LA MEMORIA E MOLTO ALTRO
Una
lettera di Marco Vitale
Marco Vitale
Questa
email-lettera dell’economista Marco Vitale è del 28 gennaio scorso. Lo scritto
a cui si riferisce:
“Da Dachau a Praga, alla soffitta di Anna”, è apparso
nell’inserto culturale de “Il Quotidiano del Sud” di domenica 24
gennaio. Come scrive egli stesso, essa aveva un carattere preminentemente
privato. Ma la quantità di riflessioni e di pensieri che vi sono contenuti, mi
hanno spinto a chiedergli il permesso di renderla pubblica. Ho ritenuto che ne
valesse la pena. [Angelo Gaccione]
Caro
Gaccione,
queste
brevi riflessioni non sono per “Odissea” ma per uno scambio di idee tra noi. Mi
sono state sollecitate dal Tuo commosso articolo del 24 gennaio 2021
intitolato: “Da Dachau a Praga, alla soffitta di Anna. L’atrocità di metterci
una pietra sopra”. E, più in particolare, dalla parte iniziale in cui parli
della Tua giovanile visita a Dachau: “Dov’era il sangue, dov’era il dolore,
dov’erano i lamenti, l’abbaiare dei cani, il fumo che usciva dai camini, gli
ordini gridati dai Kapo’?” Anche io sono andato a visitare un campo di
concentramento (Mauthausen). Non ero giovane come eri Tu, ma già maturo, con
moglie e figli. E avevo già letto molto su quello che è stato forse il più
grande orrore della storia, certo il più infame. E quindi era già ben radicata
in me, come in tanti altri, la convinzione che era indispensabile conservare
memoria non solo per noi ma per i nostri figli e nipoti. E, dunque, è certamente
“un’atrocità metterci una pietra sopra”.
Proprio
in questi giorni della memoria mi sembra che, fortunatamente, i tentativi di
metterci una pietra sopra non sono un tentativo in atto. Anche se i superstiti
di questa atroce storia, ad uno ad uno, stanno scomparendo, la memoria non sta
svanendo. Anzi si sta rafforzando e crescendo. Pensiamo con quanta fatica
questa storia è emersa. Sappiamo molto di più oggi che negli anni ’50 e ’60.
Basta pensare che “Se questo è un uomo” è stato per oltre dieci anni
rifiutato da Einaudi. Quei bambini dietro i fili spinati, quelle montagne di
cadaveri, quelle larve di uomini e donne, quel meraviglioso sorriso di Anna
Frank, non sono svaniti e non svaniranno.
Per
cui, con il passar del tempo, non si tratta più di lanciare appelli a non
dimenticare ma piuttosto a riflettere su cosa ricordare, sulle modalità del
ricordo, sugli insegnamenti dello stesso, sulle responsabilità di chi ha
collaborato all’olocausto ed alle premesse dello stesso. E questo è molto
importante anche per tanti italiani.
Ieri
sera leggevo il capitolo intitolato “L’esilio” di Plutarco in Moralia III.
Plutarco scrive a un amico bandito dalla sua città per imprecisati motivi
politici. È una lettera consolatoria, ma la chiave adottata da Plutarco per
consolare l’amico è molto diversa da quella delle tradizionali lettere
consolatorie. È tutta basata sulla dimenticanza. Dice: “non devi ripensare
continuamente alla tua città ed a quello che essa ti offriva e che hai perduto.
Su questa via non sarai mai consolato sufficientemente. Avrai sempre un
rammarico per quello che hai perduto. Guardati, piuttosto, attorno. Conosci la
nuova città dove sei arrivato. Scopri le cose nuove che l’esilio ti permette di
scoprire. Allora, grazie alla dimenticanza scoprirai un mondo nuovo, nuove
attività, nuovi interessi”. Questa lettera di Plutarco mi ha colpito perché
tante volte mi sono trovato a riflettere sul valore della dimenticanza. Quando
ho visitato Hiroshima non ho dimenticato la bomba atomica e la strage di
un’intera città da essa provocata. Mi sono commosso ricordando i morti di
Hiroshima e il delitto atroce di chi ha deciso di far sganciare la bomba
atomica su una città. Ma al contempo mi sono rallegrato nell’osservare che la
città era rinata, che la vita era rinata, che la natura e l’uomo erano stati,
una volta ancora, più forti dell’opera distruttiva. Dunque, dimenticanza non
certo per metterci una pietra sopra, ma per non lasciarsi sopraffare dal
ricordo del male e della sua apparentemente invincibile forza. Leggo con grande
interesse su “Odissea” nella riflessione di Astengo del 27 gennaio che lo
scrittore israeliano Abraham Yehoshua ha scritto che “troppa memoria, talvolta,
è una trappola”. E David Gusman ha detto una cosa importantissima e bellissima
quando ha scritto: “che è necessario ricordare il futuro oltre che il passato”.
Il premio Nobel per la pace
Elie Wiesel
Parliamo
della Tua Calabria. I calabresi hanno tanto da ricordare ma ancor di più da
dimenticare. Dimenticare tutto l’orrore, che di orrore si tratta, degli ultimi
decenni, che impedisce a loro ed a noi di ricordare le tante cose belle e le
tante persone di valore della storia della Calabria.
La
pagina dei campi di concentramento nazisti non va certo dimenticata, anzi
bisogna, come si sta facendo, rafforzare la documentazione e la divulgazione
relativa, ma bisogna anche andare oltre, senza restare inchiodati a quelle
terribili memorie. Quando ho visitato Buchenwald non ho rimpianto il campo di
concentramento ma mi sono rallegrato nel vedere che il bosco aveva ricoperto il
terreno e che la zona stava ritornando meravigliosa come era quando i giovani
Goethe, Schiller e i loro amici, si ritrovano in un cottage nel bosco dove poi
sorgerà il campo di concentramento. E mi è piaciuto passeggiare nel bosco
ricordando che nell’orrore del campo si era anche formato un movimento di
resistenza armato e che le SS, a mezzogiorno del 10 aprile, furono affrontate,
impedite con le armi dei resistenti a
dar corso agli ultimi efferati ordini di sterminio che avevano ricevuto, del
campo, che era già liberato dai resistenti quando alle sei del pomeriggio il
primo carro armato americano si presentò alle porte di Buchenwald, come ricorda
Elie Wiesel nell’ultima pagina di “La notte”. Quanti messaggi di
speranza, di dignità, di coraggio, di generosità, ci giungono dalle
testimonianze dei campi di concentramento oltre agli orrori. Quanti eroi anche
in questo inferno.
Dunque,
guardare indietro ma per vedere avanti, come dice un antico motto valtellinese.
Sono
molto insoddisfatto di come sono riuscito ad esprimermi, ma spero che Tu
capisca, almeno in parte, ciò che ho malamente cercato di dire.
Cari
saluto.
Marco
Vitale
Elie Wiesel