IL DIRITTO DI
CRONACA UCCISO DAI CECCHINI
di Patrizia Cecconi
Mentre in Italia si
disquisiva sull’opportunità o meno di accogliere alla festa della Liberazione
le bandiere palestinesi in quanto espressione di un popolo sotto occupazione e
quindi, ai sensi del punto “m” dell’art.2 dello statuto dell’Anpi, accoglibili
a tutti gli effetti nonostante la pretesa di espulsione da parte delle Comunità
ebraiche legate alla politica israeliana, da Gaza arrivava la notizia che due
delle migliaia di palestinesi feriti dall’esercito israeliano erano morti dopo
molti giorni di agonia. Si trattava di un adolescente di nome Tahir Wahba e di
un altro giovane di nome Mohammed Shomali.
L’identificazione dei martiri è
importante quando ad essi si dà
rispetto e per questo li chiamiamo per nome che non vada a perdersi almeno
quella pietas umana che impedisce di ridurre le uccisioni a semplice video game
e i morti a numeri più o meno significativi. Risolta la questione bandiere in modo diverso nelle
diverse città d’Italia, comunque ieri, 25 aprile, la Liberazione veniva
festeggiata. Ma proprio mentre la manifestazione finiva e la diatriba tra filo-israeliani e palestinesi andava
momentaneamente a riposo, arrivava la notizia che un altro giovane palestinese,
un fotoreporter preso di
mira dai cecchini israeliani venerdì scorso mentre fotografava
a centinaia di metri
dal confine, aveva finito di vivere. Si chiamava Mohammed Abu Hussein e aveva
il giubbetto identificativo con la scritta PRESS. Giubbetto che, dato il numero
dei giornalisti palestinesi feriti o uccisi, fa supporre che non sia una
protezione ma un target per gli snipers posizionati su collinette di sabbia
create ad hoc dalle ruspe israeliane per prendere la mira anche a notevole
distanza. Oggi a Jabalia, a nord di Gaza, si terranno i suoi funerali. I suoi amici
lo piangono con rabbia e sono convinti che sia stato ucciso perché colpevole di
filmare la verità. I suoi familiari lo piangono con dolore, ma hanno la stessa
convinzione. I media che fanno la conta dei morti, quando questi appartengono a
una categoria non considerata particolarmente importante, non ne parleranno se
non con un rigo d’agenzia, ma domani prosegue la “grande marcia” e sappiamo che
questa morte non fermerà i palestinesi che hanno deciso di dire a voce alta
“kalas!” cioè “basta!” a questa condizione di esseri umani ingabbiati. Come
ogni venerdì, anche domani la giornata avrà un tema e il tema sarà “i giovani”.
Saranno loro ad organizzare gli eventi che daranno colore alla marcia.
Osservatori imparziali immaginano che sarà una giornata molto calda. Detto senza
aver di fronte la tabella dei quattro venerdì passati può non dare l’idea di
cosa significhi, quindi diciamo che finora ci sono stati quasi 40 morti e quasi
5.000 feriti, ovviamente tutti e solo in campo palestinese. Mohammed forse poteva salvarsi,
sebbene le ferite allo stomaco con proiettili a espansione lasciassero poca speranza. E comunque per
provare a salvarlo serviva un ospedale attrezzato e doveva uscire da Gaza. In
Palestina l’ospedale che forse poteva salvargli la vita c’era e sta a Ramallah. E a
Ramallah Mohammed è stato portato. Ma Israele non ha dato il permesso subito,
ha aspettato che passassero tre giorni. Troppi perché potesse salvarsi.
Questo
fatto viene letto dai gazawi come perfido e sadico divertimento. Forse era solo disfunzione
burocratica, noi non lo sappiamo. Sappiamo però che Mohammed era solo
un testimone disarmato e che è morto nel pomeriggio di ieri, 25 aprile,
nell’ospedale di Ramallah,
proprio mentre in Italia la
giornata della Liberazione dalla quale gli ebrei filo-israeliani volevano escludere i
palestinesi, ormai volgeva al termine. Restavano in campo solo le
polemiche dovute alla partecipazione, a
Milano, della cosiddetta brigata ebraica, la quale al di là dall’essere una reale
espressione della Resistenza italiana (quella ha visto gli ebrei, in quanto
italiani al pari degli altri, come resistenti …al pari degli altri) si pone
come sostenitrice dello Stato di Israele che, come tutti sanno, viola ogni
Risoluzione Onu, occupa i Territori palestinesi e spara sui giornalisti come i
peggiori regimi dittatoriali. Intanto a Gaza le pareti delle case e i muri delle strade
si arricchiscono di altri ritratti di martiri in attesa di un “25
aprile” anche per loro, che ponga fine a questa mattanza di vite e
di diritti.