DANTESCA
di
Franco Toscani
7.
Il sorriso di Virgilio e il cammino più
leggero
Spoglio
del "gran tumor" (Purgatorio,
XI, 119) della vana gonfiezza, nel Canto XII del Purgatorio il poeta rimane umile e privo di orgoglio, coi
"pensieri (...) chinati e scemi" (Purgatorio,
XII, 8-9), più leggero (cfr. Purgatorio,
XII, 12), pronto con Virgilio ("colui che sempre innanzi atteso/
andava", Purgatorio, XII, 76-77)
a riprendere il cammino e ad accogliere l'invito rivolto dall'angelo dell'umiltà alla "gente
umana, per volar sú nata" (Purgatorio,
XII, 95), capace di liberarsi dal peso della superbia, radice d'ogni colpa. I
versi 70 segg. del Canto XII del Purgatorio
riprendono con un tono sarcastico l'apostrofe contro i superbi di Purgatorio, X, 121 e segg.
Così
commenta Natalino Sapegno il percorso compiuto dall'autore della Commedia sino al citato Canto XII della
seconda Cantica: "Da questa complessa vicenda di drammatiche rievocazioni
e di intense meditazioni, l'animo di Dante esce alla fine umiliato e leggero, spoglio
di terrestri ambizioni, consapevole della sua pochezza, timido e arrendevole
come quello di un bambino. E il motivo (...) si rende esplicito nella scena di
stupore fanciullesco, appena intonata a una lieve comicità, con cui questo
canto, e tutto l'episodio, si conclude".
In
questo canto (Purgatorio, XII, 110)
viene esplicitamente menzionato e cantato il detto di Gesù Beati pauperes spiritu! (Mt 5,3), la prima delle beatitudini
evangeliche, la lode degli umili che nel loro cuore sono sgombri dalla vanità
delle glorie mondane.
Così
libero dal primo peccato, riattinto il suo cuore umile, sgravato dagli inutili
pesi delle vanità terrene, il poeta si sente molto più sollevato, leggero e
disposto a un più fruttuoso cammino. La via ai mortali è indicata. A tutti i
mortali, credenti e non credenti, sottolineiamo noi oggi.
Lo
"stupore fanciullesco" del poeta - stupore che è "stordimento
d'animo per grandi e maravigliose cose vedere o udire o per alcuno modo
sentire" (Convivio, IV, XXV,
4-5) - fa sì che il Canto XII del Purgatorio
si concluda con un tocco di lieve umorismo ("a che guardando il mio duca
sorrise" (Purgatorio, XII, 136),
ossia col sorriso affettuoso e incoraggiante di Virgilio (il "dolce
pedagogo", " 'l dolce maestro", Purgatorio, XII, 3 e X, 47), lieto del buon cammino dantesco.
La
figura di Virgilio - maestro di poesia e di sapienza ("de li altri poeti
onore e lume"; "colui da cu' io tolsi/ lo bello stilo che m'ha fatto
onore", cfr. Inferno, I, 82,
86-87) - riunisce in sé razionalità, autorevolezza, responsabilità, humanitas, sensibilità, affettività e
dolcezza. In tutto il suo poema Dante insiste sulla fiducia che gli trasmette
Virgilio, sempre attento al cammino (in Purgatorio,VIII,
42 si parla delle sue "fidate spalle" e nella medesima Cantica, XVII,
10-11, dei "passi fidi/ del mio maestro").
Ciò
non è affatto trascurabile. La questione della fiducia e il sorriso affettuoso
di Virgilio sembrano di poco conto, ma meritano una riflessione più
approfondita, sono in realtà essenziali anche per noi oggi, indicano la giusta
via nella nostra epoca agitata e tormentata. La crisi dell'umanità
contemporanea, prima ancora di essere economica o politica, è infatti e
innanzitutto una crisi di fiducia nell'umanità nostra e altrui, nel cammino di
umanizzazione verso una degna civiltà planetaria.
Alla
fine del Canto XII del Purgatorio il
lieve sorriso affettuoso di Virgilio rincuora e incoraggia il viandante, gli
infonde fiducia nel suo lungo e variegato percorso. Esso è ciò di cui tutti
abbiamo bisogno anche nel nostro tempo per contrastare la "caligine del
mondo", per ritrovare fiducia in noi stessi, negli altri, nelle qualità,
capacità ed energie umane, nelle ragioni della convivenza, di una nuova etica e
civiltà planetarie.
Nel
tempo della dis-grazia, è importante
non perdere di vista ciò che è e ha grazia, bellezza, armonia, garbo,
gentilezza, cortesia, finezza. Come restare umani, come contrastare e arginare
il disumano sempre vicino a noi e presente in noi stessi, come favorire il
percorso di umanizzazione resta il nostro compito decisivo, nonostante tutto il
gran parlare odierno di "trans-umano" e di "post-umano". La
grazia per la quale proviamo gratitudine e riconoscenza è una benedizione che
sorge dalla naturalezza e dalla semplicità. La grazia non è però affatto ovvia
e scontata, non è già data, va piuttosto coltivata. Occorre un'educazione alla
grazia nella libertà, a partire dalla consapevolezza della estrema fragilità
della grazia, indisgiungibile dalla fragilità costitutiva della nostra
esistenza. Anche Dante ci aiuta a muoverci in questa direzione fruttuosa.
[Monte
Armano-Piacenza,
giugno-settembre
2020]