DISARMO E DISARMO UNILATERALE
di Paolo Di Stefano
Prendendo le mosse dal
dibattito aperto dal carteggio di Carlo Cassola: “Cassola e il disarmo. La letteratura non basta”, Paolo Di Stefano sviluppa
questa serie di riflessioni.
Premessa
Devo ammettere di non essere mai stato un profondo conoscitore del
Cassola politico. Di Cassola ho
sempre apprezzato le qualità di scrittore e di giornalista, ho seguito -anche
se non con particolare assiduità- il suo lavoro al Corriere, prima, e su altre
diverse testate poi. Ma il Cassola politico mi è rimasto abbastanza lontano. Io
vengo da un tempo in cui -ad esempio- era quanto meno disdicevole avere a che
fare con personaggi definiti “pacifisti” (per esempio, Aldo Capitini a Perugia,
dal quale un paio di volte sono andato, di nascosto soprattutto di mio padre
magistrato, con il mio professore di Diritto Romano Guglielmo Nocera: era la
seconda metà degli anni 50 del 1900, e di Cassola con Capitini non mi è mai
capitato di parlare. Neppure ricordo un qualsiasi accenno da parte di Aldo
Capitini. Eppure erano gli anni del Centro di orientamento religioso -COR-
fondato con l’ottantenne inglese Emma Thomas e del convegno su la non violenza
riguardo al mondo animale e vegetale (12 settembre 1953). Ricordo che la
Chiesa a Perugia vietava la frequentazione del Centro di Orientamento religioso
(COR) e nel 1955 mise all’indice dei libri proibiti l’appena pubblicato Religione Aperta. Il 24 settembre 1961
organizzò la marcia per la pace e la fratellanza dei popoli da Perugia ad
Assisi. Il 21 ottobre 1968 a due giorni dalla morte di Capitini Pietro Nenni
scrive nel suo diario: “Mi dice Pietro
Longo che a Perugia era isolato e considerato stravagante. C’è sempre una punta
di stravaganza ad andare contro corrente, e Aldo Capitini era andato contro
corrente all’epoca del fascismo e nuovamente nell’epoca post-fascista. Forse
troppo per una sola vita umana, ma bello.”
Che potrebbe essere una chiave di
lettura della proposta di Cassola sul disarmo unilaterale: andare contro corrente per richiamare l’attenzione. L’altra chiave di lettura, potrebbe
essere la volontà di fare ricorso alla dialettica degli opposti come mezzo per
il raggiungimento, se non della verità, almeno di un accordo. Ecco allora che
si oppone un estremo (disarmo unilaterale)
al militarismo più radicale, in modo che si possa giungere ad un “corretto
utilizzo delle armi”, male gravissimo ma inevitabile, le armi, con un “corretto
uso delle armi attraverso una organizzazione militare corretta”.
La questione affonda le sue radici, come del resto accade per tutte
le attività umane, nella esistenza dei bisogni e nel loro disporsi secondo una
scala di importanza e di intensità, da un lato, e, dall’altro, dall’essere le
strutture sociali a loro volta portatrici di bisogni, anch’essi disposti
secondo una scala di importanza e di intensità. Wilfredo Pareto, economista, è
stato il primo a parlare di “scala di bisogni” ed a trarne conseguenze
all’epoca dirompenti. La sistemazione dei bisogni più nota oggi sembra essere
quella di Maslow -generalmente detta “piramide di Malslow”, secondo la quale
alla base di tutto esistono i bisogni fisiologici o di sopravvivenza e, subito
dopo, i bisogni relativi alla sicurezza. Tutte le altre categorie di bisogni
seguono nell’ordine: appartenenza, stima, autorealizzazione. Importante
ricordare come gli individui non passino alla soddisfazione dei bisogni di
grado più elevato se non dopo aver soddisfatto quelli di livello inferiore, e
ciò in ragione della importanza delle diverse categorie: vivere e sopravvivere
è assolutamente essenziale, e la sicurezza segue precedendo gli altri. Significa
in due parole che la cosa essenziale per l’individuo è vivere, subito seguita
dalla categoria dei bisogni relativi alla sicurezza. E quando si parla di
sicurezza, il primo aggancio è con la vita: sicurezza vuol dire innanzitutto
“non vedere messa in pericolo la propria vita” ad opera di chicchessia. Il che
immediatamente comporta il concetto di “difesa” e, a cascata, quelli di “difesa
preventiva” e di “mezzi in grado di garantire la possibilità di difendersi e di
reagire se necessario”.
