ELOGIO DEL DISSENSO
di
Angelo Gaccione
Giuseppe Deiana
(foto Archivio Odissea)
Il libro di Giuseppe Deiana Dissento
dunque sono, riflette su una serie di problemi che hanno riguardato (e
riguardano) la società italiana dall’immediato dopoguerra - e per tutto il
Novecento -, fino ai giorni nostri. Sono urgenze che hanno costretto istituzioni
e opinione pubblica ad interrogarsi, e per molti aspetti restano conti aperti,
nodi irrisolti. Il tema di fondo, come si evince chiaramente dal titolo, è più
latamente il dissenso, più miratamente l’obiezione. Dissenso e obiezione che
dalla questione militare al consumo di droghe; dall’aborto al testamento
biologico; dalle vaccinazioni alla sperimentazione farmacologica sugli animali;
dal divorzio ai matrimoni fra persone dello stesso sesso, e via enumerando,
hanno aperto un conflitto giuridico, etico-morale, culturale, politico,
religioso, normativo, istituzionale, fino a determinare dei veri e propri
cortocircuiti sociali. Deiana disegna anche gli svolgimenti storici dei temi
presi in esame, dà voce ai protagonisti, alle forze in campo e a quanti vi
hanno apportato il loro contributo sul piano teorico. Tantissime sono infatti
le citazioni di autori e libri come si può vedere nella ricca sezione
bibliografica.
Personalmente vorrei affrontare il libro dall’impalcatura che
lo sorregge tutto: l’atto della disubbidienza, l’atto dell’obiezione, perché le
persone “che obiettano, dissentono e disubbidiscono per passione civile,
coniugando pensiero critico e azione trasformatrice”, sono le sole in
grado di aprire una via al progresso più universalmente inteso, e dare nutrimento
ad una democrazia che è divenuta cachettica. Sono queste persone a “porre
rimedio alla disumanizzazione della società”, come annota giustamente
Deiana. Il pensiero critico è già di per sé disubbidienza e contiene i germi
dell’azione trasformatrice. Per obiettare è necessario aver maturato un
pensiero critico; convinzioni profonde radicate in una coscienza vigile;
consapevolezza di entrare in collisione, di pagare un prezzo commisurato al
valore delle proprie idee e della propria coscienza morale. In una parola: esporsi,
ma anche scegliere da che parte situarsi rispetto ad un comando illogico o
criminale, ad una pratica disumana, ad una prospettiva aberrante. Scrive
Deiana: “Al fondo della cultura dell’obiezione di coscienza c’è una scelta
etico-esistenziale, nel senso che obiettare significa scegliere da che parte
stare di fronte al male; dalla parte dell’io individualistico, oppure della
responsabilità verso la collettività; dalla parte del potere oppure di quella
dei cittadini”. Solo chi obietta pone un argine al male. Solo chi disubbidisce, dissente, oppone il suo no, imprime un corso diverso alla
storia del mondo. È da costoro che germogliano i giusti che divengono
esempio per il resto dell’umanità; e sono le loro scelte estreme, spesso pagate
con la vita, che fanno grandi le nazioni.
Ho sempre provato un’ammirazione smisurata per uomini e donne
di questa levatura. Ne provo ammirazione perché agiscono sapendo di pagare di
persona, assumendosene la responsabilità, offrendo il loro corpo in ostaggio,
la propria libertà, senza coinvolgere altri o procurando del male ad altri.
Agiscono quando c’è bisogno di agire, senza aspettare; senza calcolare
opportunisticamente l’immaturità dei tempi, del ciclo della storia, di essere
soli ed isolati. In fondo, il progresso scientifico - e del pensiero -, ha dato
il meglio di sé quando delle figure esemplari hanno disubbidito, hanno
obiettato a verità che la ragione e la coscienza non potevano accettare. Deiana
fa giustamente i nomi di Giordano Bruno, Lutero, Gandhi, Mandela, Don Lorenzo
Milani; tutte figure dalla personalità straordinaria, che hanno obiettato e
pagato in epoche e tempi diversi. Hanno obiettato anche molti altri uomini a
noi più contemporanei e che fanno ora parte della storia del dissenso del
nostro Paese. Dal teorico nonviolento Aldo Capitini al suo giovane seguace
Pietro Pinna; da Mario Gozzini a padre Ernesto Balducci, a Danilo Dolci a padre
David Maria Turoldo, a decine e decine di testimoni di Geova, di radicali, di
anarchici, di militanti della sinistra socialista, quasi tutti processati,
vessati, emarginati perché si sono opposti al militarismo e alla guerra in
tempo di pace, e i cui nomi dimenticati dai più, sono però presenti nelle
cronache dei giornali.
Ho detto che ho una particolare ammirazione per l’obiezione
individuale perché obbliga ad agire qui e ora, e può essere attuata senza
coinvolgere o far del male agli altri. In questo ho molta più simpatia per il
pensiero libertario che per il marxismo: il primo dà maggior peso e valore alla
responsabilità individuale, all’agire personale. E in questo orizzonte si
colloca lo stesso personalismo di Emmanuel Mounier, che va rivalutato. Una
frase come questa di Bakunin è molto più fertile di tante prediche teoriche
attendiste che spostano l’agire alle calende greche: “Voglio continuare ad
essere quest’uomo impossibile, fino a quando non cambieranno le persone
attualmente possibili”. E in una democrazia dove da tempo il diritto di
voto è diventato un voto senza diritti, come ho più volte scritto,
il dissenso, l’obiezione, l’opposizione, sono rimasti gli unici antidoti alla
completa deriva. A maggior ragione lo sono nei regimi oppressivi, dittatoriali,
teocratici, e nel sistema del capitalismo globale che ha fuso tutte le
bandiere. La sola speranza è che queste pratiche e questi princìpi, diventino
di massa e universali, e non solamente dell’uomo impossibile bakuniano.
Prima che il disastro ambientale e quello nucleare, azzerino il tempo.
Giuseppe Deiana (foto Archivio Odissea) |