PAROLE E LINGUA
di Nicola Santagada
Sulla base di come viene interpretata la radice e del contesto che vuole leggere, la parola, che è un simbolo unico, acquista significato. A questo bisogna aggiungere che l‘aggiunta di simboli alla radice modifica la perifrasi, determinando significati nuovi ed imprevedibili. La radice (thum) θυμ, che si può leggere: quando permane il crescere/rimane a crescere la creatura o quello di cui si parla, con l’aggiunta della desinenza (os) ος: è ciò che nasce (alla lettera: manca), nel senso di ciò che fa nascere, ma anche nel senso che è ciò che il mancare (torti, soprusi) fa crescere, fu interpretata dai greci in vario modo: vita, animo, coraggio, ardore, sdegno, collera, ira. Nella parola θυμός (thymòs) furono desunti dei significati positivi: animo e coraggio, ma anche sdegno, collera, ira come qualcosa che, crescendo in noi, porta allo scatto per irritazione.
 

Opera di Vinicio Verzieri 
Tornando alla radice θυμ, bisogna
ricordare che, prima, era stata acquisita nella cultura latina e aveva dato
luogo, attraverso la metafora del grembo, al verbo tum-eo: sono
gonfio, sono irritato, ribollo, sono tronfio.
Si vuole, qui, ribadire che la desinenza -eo, in greco e in latino,
indica che cosa consegue al pastore in un determinato contesto del processo
formativo. Con tum-eo volle dire che, quando, per irritazione, si
gonfia (si ribadisce il crescere della radice), sbotta.  Da tum-eo furono dedotti il
sostantivo tum-or tumoris: rigonfiamento, collera, furore,
orgoglio, superbia, tumefatto e l’aggettivo tum-idus:
tumido, gonfio, turgido, ribelle. Il significato
corrente di tumore, come massa tumorale, fu dedotto da rigonfiamento.
 
 Da θυμ fu dedotto contumax contumacis:
contumace (come renitente alla citazione in tribunale o alla sentenza
del giudice), ribelle, ostinato, superbo, inflessibile.
Il contumace, per usare una vividissima immagine oraziana, si rispecchia in: odi
profanum vulgus, et arceo (odio il volgo profano, che tengo lontano
da me) ed è la metafora dell’essere in formazione, che, tutto solo, sordo a
tutto, incurante di tutto, imperterrito, continua a crescere, fiero e superbo
del suo stato. Anche i greci parlarono della giustizia in cui è presente uno
solo dei contendenti, che definirono (e ereme dike) ἡ ἐρήμη (δίκη) (di
colui che è nell’eremo e, quindi, impedito) e indicarono il contumace alla
stessa stregua dei latini: (auth-ades) αὐθ-άδης: altero, arrogante, spietato, ostinato,
metafora della creatura in grembo, che, tutta sola, prosegue nel suo obiettivo,
orgogliosa di quello che fa.


Opera di Vinicio Verzieri 
 
 
 I latini avevano definito la
lite: ciò che determina l’esplosione per i torti subiti. I greci
la definirono, quasi allo stesso modo, o con (lya) λύα: discordia, contesa
o con la parola (eris eridos) ἔρις ἔριδος, che
fu anche mitizzata come dea della Discordia, come colei che, durante lo
scorrere, nel rapportarsi con gli altri, legava tutti i torti subiti, generando
discordia e litigi.
 

 

 
 
 


























