SOLDI IMBOSCATI E
RUBATI
di Elio Veltri
Questo scritto documentatissimo e inquietante di Elio Veltri, dà il quadro esatto di come il dibattito pubblico macina vento. Questioni capitali come quelle sollevate da Veltri non trovano udienza nei luoghi deputati per eccellenza: Parlamento, partiti, movimenti, ambiti politici e istituzionali, ma sembrano altresì scomparse, dal dibattito intellettuale e culturale del Paese. Come stupirsi, dunque, se come ha documentato su queste stesse pagine Franco Astengo, analizzando la disaffezione elettorale, una minoranza sempre più sparuta decide di recarsi alle urne? Non ci si fida più perché il Palazzo ha scelto deliberatamente di occuparsi del vuoto, in una indegna campagna di "distrazione di massa". Il Paese nel suo insieme deve tuttavia sapere, che o si prenderà coscienza di quanto Veltri segnala da anni, o la democrazia stessa (quel che ne resta), potrebbe presto trasformarsi in cadavere.
Elio Veltri |
Cesare Beccaria, nel suo
capolavoro “Dei delitti e delle pene”,
che ha influenzato la cultura giuridica
e civile dell'Europa più di qualsiasi
altro libro, scrive: “l'unica e vera misura dei delitti è il danno
fatto alla nazione”.
Nei Panama
Papers è comparsa la terza lista di italiani con società nei paradisi fiscali:
dopo la lista Falciani e quella della banca
svizzera Credit Suisse, sede di Milano, è la volta dello studio legale
Ramon Fonseca e Jurgen Mossak di Panama. Complessivamente, per quanto è emerso
dalle inchieste dell'International Consortium of Investigative Journalists di
cui fa parte L'Espresso, unico giornale italiano, si tratta di oltre 25 mila
italiani che hanno imboscato circa 30 miliardi di Euro nei paradisi fiscali per
non pagare le tasse. Una mega finanziaria. E poi dicono che non ci sono soldi!
La ricchezza individuale nascosta nei paradisi fiscali viene stimata 7600
miliardi di dollari. Più del PIL di Germania e Regno Unito messi insieme e
quattro volte il PIL italiano. Soldi sottratti al fisco, necessari per gli investimenti a sostegno dello
sviluppo, contenere il debito pubblico, garantire i servizi essenziali che di
fatto si stanno privatizzando senza dirlo (quando per eseguire una mammografia
o una colonscopia occorre aspettare un anno, la gente o rinuncia e non si cura
o fa qualsiasi sacrificio e va dal privato che esegue gli esami in tempi brevi
e magari lavora anche nell'ospedale pubblico dove le liste di attesa sono
lunghissime). I magistrati penali si attivano e dopo 10-15 anni qualcuno dei
pirati esportatori di capitali viene condannato. Ma i soldi non si trovano più
perché basta un colpo di mous per spostarli in altri 10 paradisi fiscali.
Inoltre è dimostrato che alcuni tecnici ben pagati e al di sopra di ogni
sospetto, sono capaci di “lavare” il denaro sporco 4 volte in una giornata. La
soluzione del problema è politica e amministrativa: l'Europa dovrebbe varare
norme che prevedano la chiusura dei paradisi fiscali che si trovano e operano
nei paesi europei ed embarghi finanziari per quelli degli altri continenti,
accompagnati dall'annullamento dei rapporti e dalla chiusura di società, sedi
ecc. che operano sul suolo europeo. L'Italia che per quantità di evasione,
esportazione di capitali, corruzione, riciclaggio, economia criminale e
sommersa è prima in classifica, dovrebbe presentare una proposta scritta alla
Commissione Europea pretendendo che venga discussa, chiedere il pronunciamento del Parlamento Europeo e la
promozione di un Referendum o una Consultazione popolare Europea. Con una
iniziativa di tale spessore sono assicurati il consenso dei popoli degli altri
paesi e l'attenzione dei rispettivi governi. Nel frattempo in Europa e in
Italia i soldi nascosti nei paradisi dovrebbero essere confiscati per
consentire agli Stati di incassare le tasse e comminare sanzioni pesanti accompagnate da sanzioni
morali e civili.
Elio Veltri e il suo ultimo libro |
Per fare
quanto propongo sarebbe necessario che chi ha potere di decidere si renda conto
di quanto succede e lo consideri gravissimo, spregevole e criminale. Ma siccome
Governo, Parlamento, Regioni, Comuni non ne parlano, devo concludere che non si
sono accorti di nulla perché troppo presi dal teatrino della politica. Per
esempio nessun capo del governo in questa legislatura ha pronunciato le parole Corruzione, Evasione, Esportazione di
capitali, Riciclaggio, Economia mafiosa, assumendo l'impegno
di farne una priorità assoluta e di rendere conto al paese ogni 6 mesi.
La
novità qualche anno fa era venuta dalla Troika: Fondo Monetario
Internazionale, Banca Mondiale e OCSE che aveva deciso di approvare una
“piattaforma fiscale comune” per recuperare i soldi imboscati e rubati.
