mediatica
pro-israeliana
di Patrizia Cecconi
Gaza.“Se non state attenti i media vi faranno odiare le persone oppresse e
amare i loro oppressori.” Lo diceva Malcom X e non era poesia ma estrema
sintesi di ciò che può il potere mediatico. Lo verifichiamo continuamente anche
ora che l’avvento dei social e della stampa on line riesce a ridimensionare il
potere di creare e sopprimere verità da parte dei media main stream. Solo a
ridimensionare però! Ultimo caso esemplare è quanto successo tre giorni fa in
Medio Oriente, esattamente nella Striscia di Gaza.
Un
passo indietro è d’obbligo ed è la dichiarazione di Israele che minacciava di
fare strage di palestinesi nel caso in cui la manifestazione del 30 marzo,
benché pacifica, avesse sfiorato il confine dell’assedio. Non si è levata
neanche una parola dalle Istituzioni internazionali per condannare una simile
dichiarazione dando così a Israele il consenso tacito a rendere operativa
l’azione criminale minacciata, lasciando sul campo 17 cadaveri e oltre 1500
feriti in un’operazione durata solo poche ore.
I
pochissimi internazionali presenti nei vari punti di concentramento della
“grande marcia del ritorno”, questo il nome dato dagli organizzatori alla
manifestazione indetta per rivendicare il rispetto delle Risoluzioni Onu da
parte di Israele, hanno visto e testimoniato, anche con documentazioni video e
fotografiche, l’andamento della grande manifestazione e gli omicidi immotivati
commessi dai 100 tiratori scelti posizionati da Israele lungo il border. La
“grande marcia” partiva per essere una sorta di festa popolare con bambini al
seguito e partecipazione gioiosa, come mostrano le numerose foto, ma Israele,
colpevole di aver posto l’assedio a Gaza ormai da 11 anni, ha deciso di sparare
lo stesso, e non solo contro i pochissimi che rivendicavano il diritto di superare
la cosiddetta zona cuscinetto imposta con la violenza delle armi
dall’assediante, ma ha sparato sulla folla, uccidendo e ferendo anche dei
ragazzini. E’ stato a questo punto che alcuni dimostranti hanno dato fuoco a
vecchi pneumatici per disorientare col fumo i loro potenziali killer, ma le
foto con i pneumatici in fiamme evidentemente attraggono l’attenzione più di
una famiglia che sembra stia facendo una scampagnata. Dunque queste foto,
insieme alle dichiarazioni israeliane, hanno avuto la capacità di offuscare la
verità al punto che i nostri media, senza pudore, hanno potuto mescolare
menzogne vere e proprie con alcuni
spicchi di verità in una miscellanea che ha soltanto un nome: manipolazione
mediatica della verità.
Che
Israele, intenzionato da sempre ad annettersi illegalmente l’intera Palestina
storica, usi la violenza e al contempo pianga protezione ha una sua logica
indiscutibile, ma che i media italiani, e non solo, si prestino in maggioranza ad assecondarlo
senza alcun pudore né etica professionale, è cosa che lascia quanto meno
perplessi per la sua gravità, non tanto rispetto al popolo palestinese, quanto
a quello italiano, al quale pian piano si sta lasciando affievolire il concetto
di democrazia sostanziale grazie al chiamare democratiche le azioni di uno
Stato, Israele, assolutamente fuori legge.
Israele infatti, detto
pure Stato ebraico definendolo in tal modo etnico-confessionale e perciò stesso
al di fuori di quell’eguaglianza laica che rappresenta uno dei pilastri della
moderna democrazia, è al di fuori delle leggi internazionali dal momento stesso
della sua nascita. Lo è non per opinione dei suoi detrattori, ma per sua stessa
ripetuta e fiera ammissione. Ma questo non è sufficiente a fornire ai nostri
media quell’obiettività necessaria per
una lettura corretta del suo agire ma anzi, al contrario, sembra la
sorgente invisibile di una censura che pian piano si è trasformata in
autocensura fornendo giustificazione ad azioni che secondo la legalità
internazionale sono definibili quali violazioni del Diritto internazionale fino
a configurare, in alcuni casi, l’ipotesi di crimini di guerra e di crimini
contro l’umanità.
Non
si tratta di opinioni ma di lettura obiettiva della realtà, un’obiettività che
viene però ostacolata da una sorta di velo posto da Israele e dai suoi
sostenitori al di sopra di ogni giudizio oggettivo, un velo cui è stato
attribuito con un unico termine, “antisemitismo”, il potere magico di bloccare
ogni critica alle azioni criminali che Israele pratica a partire dalla sua
nascita e che i suoi fondatori praticavano prima ancora della sua fondazione.
