si augura, però, che il suo riferimento
(considerato che , molto spesso, nel testo ricorre il termine “ius soli”) non sia alla legge
attualmente oggetto di rissa presso il Senato della Repubblica.
Perché
attenzione l’oggetto delle sceneggiate parlamentari è uno “ius sine soli”: il consueto pasticcio all’italiana. Eventualmente
approvata la legge entro la legislatura si dovranno aspettare, infatti, i
soliti decreti attuativi (di gestazione molto complessa) per capire quali
saranno le modalità di presentazione delle domande.
Un primo
interrogativo: quanto tempo sarà necessario per elaborare i relativi modelli?
Dovrà essere approntata un’apposita piattaforma web?
Altri
quesiti: considerato che l’emanazione del decreto finale di cittadinanza
spetterà alla Presidenza della Repubblica a quali livelli della P.A.
toccheranno istruzione e accertamenti sulla pratica?
Soprattutto
quali saranno i criteri nel caso di necessità di accertamento di reddito minimo
(attraverso l’ISEE oppure basteranno buste paghe e/o cedolini di pensione),
alloggio idoneo e soprattutto superamento del test di conoscenza della lingua
italiana (questione che presenta due problemi: a quale livello gli interroganti
per cominciare; e in secondo luogo quale
sarebbero gli esiti se il test fosse applicato a tutti per il mantenimento
della cittadinanza italiana?).
Entriamo nel
merito del disegno di legge che appunto -correttamente- potrebbe essere
titolato “Ius sine soli”. Due i punti
di partenza. Chi nasce in Italia da genitori stranieri, e continua a viverci
legalmente, può già diventare cittadino italiano; ma soltanto quando ha
compiuto 18 anni. Così in base a una legge del 1992 (Legge 5 febbraio 1992, n.
91. Nuove norme sulla cittadinanza. pubblicato sulla G.U. n. 38 del 15-2-1992.
note: Entrata in vigore della legge: 15/8/1992.) Ed è la prima premessa.
Secondo punto
di partenza: la legge di cui si discute adesso in Italia non prevede lo ius soli “vero” come negli USA: chi
nasce su territorio nazionale è cittadino Usa.
Il “caso
italiano” è frutto delle solite mediazioni e del solito substrato burocratico.
I figli di
migranti potranno diventare cittadini italiani ad alcune condizioni. Dipende,
ad esempio, dal tempo trascorso sui banchi di scuola italiani o dagli anni di
residenza dei genitori. In Italia la via principale di accesso alla
cittadinanza è lo ius sanguinis: è
italiano il figlio di genitori (padre o madre) che sono cittadini italiani.
Accanto a questo la legge sulla cittadinanza introduce una via riconducibile
allo ius culturae (la scuola è
l’elemento chiave). E appunto una forma diversa di accesso alla cittadinanza
che riguarda la nascita su suolo italiano. Perché un bambino nato in Italia da
genitori stranieri diventi cittadino italiano è necessario che il padre e/o la
madre abbiano il permesso di soggiorno di lungo periodo: questo è riconosciuto
a chi abbia soggiornato legalmente e in via continuativa per cinque anni sul
territorio nazionale. E questo è un primo criterio: i cinque anni di residenza
in Italia del genitore. Per i cittadini extra Unione europea, i requisiti vanno
anche oltre i cinque anni di permesso di soggiorno e prevedono: un reddito
minimo, alloggio idoneo, superamento di un test di conoscenza della lingua
italiana. C’è un’altra novità di rilievo
e riguarda il minore straniero nato in Italia oppure entrato qui prima dei 12
anni: se ha frequentato uno o più cicli scolastici sul territorio nazionale,
per almeno cinque anni, può ottenere la cittadinanza. Naturalmente il genitore
deve avere un regolare permesso di soggiorno per avanzare la richiesta per il
figlio. Un altro caso riguarda la concessione del diritto di cittadinanza: può
chiederla chi arriva in Italia prima dei 18 anni ed è residente in Italia da
almeno sei anni, dopo aver frequentato regolarmente un ciclo scolastico e aver
ottenuto il titolo finale. La concessione della cittadinanza, di cui qui si
parla, avviene con decreto del presidente della Repubblica.
P.S. Il Disegno di legge poi diventato legge
n. 91 del 5 Febbraio 1992 era stato presentato dal Governo
De Mita, con primi firmatari il ministro degli esteri Giulio Andreotti, il
ministro dell’interno Antonio Gava, il ministro guardasigilli Giuliano Vassalli
(un governo espressione della più deprecata “Prima Repubblica”, tanto per usare
un termine giornalistico clamorosamente sbagliato eppure sulla bocca di tutti).