IL RITORNO DEL VUOTO
di Angelo Gaccione
Edvard Munch
Skrik
Forse ci eravamo illusi troppo
presto. Forse era talmente inconcepibile il vuoto fisico ed esistenziale in cui
ciascuno di noi era piombato nei mesi di segregazione dovuta ad una pandemia
che ci aveva presi a tradimento, deprivandoci di contatti fisici, di relazioni
affettive, di dialogo diretto, di confronto, di visioni rassicuranti di volti e
di luoghi, da non poter più tollerare questa dismisura. L’avevamo rimosso quel
vuoto, tanto da non volerlo più accettare neppure col pensiero. Bergamo, Roma,
Milano… la loro silente immota bellezza aveva fatto da contrappunto al silenzio
attonito che la morte portava negli ospedali e nelle case; al requiem dei
motori dei camion militari carichi di bare che si avviavano mesti verso i forni
crematori. Ho ancora davanti a me gli angoli più amati di Milano immersi in un
vuoto attonito, avvolti da un silenzio spettrale. Com’era vuota Piazza Santo
Stefano, com’era vuota Via Festa del Perdono con la bella facciata di cotto
rosso dell’Università Statale a me tanto cara; com’era vuoto il giardino
dedicato a Camilla Cederna che gli sta davanti, soltanto qualche mese prima
pieni di vita, di voci, di corpi. I portoni sbarrati, i cortili muti, i balconi
serrati. Avevo trasgredito alle norme perché mi era divenuto intollerabile non
vedere svettare almeno per pochi minuti il Campanile di San Gottardo, il fluire
inarrestabile in Galleria, i fianchi della Cattedrale. E che colpo al cuore
avevo avuto giungendo in Piazza Fontana! Pareva che un’altra disumana strage
l’avesse colpita come cinquant’anni prima, e tutta la città ne fosse rimasta
annichilita. Avevo capito che è il silenzio innaturale a creare il vuoto, e in
contraddizione con ogni legge fisica, il vuoto esisteva, si faceva concreto, ti
inghiottiva. Per un attimo mi era balenato davanti il dipinto di Munch,
quell’urlo strozzato in gola, e avevo avuto anch’io voglia di gridare per
frantumare quel vuoto; perché l’incantesimo che aveva paralizzato ogni cosa,
l’oblio che aveva avvolto e addormentato la città si sciogliesse d’un tratto, e
tutto riprendesse vita come avviene nelle fiabe. Un vuoto esistenziale profondo
che si era andato formando nelle nostre anime e che con fatica stavamo tentando
di colmare. Avremmo avuto bisogno di altro tempo, di molto più tempo, per
potercene liberare. Ma non ne è stato concesso abbastanza alla nostra
imprudenza. Al nostro sfrenato bisogno di vivere, come recita il verso
di un poeta, la morte torna ad opporre il suo argine, le sue solide catene.
Forse ci eravamo illusi troppo presto, forse abbiamo esagerato con la nostra
impudente baldanza, e ora il vuoto ci minaccia di nuovo, sta inesorabilmente
tornando. E con esso la mia malinconia, la mia nostalgia ferita.
Skrik