Purtroppo gli anni passano e nulla si muove. In Italia poi dichiarazioni che in
altri paesi solleverebbero problemi nell'opinione pubblica e nei governi,
passano inosservate. Ricordo che nel dicembre del 2009 il Procuratore della
Repubblica Vito Zingani alla Gazzetta di Modena aveva dichiarato: ”Anche a Modena i soldi sporchi
alimentano l'economia locale, quella onesta. Se per magia avessi il potere di
sradicare il crimine dalla città, mi caccereste perché l'avrei rovinata”. Le
parole pronunciate da un magistrato serio e preparato erano pietre. Ma nessuno
ha replicato o si è scandalizzato. In tempi recenti Antonio Costa, ex
responsabile ONU per la criminalità organizzata, intervistato da Report ha
affermato che tra il 2007-2008 banche italiane e non solo, in crisi di
liquidità, avevano preso soldi dalle mafie. Il meno che si potesse fare era di
convocarlo in Parlamento, segretare l'incontro, farsi dire il nome delle banche
e mandare a casa i banchieri responsabili. Nessuno si è meravigliato e le
affermazioni sono state ignorate.
Negli anni il nostro paese ha consolidato
insieme alla Grecia il primato della incidenza dell'economia sommersa e
criminale. Per cui, una parte
consistente della ricchezza del paese è sconosciuta all'erario, non paga le
tasse, si alimenta di corruzione e
riciclaggio, viene esportata illecitamente. E viene alla luce solo quando la
magistratura scopre reati connessi, dal momento che partiti, istituzioni e
sindacati, anche padronali, non si accorgono di nulla. O se ne disinteressano.
Vale la pena fornire qualche dato sull'incremento del fenomeno di anno in anno.
Economia sommersa: il Fondo Monetario
Internazionale per gli anni 1999-2001 ha analizzato il sommerso in 84 paesi.
Tra i paesi dell'OCSE l'Italia occupava il secondo posto con una incidenza del
27% del PIL, dopo la Grecia, a fronte di una media europea del 10-15%. Dopo alcuni
anni, nel 2007, L'Eurispes dava valori più elevati pari a 549 miliardi di Euro
su un Pil di 1500 miliardi circa. I dati ISTAT erano più contenuti.
Nel 2010 Sergio Rizzo citava una
stima di Kris Network of Business Ethics che valutava l'evasione fiscale
italiana circa 300 miliardi di euro di cui una quarantina ascrivibili alla
criminalità organizzata, compatibili con le gigantesche proporzioni
dell'economia sommersa del nostro paese. Nel 2004, per evitare di scrivere
castronerie in un libro, avevo inviato una lettera a Paolo Sylos Labini
chiedendo se con una montagna di economia sommersa e criminale, un qualsiasi
progetto di sviluppo, pur sostenuto da una concreta volontà politica, a suo
parere potesse decollare. Questa la sua risposta: “Caro Elio, conoscevo già i
problemi cui accenni nella lettera, ma vederne l'elenco sintetico mi ha molto
impressionato. Alcune delle stime non sono e non possono essere precise, ma
considerate le fonti, credo che gli ordini di grandezza siano quelli. Ce n'è
abbastanza per essere angosciati”.
Convinti che
nessun governo sarebbe mai stato in grado di tirare fuori il paese dalla crisi
senza ridurre la quota di economia sommersa e criminale, l'evasione fiscale, la
quantità di denaro sporco riciclato, equivalente al 10% del PIL, contrastare la
corruzione diffusa valutata 100 miliardi all'anno, un gruppo di persone di
buona volontà, alcuni dei quali competenti come Giorgio Ruffolo e Franco
Archibugi, insieme ad Alessandro Masneri, Luigi Zanda e chi scrive, dopo avere
lavorato sodo e messo nero su bianco, nel 2011 cercò di aprire un dibattito
sull'argomento, abbaiando alla luna. Con la crisi è aumentata l'evasione e,
soprattutto, l'esportazione di capitali. Secondo uno studio del nucleo
valutario della guardia di finanza del ministero dell'economia, il 29% del
totale dell'evasione è costituita da soldi portati illegalmente all'estero nei
paradisi fiscali.
La cifra mi sembrava enorme e ho pensato a un errore di
scrittura. Ma mi è stata confermata con l'invio della ricerca. Non so se anche noi dobbiamo
comportarci come l'Her Majesty Revenue, il fisco inglese, che ha pubblicato le
foto di 20 evasori lanciando un appello ai cittadini di segnalarli se li
avessero visti.