Per soddisfare questi due bisogni
-difesa e difesa preventiva- occorrono strumenti adatti innanzitutto a
scoraggiare gli eventuali malintenzionati; poi a reagire ad azioni offensive;
infine a prevenire attacchi. Se tutto questo è vero, almeno tre considerazioni:
La prima: quando si parla di “armi” in genere, si attinge alla base
della scala dei bisogni degli individui;
La seconda: la sicurezza è assolutamente legata ai rapporti tra gli
individui, e dunque non è ipotizzabile se non con estrema fatica una
“sicurezza” che prescinda dai rapporti con gli altri.
La terza: la “piramide dei bisogni” si ripete per ogni gradino di
quella che chiamiamo “scala sociale”.
E tutto quanto fin qui esposto
vale per gli individui singoli e per gli individui collettivi, dunque per le
persone fisiche e per i gruppi di persone i quali, proprio perché gruppi, non
possono prescindere e di fatto non prescindono dal “bisogno di organizzazione”
allo scopo di soddisfare i “bisogni della comunità”.
Allora, ecco tre annotazioni su quanto scrive Cassola a Gaccione
(pag.70): “…L’articolo 52 (della Costituzione) nella prima e importante
norma prescrive che la difesa della patria è sacro dovere del cittadino. Del
cittadino, non dello Stato: per cui è inutile che lo Stato si prepari a un
compito impossibile, la difesa del territorio nazionale in caso di invasione
(…)”
1.Forse Cassola non ha considerato che se “la difesa della Patria” venisse
demandata al singolo cittadino in quanto tale, salterebbe una parte importante
della conquista costituita dal rifiuto della ragion fattasi, conquista di
civiltà;
2.Forse, Cassola non ha chiari i compiti della organizzazione Statale,
che nasce appunto per soddisfare i bisogni dei cittadini almeno per la parte
coincidente con quelli dello Stato stesso;
3.Forse Cassola, avvalendosi anche della dialettica degli opposti,
intende giungere ad un risultato: il riconoscimento della funzione del
cittadino nella attività dello Stato, attività che non può attuarsi se il
cittadino non collabora nella piena consapevolezza del suo “essere” lo Stato.
E una annotazione ulteriore su
quel “disarmo unilaterale” più volte
in queste lettere ribadito pervicacemente.
Pag.91, lettera del 21 ottobre 1978: “Salto le questioni teoriche su
cui siamo d’accordo (del resto sono molto semplici: basta tenere ferma la
proposta del disarmo unilaterale) …”
Pag.166, lettera del 7 settembre 1979: “…che al di fuori
dell’antimilitarismo non c’è salvezza, e che il solo modo serio di fare
l’antimilitarismo è quello di puntare al disarmo unilaterale. (…)”
Per ciò che concerne l’antimilitarismo, è forse opportuno
ricordare che esso esprime il pensiero
di coloro che si oppongono alla “prevalenza” delle forze armate sulla Politica,
che è un modo per riaffermare il principio che la Politica “viene prima” della
organizzazione e dei mezzi che è opportuno utilizzare affinché gli obbiettivi
della Politica possano essere raggiunti.
Ingenuo
Nel diritto romano gli ingenui erano i figli dei cives -titolari
della cittadinanza di Roma- e dunque nella pienezza dei diritti e quindi liberi:
nati liberi e sempre rimasti liberi. Solo molto tempo più avanti, all’attributo
“ingenuo” si è dato il significato
che ha oggi di costantemente fiducioso o estremamente sprovveduto per un fondo
di candore, semplicità o inesperienza.