Non
sono opinioni ma fatti storici, basti citare atti di terrorismo quali il sanguinoso attentato all’hotel King David
del 1946 o all’hotel Semiramis nel gennaio del “48 o le stragi di interi
villaggi quali Deir Yassin o Lydda tra il “47 e il “48, tanto per fare solo
alcuni esempi. Alcuni dei mandanti ed esecutori di quelle ed altre stragi
diventarono poi statisti importanti, o addirittura Nobel per la pace, ma questo
appartiene alla storia di tante nazioni e non solo di Israele. Tuttavia è bene
ricordarlo, serve a capire.
Tornando alla manipolazione mediatica e in
particolare all’ultimo caso che vogliamo prendere in considerazione, basta
mettere a confronto i fatti con le parole usate per interpretarli da alcuni dei
media più significativi per rendersi
conto di quanto impegno venga dedicato a modificare la realtà e soprattutto la
sua percezione, nonostante i fatti siano incontrovertibili. Magistrale è “La Stampa” la quale, ignorando
che l’organizzazione della marcia che si concluderà il 15 maggio non appartiene
ad Hamas, attribuisce allo stesso Hamas, trasformato ormai da movimento
politico a termine evocativo di terrorismo islamico, benché sia il vero
baluardo palestinese contro l’Isis, la colpa di aver costretto Israele a
macchiarsi di sangue. Come? rivendicando il rispetto alla Risoluzione Onu che
Israele calpesta. E con quale strategia?
quella della manifestazione pacifica armata di “donne, bambini, ragazzi,
per sfondare il confine e riappropriarsi dei territori perduti, fossero pure
pochi metri quadrati e per pochi minuti (che) ha messo in difficoltà Israele e
costretto i suoi militari a sparare sui civili.”
L’argomentare
della Stampa sembrerebbe una pièce da teatro dell’assurdo, senza poi
considerare che i cecchini hanno sparato a uomini donne e bambini che quei
2metri quadrati, per pochi minuti” non li hanno neanche toccati.
Non
meno assurda è l’affermazione dell’Huffingtonpost che apre il suo articolo
definendo Israele come il paese destinato “a fare i conti con il terrorismo fin
dalla sua nascita”, scavalcando a piè pari il fatto che Israele nasce proprio
praticando il terrorismo e non sulla Risoluzione 181 che non rispetterà mai. Seguendo lo stile del politically correct
l’Huffingtonpost dà poi la parola all’analista militare israeliano Amos Harel e
al giornalista Gideon Levy i quali affermano entrambi che la scelta
non-violenta di Hamas, la sua “metamorfosi” come la definiscono, rappresenta il
vero incubo di Israele.
In
qualche modo il vero problema e cioè la natura fuori legge e le azioni
criminali di questo Stato finiscono sempre per confondersi in una nebbia
assolutoria, anche se non è questa l’intenzione di chi, come Gideon Levy,
rappresenta la voce critica del suo Paese.
Passiamo a dare un’occhiata alla cosiddetta
analisi apparsa sull’Internazionale, il cui autore, il francese Guetta, afferma
che se Israele si fosse limitato all’uso di lacrimogeni e proiettili rivestiti
di gomma, avrebbe consentito al (diabolico) Hamas di avvicinarsi e magari
oltrepassare la frontiera (ovvero la
linea dell’assedio) peggiorando l’entità della strage e mettendo “Israele in
una situazione più difficile”. L’analista, o cosiddetto tale, prosegue poi
affermando che Israele, “mostrando tutta la sua determinazione… ha cercato di
stroncare sul nascere un movimento di ribellione di massa palestinese”. Una
lettura del genere, peraltro su una rivista considerata attenta e benevola
verso la questione palestinese, mentre assolve Israele per il suo ultimo
crimine, fa supporre illegittima la ribellione all’assedio e all’occupazione
invertendo totalmente la realtà storica e attuale. Qui le parole di Malcom X
sembrano un’indicazione terapeutica per evitare di ammalarsi di incapacità di
giudizio. Tv e quotidiani hanno fatto a gara in questi giorni a mostrare le
proprie abilità manipolatorie e i media
conosciuti come democratici hanno brillato nel gioco del colpo doppio, uno al
cerchio e uno alla botte, confondendo la realtà anche con definizioni
apparentemente corrette quale, ad esempio, quella maggiormente quotata che
risponde a “Israele ha avuto una reazione sproporzionata”.
Chiamiamo ancora a
sostegno Malcom X per evitare di cadere nella trappola che forse non è neanche
voluta da molti dei giornalisti vittime
della coazione a ripetere, ma che trappola è comunque. Esaminiamo il sostantivo
“reazione” e l’aggettivo “sproporzionata.”
Reazione
a cosa? a una manifestazione pacifica interna a un territorio cinto d’assedio?