Quanto
all'economia criminale, nel 2014
Bankitalia ed Eurispes la stimavano
200 miliardi di Pil. Per cui la mafie italiane si confermano prima
azienda del paese, globalizzata e fiorente, tanto che i suoi beni (soldi,
azioni e altri titoli, immobili e mobili) venivano stimati 1000 miliardi di
euro, appena scalfiti dai sequestri e dalle confische. Nel 2009 Piero Grasso in
una relazione depositata alla Commissione Antimafia affermava che le confische
corrispondevano al 5% del totale, che le cosche dispongono di personale umano
inesauribile e che i canali di rifornimento di droga non vengono individuati e
quelli di riciclaggio non vengono neutralizzati. A conferma, nel 2014 la
commissione antimafia presieduta dall'onorevole Bindi ha fatto un lavoro di
verifica di tutta la legislazione antimafia, mettendo in evidenza la pochezza
delle confische dei beni e l'assoluta inadeguatezza dell'Agenzia per
l'amministrazione e la destinazione degli stessi. A conclusione del lavoro la
Presidente ha inviato una dettagliata relazione al Parlamento. Non mi risulta
che siano state convocate le Camere per discutere seriamente il problema,
trovare le soluzioni con l'obiettivo di confiscare almeno la metà dei beni,
venderli e destinare il ricavato alla diminuzione del debito pubblico. C'è di
peggio: il codice antimafia che detta le regole per sequestri e confische, dopo
l'approvazione della Camera, è fermo al Senato da due anni circa. Il che
significa che non è considerato un provvedimento urgente e prioritario. Eppure,
la lotta alle mafie si fa mettendole in mutande perché inquinano le istituzioni
e parte consistente dell'economia legale, mettono a rischio la concorrenza e
scoraggiano gli imprenditori degli altri paesi ad investire in Italia.
Molto interessante (ma quanti
leggono?) Il Supplemento Statistico di Bankitalia
(Dicembre
2012) sulla ricchezza delle famiglie italiane. La Banca Centrale scrive:
”Alla fine
del 2011 la ricchezza netta (reale come case, terreni, ecc. e finanziaria come
titoli e depositi bancari, meno i debiti, i più bassi d'Europa) delle famiglie
italiane era pari a circa 8619 miliardi di euro, corrispondenti a poco più di
140 mila euro pro capite e 350 mila euro in media per famiglia. La componente
finanziaria dell'intera ricchezza superava i 3500 miliardi di euro ed era la
terza al mondo, superiore a quella di Francia e Germania. Quanti, di questi
3500 miliardi, sono poco puliti, imboscati nei paradisi fiscali ed evadono il
fisco? Quindi, un paese ricco, anzi ricchissimo, ma diversamente ricco perché
la metà più povera della famiglie italiane deteneva il 9,4% della ricchezza
totale, mentre il 10% più ricco deteneva il 45,9% della ricchezza complessiva.
Nel mese di
Luglio del 2014 il Governo Italiano alla Camera ha risposto a due Question Time
ed ha comunicato che negli anni 2000-2012 lo Stato ha emesso ruoli di tasse
accertate per 806 miliardi e, ne ha incassato 69: 9 euro per ogni cento che
avrebbe dovuto incassare.
Dell'argomento
si sono interessati alcuni giornali, ma nessuna trasmissione televisiva. Sole
24 Ore, quotidiano di Confindustria ha dedicato alla risposta del governo e
all'economia sommersa da evasione e da esportazione di capitali una inchiesta
fatta di molti articoli con titoli che si commentano da soli: “I globetrotter
dell'evasione fiscale”, “Con la crisi la ricchezza vola nei paradisi fiscali”,
“Lo Stato riesce a incassare solo nove euro su cento” ecc.
Eppure da
mattina a sera, in tutte le sedi, si predica a favore della diminuzione delle
tasse facendo finta di non capire che con una evasione fiscale che si aggira
tra 150 e 200 miliardi di euro all'anno, per diminuire le tasse bisogna
chiudere i servizi essenziali: scuole, ospedali ecc.
Nella riunione del G8 di qualche
anno fa è stato il premier inglese Cameron a dettare l'agenda dichiarando
guerra ai Paradisi Fiscali. Se Cameron e Obama avevano posto il problema e, con
30 anni di ritardo, si erano convinti della necessità di condurre una lotta
seria all'evasione fiscale, alla corruzione e alla criminalità organizzata, è
perché i conti non tornavano. Per lo Stato, infatti, il saldo tra l'attrazione
di investimenti e la moltiplicazione di società esentasse o quasi, e l'evasione
fiscale anche da esportazione di capitali, è negativo.
A chi
chiedeva al prof Ukmar cosa si può fare
per neutralizzare i Paradisi fiscali, il grande fiscalista rispondeva: “Chiudeteli
tutti”. In subordine “è necessario mettere al bando gli operatori che li
usano”. Dei cinquecento miliardi sottratti ogni anno alle entrate dello Stato sembra che nessuno si
preoccupi, mentre la battaglia delle battaglie si fa sui vitalizi dei
parlamentari, costo 180 milioni all'anno. La conseguenza di dequalificare
ancora di più il Parlamento è da mettere in conto perché vi entreranno solo nullafacenti, disoccupati e
mascalzoni. Nessun professionista serio e preparato, infatti, chiuderà lo
studio per qualche anno o rinuncerà alla sua professione, con il rischio di
cambiare in peggio il tenore di vita personale e della famiglia.