di Franco Astengo
Giuseppe Conte |
Il dibattito sulla riforma del Mes, il Fondo salva stati, continua a
infiammare la politica italiana. Le posizioni all'interno della maggioranza
sono divise: da un lato Leu e M5s sono per migliorare il negoziato e semmai
rinviarne la riforma. Pd e Italia Viva, invece, difendono la ratifica della
riforma. Sullo sfondo la Lega, con Salvini che ha accusato il premier Conte di
"tradimento".
Questa “querelle” sta
minacciando la stabilità del governo: è evidente come si tratti di un caso
quasi di scuola di strumentalizzazione politica, di una ricerca purchessia di
un “casus belli” sul quale mantenere comunque il confronto politico sempre a
livello di propaganda e di eterna campagna elettorale.
Pur tuttavia sarebbe il
caso di esaminare alcuni aspetti della vicenda in modo da trarne conclusioni
non così scontate come si sta verificando da più parti.
Nessuno (o quasi)
ricorda almeno tre punti:
1.La vera e propria “ubriacatura monetarista” che
portò alla stipula del trattato di Maastricht al quale si arrivò al culmine del
ciclo reaganiano e nella convinzione che la fine del bipolarismo sarebbe
risultata irreversibile dal punto di vista della vittoria del capitalismo
liberale. Vale la pena ricordare ancora una volta il titolo “La fine della
storia” del quale lo stesso autore Francis Fukuyama oggi si è dichiarato
pentito;
2.L’accelerazione impressa al processo di cessione
di sovranità dello “Stato Nazione” del quale si era già paventata la quasi
estinzione. Una prospettiva ammessa dagli stessi no-global (da ricordare il
“popolo di Porto Alegre”) e un’accelerazione rimasta a metà proprio per la
piega presa dalla “globalizzazione” con il mutamento di scenario imposto dalla
crisi del 2007/2008 con il ritorno alla geopolitica e corollario di neo-imperialismi
e nazionalismi di vario tipo;
3.L’arresto di un’ipotesi di ulteriore passaggio a
una dimensione politica comune dell’Unione Europea con il fallimento del progetto
di costituzione (2005) e il ripiegamento avvenuto con il trattato di Lisbona.
In sostanza si sono
verificati equivoci macroscopici e gravi errori politici (compreso quello relativo
al meccanismo dell’allargamento a 27).
Per quel che riguarda
l’Italia da ricordare anche la pessima gestione circa l’ingresso nella moneta
unica.
Emerge da queste vicende
la gravità di un’assenza complessiva di classe dirigente che si accompagna alle
modificazioni avvenute sul piano dell’azione e della comunicazione politica.
Oggi ci si ferma
all’episodico di ogni singolo aspetto al di fuori di una visione di lungo
respiro: insomma quello che nessuno (o quasi) dice riguarda le responsabilità
della politica nel prevedere ciò che stava per accadere contrapponendovi
un’adeguata progettualità.
Il confronto su questi
temi è completamente assente e l’opinione pubblica tagliata fuori dalla
possibilità di esprimersi, appare priva ormai di una rappresentanza politica
misurata su di un pragmatismo collegato a una visione ideale e progettuale di
trasformazione degli equilibri esistenti e di possibilità di affrontare le
inedite contraddizioni che percorrono il mondo d’oggi.