Se la reazione risponde a un’azione, l’azione è l’assedio e il non rispetto
delle Risoluzioni Onu, mentre la reazione è la manifestazione per interrompere
le violazioni israeliane. Ma se il termine viene considerato a catena, allora
ecco che può definirsi “reazione” anche la risposta a qualunque “reazione”.
Prendiamo
però l’aggettivo che definisce e al tempo stesso giustifica la “reazione”
israeliana. Viene detta sproporzionata e in tal modo viene conclamato che una
reazione alla manifestazione che rivendica diritti violati è cosa giusta.
Purché resti entro date proporzioni.
È chiaro il gioco, se si
fa un’analisi del contenuto, direbbe Malcom X, non a caso ucciso perché molto
scomodo! E ora vediamo quali sarebbero i parametri in grado di stabilire la
proporzione. Un morto invece che 17? 100 feriti invece che 1500 o più? Non ce
lo dicono i nostri media, loro si limitano a ripetere formule che alla fine
sembrano diventare assiomi.
Lo
spazio di un articolo di giornale non ci permette di dilungarci troppo nelle
analisi e quindi cercheremo di limitarci per non annoiare il lettore.
Aggiungiamo soltanto che considerare come provocazione l’incendio di alcuni
pneumatici usando il fumo per difendersi dagli spari dei cecchini non è
manipolazione dell’informazione, no, è vera e propria menzogna a sostegno di
chi ha ordinato ai propri soldati di macchiarsi di omicidi plurimi e si è poi
congratulato pubblicamente con gli stessi per aver svolto il loro ottimo
lavoro. Vale a dire che i media che
hanno supportato Israele possono a pieno titolo essere considerati complici per
concorso morale con i mandanti degli assassini, ovvero con Netanyahu e
Lieberman i quali, non sazi di quanto avvenuto all’apertura della “grande
marcia” comunicano che faranno altrettanto e di più il prossimo venerdì. La
comunicazione è pubblica ma su di loro non cade alcuna sanzione affinché
vengano fermati. Dove sono le
Istituzioni internazionali?
Ma torniamo velocemente sul gioco mediatico e
vediamo come gli organizzatori della marcia sono stati scalzati dai media per
far spazio ad Hamas, considerato come vero organizzatore. Poi vediamo che le
accuse ad Hamas in quanto sostenitore della resistenza armata (e qui sorvoliamo
sulle Convenzioni di Ginevra che gli darebbero ragione per non sembrare
benevolenti verso questo movimento, visto che non lo siamo) si trasformano in
accuse ad Hamas per aver cambiato strategia ed aver scelto la resistenza non
violenta, che sarebbe il nuovo incubo di Israele.
Ma
Hamas, e non solo lui, ha commesso un nuovo errore, quello di aver stampato
i manifesti funebri di alcune vittime
secondo la retorica della resistenza armata contro l’occupante. Questo ha dato
nuovo ossigeno a favore di Israele e a danno della comprensione obiettiva della
situazione.
Leggerezza?
malafede? servilismo? non abbiamo titolo ad arrogarci il diritto di esprimere
il nostro giudizio sulle motivazioni che hanno spinto alcuni colleghi a
utilizzare questi manifesti di pessima grafica retorico-epica, ma abbiamo il
diritto di esprimerci sul fatto: si tratta di strumentalizzazione di basso
livello che mira a mettere sullo stesso piano la vittima con l’assassino se non
addirittura peggio cioè, secondo l’avvertimento di Malcom X, a farci odiare la
vittima e offrire amore e comprensione al suo assassino.
In conclusione ci chiediamo il perché di tutto questo. Perché a Israele è
consentito di distruggere i pilastri della democrazia e di esportare questa
tecnica distruttiva anche nel nostro
paese? Perché Israele può permettersi di rispondere al Segretario generale
delle Nazioni Unite che non vuole nessuna inchiesta sui suoi crimini e le
Nazioni Unite abbassano la testa? Cosa c’è dietro tutta questa complicità con
un Paese che è il paradigma dell’illegalità legalizzata? Sappiamo che il solo
porci questa domanda può consentire, grazie all’ottimo lavoro della propaganda
israeliana, di essere tacciati di antisemitismo e questo è un ricatto e un’éscamotage di bassissimo livello che
respingiamo a priori.
Chi
scrive ha per caso qualche anello di ebraismo nel suo DNA ma non è questo a
farci respingere l’accusa. Noi, come organo d’informazione condanniamo la
manipolazione mediatica e, come sinceri democratici convinti che solo il
rispetto del Diritto universale può interrompere la mattanza in atto da oltre
70 anni in quell’area geografica, usiamo la nostra voce e le nostre
testimonianze dirette e documentate per raccontare la verità.
La
verità condanna Israele e rinchiude in una cornice eticamente penosa i media
che per sostenerlo hanno sacrificato professionalità e onestà morale. E questo
lo ripetiamo con convinzione supportata dall’analisi della realtà.