Gaza: ma la
marcia non si ferma
di Patrizia Cecconi
Su Gaza City i droni
ronzano in continuazione e volano bassi fin dall’alba. Notizie telefoniche
c’informano che volano bassi in tutta la
Striscia. Non è un buon segno. Oggi è il quarto venerdì della grande marcia del
ritorno e i palestinesi hanno promesso molte sorprese per questa quarta
giornata, forse i droni sono particolarmente attivi per questo. In realtà le
sorprese degli organizzatori della marcia
attingono tutte alla creatività tipica della sfera della nonviolenza. Ma
mentre scriviamo Israele ha già fatto il primo martire. Un colpo di precisione
ha fatto saltare parte della scatola cranica a un giovane manifestante. Un
colpo da killer professionista. Così Ahmed Nabil Akel, un ragazzo di 24 anni,
ha smesso di vivere intorno alle 12,30, ora locale, e da giovane scanzonato e
sempre pronto al sorriso, come ci viene descritto, si è trasformato nel primo
martire del 4° giorno. Dire il primo martire, lo ricordiamo, è diverso dal dire
la prima vittima, perché un uomo assassinato è una vittima, ma se questo viene
assassinato mentre manifesta per i diritti della sua collettività diventa un
martire. Questo ci ricordano sempre i palestinesi e vogliamo riportare il loro
pensiero perché spiega bene quel che in occidente sembra difficile capire.
Mentre scriviamo la marcia continua, anche se il giovane Ahmed è stato
assassinato e parecchi altri manifestanti sono stati feriti, e intanto, minuto
per minuto scopriamo le sorprese preparate dagli organizzatori. Sono sorprese
che ricordano quel vecchio sogno che tanti anni fa faceva scrivere sui muri
delle università italiane. “l’immaginazione al potere”. Sarebbe stato bello, ma
non andò così. E anche qui, mentre vediamo aquiloni colorati, o una pseudo
mongolfiera piena di messaggi d’amore che cerca di scavalcare i confini per
portare quei messaggi a un detenuto
chiuso in galera da una ventina d’anni, o un divertito e divertente servizio di
“contro lancio gaz” o i volantini palestinesi che ricalcano ironicamente quelli
israeliani invitando i soldati a tornare a casa e a non credere ai loro
governanti ed altre trovate simili che ricordano la creatività del movimento
italiano del “77, i proiettili e tear gas fanno il loro lavoro ma non fermano
le migliaia di persone che con carretti e automobili, moto e furgoncini, vanno
a unirsi al “popolo delle tende” che staziona fisso lungo il confine e che ha
attrezzato le cinque aree delle manifestazioni con servizi di piccolo ristoro,
librerie e luoghi per conferenze e spettacoli che andranno avanti fino al 15
maggio, giorno della Naqba, in cui la
grande marcia si concluderà. Intanto i droni si moltiplicano e seguitano a
volare bassi e i proiettili lungo la zona della marcia seguitano a cadere come risposta a una manifestazione
pacifica cui partecipano migliaia di
famiglie. Quanti feriti ci saranno oggi? colpiti opportunamente dai proiettili
per restare invalidi, o intossicati dai gas micidiali che Israele può usare
liberamente? Il bilancio lo farà stasera il Ministero della Salute. Noi
sappiamo che le istituzioni internazionali hanno una grande responsabilità,
quella di non costringere Israele a rispettare il Diritto internazionale e il
Diritto umanitario, unica possibilità per arrivare alla fine dei massacri e
fermare l’incremento dell’odio che assedio e occupazione portano con sé. A tal
proposito è di ieri la notizia che il
Parlamento europeo ha votato una risoluzione che risulta incredibile
fino all’assurdo per chi conosce la situazione dall’interno. Di fatto il
Parlamento Europeo ha condannato non
Israele, bensì i palestinesi che
marciano per chiedere il rispetto dei loro diritti. Lo ha fatto attribuendo al
partito al potere nella Striscia di Gaza, cioè Hamas, la colpa di essere
l’ispiratore della manifestazione, senza dimenticare, ovviamente, di
attribuirgli l’epiteto di terrorista secondo i canoni fedeli alla narrativa
israeliana, quella che si serve del potere evocativo di alcune parole dopo
avergli costruito intorno un ricco corollario. Vedasi, ad esempio, “sicurezza
per Israele”, locuzione capace di giustificare ogni crimine israeliano, o
Hamas, nome di un’organizzazione politica cui è subliminalmente connesso
l’aggettivo di terrorista anche quando lo si ritiene ispiratore e organizzatore
di una grande iniziativa basata sulla nonviolenza. Ma il Parlamento europeo,
nel gioco cerchiobottista che confonde ulteriormente la realtà, dopo aver
condannato Hamas e con esso i i
palestinesi rei di chiedere il rispetto del Diritto internazionale, ha anche
dato uno schiaffetto sulle mani a
Israele perché alla richiesta palestinese di rispettare le Risoluzioni Onu ha
risposto in modo un po’ troppo duro, causando in sole tre manifestazioni, 32
martiri e quasi 3000 feriti. Se Israele si fosse contenuto nel numero di uccisi
e feriti, cosa che forse ora farà, non ci sarebbe stato motivo di rimprovero!
Non è gratificante né tanto meno rassicurante vedere che uno degli organi
fondamentali del Diritto internazionale
si flette in tal modo annichilendo l’essenza stessa del Diritto. Ma i palestinesi
di Gaza non si sconvolgono per questo, e qui sta il significato forte di questa
grande marcia. Loro ormai hanno deciso, e lo ripetono spesso, che non hanno più
niente da perdere, che è meglio morire in piedi che vivere in ginocchio. Che
chi muore in questa impresa passa il testimone a chi resta, ed è questo Israele
non riesce a capire e crede ancora di spezzare la resistenza seguitando a
violare il diritto universale.
Israele
non ha capito che i martiri sono “testimoni” e non tolgono forza alla resistenza
ma ne aggiungono. Tanto il governo che il parlamento israeliani pare non abbiano capito che nonostante
l’enorme e continuo uso della forza per tacitare il Diritto, questo Stato e i
suoi rappresentanti potranno solo
restare impuniti per i crimini commessi, ma dovranno vivere nell’incubo di
un’ipotetica vendetta. In ogni casa palestinese c’è la foto di un martire. Un
martire per cui non c’è stata giustizia. Questa è la condanna a cui Israele non
può sottrarsi e che prima o poi si troverà a dover affrontare.