Non solo cosmetici
di Fulvio Papi
Apro la televisione in un momento
qualsiasi e apprendo, con soddisfazione di quel mercato, che la vendita di
cosmetici è in sensibile aumento. Dico subito che non sono un seguace ostinato
dell'acqua e sapone e che la cura esperta e intelligente del corpo è un
elemento che può entrare con successo nella esperienza quotidiana, può
arricchire una valorizzazione estetica, e tuttavia, se sbaglia tono e misura,
può diventare una maschera grottesca, anche nel caso possa raccogliere gli
applausi di interessati sconsiderati, tra i quali forse vi sono anche quei
reiterati messaggi pubblicitari che restaurano la dimensione miracolosa che,
cambio binario, la teologia della demitizzazione ha interpretato con saggezza.
Un
cosmetico, come un giocattolo, un abito particolare, una arredamento à la mode, sottintende due cose che
sembrano opposte ma sono complementari. In primo luogo la cosmesi non deve
superare la frontiera della moda (come insegnava Simmel) poiché è un sistema
identitario che ha un valore collettivo. Se varca quella soglia eccita il
ridicolo. Ricordo che, ai tempi delle sfilate protestatarie del 68’ e seguenti,
un giovane, del resto tutt'altro che privo di talento, si presentava con la
bombetta (il cappello non un esplosivo) e l'ombrello. La distonia era da
spiegare, anche se, in realtà non era molto difficile.
In ogni
caso, ripeto, cosmesi e abbigliamento hanno un loro tempo. Il quale “guardando
la storia del costume nei secoli passati” dà l'idea che per l'avvenire ci sarà
una prospettiva sempre aperta e variabile, secondo i gusti collettivi, i
desideri di riconoscimento, i costi di mercato. Non vorrei esagerare, ma l'uso
della cosmesi ha dinanzi a sé un tempo di relativa stabilità, così le nonne
(forse meno i nonni), le mamme, le felici nipoti.
Ma le cose,
mi pare, non possano posare su questa certezza. Poco tempo dopo la visione
televisiva infatti ho preso in mano una rivista specializzata sui problemi
ecologici. Non credo che sia nello stile degli scienziati esagerare le
condizioni di fatto, ma la notizia che ho letto con il suo commento diceva che
di tutta la produzione di plastica nel mondo, solo il 5% veniva riciclata. Il
resto veniva buttato negli oceani. In prospettiva il risultato sarebbe stato
che nel 2050 gli oceani saranno formati per metà d’acqua e per metà di plastica.
Relata, refero. Tuttavia qui sarebbe
il caso (ma bisognerebbe farlo molto bene, non in due righe) di ripetere che fra
tutte le specie viventi solo quella umana - che poteva adattarsi a più ambienti
- era in grado nella sua storia evolutiva di creare le condizioni per
distruggere il pianeta che, per caso o per volontà di Dio, ci era dato per
vivere e, naturalmente, per conservarlo al fine nella nostra riproduzione.
Nulla è eterno, ma questa circostanza, se ben regolata, apriva persino uno
spazio per quella possibilità. Ammettiamo che questo pensiero sia
malauguratamente inesatto, com’è nel desiderio mio e di tutti. Ma se invece
avesse dalla sua una verità, e questa verità diventasse uno strisciante
pensiero della propria vita, che cosa vorrà mai dire consumare più cosmetici
per apparire più belli? Ci sono due risposte: una indifferente e cieca che
rende il presente interminabile come una retta che percorra l’universo. L’altra
insopportabile e, talvolta, il silenzio può anche essere una strategia dell’opportunità.