di
Franco Toscani
È un'impresa ardua parlare in poche righe di un
filosofo e storico della filosofia come Remo Bodei (1938-2019), scomparso nel
novembre 2019, uomo dalla cultura sterminata, che si è occupato di innumerevoli
questioni e ha scritto moltissimo (l'ultimo suo libro, Dominio e sottomissione. Schiavi, animali, macchine, Intelligenza
Artificiale, è uscito presso Feltrinelli nel settembre 2019). Sardo
orgoglioso delle sue origini, Bodei aveva studiato presso la Scuola Normale di
Pisa, dove poi aveva anche a lungo insegnato, oltre che in Giappone, in America
Latina, in buona parte d'Europa e, negli ultimi anni, soprattutto negli Stati
Uniti d'America, presso la University of California Los Angeles (Ucla).
I
suoi primi studi e scritti riguardarono l'idealismo tedesco, con un'attenzione particolare
a Hegel, per passare poi agli interessi di filosofia della storia (il suo
saggio sul pensatore utopico Ernst Bloch, Multiversum,
è del 1979, Bibliopolis, Napoli) e alla cultura filosofico-letteraria
romantica, con particolare riferimento a Hölderlin.
Uno
dei suoi testi più importanti è sicuramente Geometria
delle passioni. Paura, speranza, felicità: filosofia e uso politico
(Feltrinelli 1991), in cui l'opposizione tra ragione e passioni (indicanti
l'insieme di emozioni, sentimenti, desideri) viene superata nel tentativo di
stabilire una correlazione necessaria tra ragione e passioni, nella logica non
dell'aut-aut, ma dell'et-et, concependo quindi una ragione non
arida, essa stessa "appassionata", impegnata storicamente e
politicamente, sempre accompagnata dalle passioni, che non vanno demonizzate,
ma controllate e gestite attraverso una educazione sentimentale-affettiva,
perché esse colorano e vivacizzano l'esistenza. In tal modo Bodei sfuggiva alla
falsa alternativa tra razionalismo e irrazionalismo, tra il culto di una
ragione arida e astratta da un lato e l'esaltazione della sfrenatezza
passionale dall'altro.
È
la totalità dell'umano che egli ha sempre indagato e amato, è una ragione
ospitale e legata alla trasformazione del mondo che egli ha sempre concepito,
costruendo i suoi libri nell'intreccio continuo di teoria e storia, interpretazione
e riferimenti testuali precisi, chiarezza logica, espositiva e rigore
filologico.
La
sua opera mira a un'etica e a una filosofia con forti tratti di universalità,
richiede una "logica dell'ulteriorità" connessa ad una
"riapertura affettiva al mondo", avvertendo però che l'universalità
in questione non è già data, ma è in divenire attraverso conflitti e dislivelli
e che, purtroppo, le grandi culture del pianeta non si sono ancora veramente
incontrate. Basti pensare, qui, al dialogo ancora troppo timido e incerto tra
pensieri d'Oriente e pensieri d'Occidente.
Bodei,
dicevamo, è stato anche un grande studioso di Hegel, autore assai difficile che
egli ha saputo interpretare nel modo più fruttuoso e stimolante. Da Hegel aveva
appreso che mirare al vero nella sua totalità è proprio del cammino di pensiero
del filosofo. Se la filosofia è "il proprio tempo appreso nel
pensiero", quest'ultimo non si limita a riprodurre la realtà così com'è,
ma ne fornisce un giudizio critico, la valuta e soppesa. È questo il rapporto
tra la "civetta" della filosofia che interpreta in modo cosciente e
vigile l'epoca e la "talpa" dello spirito rivolto col suo lavoro a un
fine sconosciuto ai contemporanei: sono i temi di La civetta e la talpa, il Mulino 1975 e 2014).
Se
la ragione è "la rosa nella croce del presente" (Hegel), senza mai
dimenticare "l'immane potenza del negativo" Bodei ha sempre onorato
questa "rosa", questo "sole dello spirito" col suo
indefesso ed esemplare lavoro filosofico.
Su
iniziativa di Eugenio Gazzola, il 7 febbraio 2018 presso l'Auditorium della
Fondazione di Piacenza e Vigevano, avevamo reso omaggio a Bodei, con le
relazioni di Cristina Bonelli, di Cecilia Rofena e dello scrivente,
organizzando un convegno a Piacenza nell'anno del suo ottantesimo compleanno. Piacenza
e Modena (dove aveva a lungo presieduto il comitato scientifico del Festival
della filosofia) lo hanno per prima festeggiato, non certo casualmente. A
Piacenza aveva infatti alcuni amici e conoscenti: Piergiorgio Bellocchio,
Eugenio Gazzola, William Xerra, Elena Polledri, il sottoscritto, fra gli altri.
Pur preso da mille impegni, negli ultimi anni aveva scritto una recensione ad
un mio libretto su Heidegger e l'introduzione a una mia raccolta di poesie,
aveva pure presentato presso il locale Istituto storico della Resistenza un mio
saggio su Hölderlin e Heidegger.
Remo Bodei |
Non ha potuto partecipare a causa della malattia all'incontro previsto nell'ottobre 2019 su "Intelligenza artificiale e biotecnologie", organizzato dalla sezione Emilia-Romagna dell'Istituto italiano di bioetica, coordinata da Giorgio Macellari.
So
che ha affrontato il tumore e la chemioterapia che lo hanno fatto soffrire
negli ultimi mesi con coraggio ed estrema lucidità. Era un uomo generoso,
aperto alle avventure ed esperienze culturali, antidogmatico, mite, ma pure
ardimentoso e pronto ad affrontare le sfide intellettuali. Privo di ogni
arroganza, apprezzava la convivialità. La conversazione tra amici era ricca,
varia e piacevolissima. Spiritoso, ironico e autoironico, aveva un bel sorriso,
il sorriso dell'uomo saggio.
A
questo proposito, possiamo riferire anche a Bodei i seguenti versi dedicati da
Friedrich Hölderlin a Zimmer: "Von einem Menschen sag ich, wenn der ist
gut/ Und weise was bedarf er? Ist irgend eins/ Das einer Seele gnüget? ist ein
Haben, ist/ Eine gereifteste Reb' auf Erden/ Gewachsen, die ihn nähre?"
("Di un uomo dico, se egli è buono/ E saggio, di cosa ha bisogno? Vi è
qualcosa/ Che appaghi un'anima? vi è un possesso, un/ Tralcio più maturo, nato/
Sulla terra, che lo nutra?", trad. it. di L. Reitani).
Lo
ricordo nel settembre di qualche anno fa, a Ziano, sorridente, arguto e
spiritoso, lieto della compagnia, dopo un convegno filosofico s'era concesso un
bel pomeriggio di relax con gli amici
piacentini, in visita con Eugenio Gazzola e me presso la torre-abitazione-
laboratorio artistico di William Xerra. Spesso, alla fine delle nostre
conversazioni telefoniche o delle comunicazioni attraverso la posta
elettronica, Remo mi diceva: "Salutami gli amici piacentini". Al
termine della sua fruttuosa esistenza, ora siamo noi - con grande affetto,
gratitudine e riconoscenza - a salutarlo commossi.