I MOBILI NON
MODERNI DI GARDELLA
di Angelo Gaccione
San Simpliciano |
Piazza San Simpliciano è
una armoniosa enclave del Corso
Garibaldi, e deve il suo nome all’omonima splendida basilica: San Simpliciano è infatti una delle 7 - 8 magnifiche basiliche che
Milano può vantare. È una piazza piccolina e
la basilica le fa da fondale. Vicino ha alcuni “manufatti” di tutto rispetto: l’ottocentesco
armonioso Teatro Fossati che dopo la ristrutturazione è divenuto Teatro Studio
e dove Strehler ha operato fino alla morte. Forse molti non lo sanno, ma pare che il
Fossati sia stato il primo teatro italiano ad essere illuminato dalla luce
elettrica, e fra i tanti che vi hanno messo piede, c’è stato lo scrittore boemo
Franz Kafka nel 1912. C’è, naturalmente, il Nuovo Piccolo, quello realizzato da
Zanuso, mai sono riuscito a riconciliarmi con questa colata di cemento
sgraziata e massiccia, e c’è, in un condominio abbastanza anonimo, la casa dove
abitò il premio Nobel Salvatore Quasimodo. La lapide che lo ricorda non è
visibile dall’esterno, e se non conoscete il numero è difficile che la vediate.
È al numero 16, una mia logora rubrica riporta
ancora indirizzo e telefono del figlio del poeta, l’amico Alessandro, che vi ha
abitato per diverso tempo e dove ero andato a trovarlo ormai una marea di anni
fa. Quasi di fronte c’è quello che per molti di noi è stato un luogo mitico: il
Centro Sociale Garibaldi, che la restaurazione degli anni del disimpegno e dell’effimero
ha trasformato nell’acronimo CAM, facendo sparire il termine Sociale, troppo popolare
e troppo di sinistra. Fino alla morte c’è stato anche qualche metro più in là,
il locale aperto da Pietro Valpreda dove ci siamo tante sere intossicati di
fumo. Vi potrei parlare ancora delle numerose gallerie d’arte, dei laboratori
artigiani, delle vinerie, delle librerie, di amici letterati e di giornalisti
che scrivevano per il vicino "Corriere della Sera", e via enumerando. Ma
restiamo alla Piazza. Oggi a resistere sin dal IV secolo è la Basilica, tutto
il resto è stato, ed è, in continuo mutamento. Vi si è trasferita, da alcuni
anni, la Libreria del Mondo Offeso, mentre la Galleria Lorenzo Vatalaro c’è più
o meno da un ventennio. È una Galleria minuscola
e raccolta e con i pavimenti ancora a lastroni antichi di basalto. In questa
piccolina e fascinosa Galleria, il nostro collaboratore e amico architetto
Jacopo Gardella, ha “messo in mostra” mercoledì 4 aprile 2018 (e lo resteranno
fino a giorno 13), tre “Mobili” come è scritto nel catalogo. Si tratta di tre
poltrone, la Edo, la Ero e la Eco da lui disegnate in periodi diversi. La Edo
la conoscevo già per averla vista nella sua casa di via Verdi, e dove mi sono
anche più volte seduto. Sono poltrone sobrie, calde, com’è calda la materia da
cui prendono vita: il legno, e che hanno una forte attrazione su quelli che
come me hanno un amore particolare per questo materiale. La loro bellezza e
raffinatezza risiedono, a mio parere, nella sobria, controllata classicità del
disegno, in quella loro antimodernità, di cui Gardella parla nel dialogo che
qui riproduciamo. Sono “sedute” comode, piacevoli allo sguardo, capaci di
conferire agli interni, un tocco di armoniosità.
Poltrona Ero |
Domanda. Che cosa ti racconta il progettista di questi mobili?
Risposta. Ci tiene subito a
precisare che sono mobili non moderni.
D. Non moderni? Che significa?
R. Significa che sono una
protesta contro tutto ciò che è moderno.
D. Contro il moderno? E perché? Spiegati meglio.
R. Tutto ciò che viene
idolatrato perché moderno, attuale, contemporaneo non solo lascia perplesso il
progettista, ma lo sconcerta e lo irrita.
D. Ho capito: la modernità non gli piace. Ma quale modernità?
R. La modernità oggi
dilagante: architetture di altezze vertiginose; rivestite interamente di vetro
contro ogni buon senso ecologico; ripetute in tutti i continenti sempre uguali
a se stesse.
D. E poi?
R. Mobili di esasperata
accentuazione tecnologica: costruiti con materiali artificiali e con prodotti
sintetici: plastica, acciaio, plexiglass. Gelidi da toccare e poco invitanti se
usati come sedute su cui riposare.
D. Il tuo amico progettista li disegnerebbe in modo diverso?
R. Sì. Preferisce
materiali tradizionali collaudati da secoli: legno, tessuto, paglia di Vienna.
Caldi da maneggiare ed accoglienti per chi vi si siede sopra.
D. Faresti qualche altro esempio di una modernità che lui disapprova?
R. Sì, cito alcuni oggetti
di diffusissimo uso quotidiano.
Poltrona Edo |
D. Dimmi quali.
R. Automobili con
carrozzerie simili a corpi di squali: dotate di pinne taglienti, provviste di
musi aggressivi simili a fanoni nella bocca di un cetaceo.
D. Ebbene, che male trovi in tutto ciò?
R. Trovo molti mali
pericolosi: esibizionismo esasperato, gusto di sbalordire, ricerca dello
stravagante.
D. Quindi, secondo te, i mobili qui esposti pretendono di opporsi al gusto
estetico dominante?
R. Pretendono di opporsi
al gusto contemporaneo ma soprattutto intendono condannare l’assenza di ogni
interesse per il passato, la dilagante ignoranza della Storia, la assoluta
indifferenza per la ricerca dell’essenziale.
D. Che cosa intendi per essenziale?
R. Il progettista intende
per essenziale una forma a cui non si può
aggiungere né togliere niente se non si vuole che ne venga dispersa la
intrinseca armonia.
D. Ma i mobili qui esposti ti sembrano esempi di armonia?
R. Se non di perfetta
armonia almeno esempi di progettazione pensata, di esecuzione accurata, di
disegno corretto.
Poltrona Eco |
D. Non ti sembra che questi mobili, per il loro aspetto che l'autore
definisce poco moderno, siano in realtà superati, obsoleti, privi di
originalità, poveri di fantasia e di coraggio?
R. Mi sembra che siano
mobili attenti al passato ed alla lezione che il passato ci trasmette; non
bisogna credere tuttavia che essi siano concepiti per ricalcare una copia di
ciò che è già stato fatto né per fare una pedestre imitazione dell’antico, ma
soltanto per trarre dai maestri che ci hanno preceduti ispirazione ed
insegnamento.
D. A questo punto ti faccio una domanda: credi che i mobili del tuo amico
potranno essere capiti?
R. Purtroppo dubito: essi
infatti non sono allineati con tutto ciò
che adesso è di moda.
D. E ciò non gli dispiace?
R. Sì, gli dispiace:
d’altra parte non vuole piegarsi a fare ciò che disapprova al solo scopo di
accattivarsi la approvazione del pubblico.
D. Ma questo è masochismo!
R. No, è il semplice
desiderio di esprimere liberamente le proprie idee.