di
Franco Astengo
La metafora di una Italia che frana...
In
Liguria crolla un altro viadotto autostradale a poche decine di chilometri dal
Ponte Morandi; in Campania straripa, per l’ennesima volta, il fiume Sarno. L’elenco
potrebbe continuare all’infinito nel bilancio di questo tragico week-end di
maltempo. Non si tratta, però soltanto dei danni del maltempo: questo deve
essere chiaro. È dai fatti che accadono attorno a noi, non certo dall’esplodere
del movimento delle sardine, che si evince il distacco della politica o ancor
meglio la separatezza delle cose reali della capacità di governo. Un problema
che riguarda tutta la classe dirigente non solo quella istituzionale ma anche
la burocrazia, le rappresentanze imprenditoriali, le amministrazioni locali. Lo
si può affermare senza timore di essere tacciati di populismo o peggio di
qualunquismo: questo è un Paese che non pensa, non progetta, non è capace di
guardare alle vere priorità del suo territorio, della sua economia, della sua
struttura sociale, un paese che non ricorda il passato e non guarda al futuro
perché vive in eterno sterile presente.
Il
mondo politico – istituzionale appare del tutto autoreferenziale e non svolge
più alcuna funzione propositiva e/o pedagogica.
D’altro
canto se è stato possibile raccogliere (in una dimensione del tutto effimera) milioni
di voti soltanto all’insegna dell’invidia e della bramosia di potere tutto il
resto è ampiamente giustificato. All’interno della struttura politica si
muovono essenzialmente fattori di tipo propagandistico; per il resto ci si
occupa di marginalità che permettono soltanto l’apparire.
Un
Paese da “fiera delle vanità” con l’industria in grande disagio, il territorio
al limite del collasso, una struttura sociale sfrangiata, corporativa, in cerca
di assistenzialismo. Inutile fare paragoni con il passato, con la ricostruzione
del Paese dopo la guerra, con il periodo del “miracolo economico” o con l’idea
della struttura politica fondata sui grandi partiti a integrazione di massa:
non vale la pena pensarci perché adesso questa è imparagonabile difficoltà nei
riferimenti culturali e nelle possibilità di espressione dell’intelligenza
produttiva. Ci troviamo in una fase storica di vero e proprio declino dove
appare smarrita in gran parte anche la stessa coscienza di classe che come
fattore di coscienza civica e di moralità collettiva contribuì a superare in
passato anni molto difficili. Non basta l’essere “contro” i pericoli per la
democrazia, che pure ci sono: occorrerebbe uscire dalla logica del particolare
portata avanti dai diversi gruppi di pressione e di potere.
Una
logica del “particulare” che, senza scomodare Guicciardini, appare la
cifra dominante della nostra vita pubblica.
Per
ora però proprio la politica non sembra fornire segnali in questa direzione e
il tessuto politico-sociale si sta disgregando come accade per i viadotti
autostradali in Liguria. Abbiamo davanti un orizzonte di pessimismo
purtroppo ben giustificato dai fatti.