CONTRO OGNI TERRORE
di
Angelo Gaccione
Pino Arlacchi
“Per
la civiltà eroica degli antichi
la
guerra era il luogo della gloria;
per
noi moderni vale il discorso opposto:
il
luogo della guerra è la barbarie”.
[Angelo
Gaccione: Il lato estremo, 2016]
Di pagine questo nuovo libro di Pino
Arlacchi ne contiene 503. È un libro ponderoso, dunque, e perciò non ci si deve perdere
d’animo perché contiene materia scottante, e a fine lettura non ve ne
pentirete. È un libro
contro la paura, come recita inequivocabilmente il titolo, anzi, contro l’inganno
della paura, per usare una definizione dello stesso autore. Per tutto il
corso del suo saggio che è insieme un trattato sociologico, una disamina
criminologica e storico-politica, ma che fa abbondante uso di altre istanze culturali
(psicologia, psicanalisi, antropologia, pedagogia, neurobiologia, letteratura),
e con irruzioni nel pensiero filosofico, nelle dottrine politiche,
nell’economia, nelle religioni, nella geopolitica, Arlacchi si impegna in un
corpo a corpo contro i persuasori palesi dell’inganno (apparati della sicurezza,
industria militare e forze armate in primo luogo, a cui fanno da
coro settori della grande informazione - cinema e televisioni comprese - e
teste d’uovo di vario ordine e grado che, in qualità di intellettuali e di
suggeritori dei governi e degli stati, fanno sentire la loro perversa influenza
e si assumono il ruolo attivo di teorici del grande caos, come scrive
Arlacchi) e mostra, come in realtà la violenza è andata via via
diminuendo nel corso degli ultimi settantacinque anni. In pratica a partire
dalla fine della Seconda guerra mondiale e dai suoi orrori. E risulta diminuita
pur includendo nel conteggio i lager nazisti, i gulag comunisti, le guerre per
procura delle due superpotenze Usa-Urss, le guerre che le hanno viste
direttamente impegnate in varie aree dello scacchiere mondiale, i conflitti
americani in ogni dove, i colpi di stato che hanno favorito, il loro appoggio
alle dittature militari, le invasioni dei paesi “satelliti” da parte dei
sovietici, i genocidi e le pulizie etniche fomentati da minoranze fanatiche e
criminali, le carestie e le morti per fame provocate da logiche economiche
aberranti basate sulla predazione, lo sfruttamento selvaggio, il
neocolonialismo. Se il bilancio vi sembrerà abbastanza mostruoso e non
giustificabile, limitatamente com’è al Novecento, all’infame secolo scorso, sappiate
che l’arco temporale della storia disegnato da Pino Arlacchi, in termini di
violenze, di guerre, di crudeltà e di morti, vi farà impallidire. E soprattutto
non crediate che altre epoche siano state meno cruente della nostra. Pensiamo
soltanto alla guerra dei Cent’anni (in realtà di anni ne passarono 116), o a
quella dei Trent’anni. Così a lungo il vecchio Continente sarà dilaniato da violenze
e guerre, da assurgere a luogo più insanguinato del pianeta. La guerra e la
violenza come costanti della storia, dunque? Se ci basiamo sulle età classiche
sembrerebbe di sì. I poemi omerici ci raccontano di società perennemente in
guerra fino alla loro estinzione. Come è avvenuto per i grandi imperi: non ne è
rimasto in piedi uno, Roma inclusa. Ma la ricerca di Arlacchi ci racconta che
non è stato sempre così; che i periodi di pace sono stati lunghi e
significativi e gli uomini hanno potuto collaborare pacificamente, e pacificamente
convivere e prosperare. Arlacchi ci porta in Oriente, in continenti diversi dal
nostro, dove accanto al conflitto erano nati un pensiero e una pratica
nonviolenta, pacifici, compassionevoli che non si sono dispersi del tutto.
Pino Arlacchi |
I diciassette capitoli di questo libro offrono
materia in tale abbondanza, che ognuno di essi meriterebbe una riflessione
approfondita, una meditazione attenta e consapevole. Gli stessi singoli
paragrafi sono di grandissimo stimolo per una conoscenza seria di temi di
grande portata, utili per un confronto critico su questioni urgenti e con cui
dovremmo fare i conti. Consiglio molto volentieri ai docenti di tutte le scuole
superiori italiane la lettura e l’uso in classe, come strumento di
conoscenza, di questo preziosissimo libro di Arlacchi. L’autonomia scolastica e
la libertà di insegnamento glielo permettono, e credo sarebbe molto più utile
della lettura dell’onnipresente libro manzoniano, I promessi sposi,
che potrebbe essere letto e commentato nel corso dell’ultimo anno. Per parte
mia tornerò in scritti successivi su altri meritevoli aspetti di Contro la
paura - questo è il titolo del libro - di Arlacchi. Per ora voglio
soffermarmi specificatamente su un tema forte del libro, il militarismo. Sul
militarismo, la corsa agli armamenti, il conflitto bellico, Arlacchi pronuncia
parole chiare e dure. Parla di guerre come imprese criminali, di omicidio di
massa, di terrorismo di stato, di messa in discussione della guerra sia
“come istituzione” che “come idea”. E soprattutto di come essa sia stata “indebolita
e screditata” da valori etici che la civiltà ha maturato nel corso del
tempo, tanto da divenire cifra di un più profondo comune sentire. E poiché
tutto questo è vero, com’è vero che solo i Paesi che se ne sono tenuti a lungo
lontano hanno potuto economicamente prosperare, ne discende che la corsa alla
spesa militare, rappresenta la più grande iattura per la crescita di una
nazione. La spesa militare si rivelerà a lungo andare antieconomica peggiorando
le condizioni di vita dei propri cittadini. Non solo barbarie assoluta,
omicida, distruttiva, causa prima di odi, violenza, terrorismo, insicurezza, il
militarismo e la guerra sono cause primarie del dissesto economico di un Paese.
Arlacchi a questo proposito fa sua “la lezione impartita dalle statistiche di
Angus Maddison sullo sviluppo del Pil negli ultimi duemila anni” in cui “i
periodi di pace o di attenuazione delle guerre sono quelli nei quali la
ricchezza è cresciuta di più”. E aggiunge “(…) Più intenso e durevole è il
periodo di tranquillità nei rapporti con l’esterno (…) maggiore è lo sviluppo
dell’economia domestica e del tenore di vita dei singoli individui”.
Carlo Cassola
Quando nel 1977 con lo scrittore Carlo Cassola
fondammo la Lega per il disarmo Unilaterale e diffondevamo queste ed altre tesi,
che ci avrebbero messo al riparo da tragedie umane e da distruzione di risorse
preziose utili al progresso collettivo, ci prendevano per matti. Per pazzo
presero me che continuavo a scrivere sulla necessità della ricongiunzione delle
due Germanie, sul valore del disarmo unilaterale di alcuni Paesi della Nato per
favorire la distensione col blocco sovietico. “Lei vuole far scatenare la Terza
guerra mondiale” mi accusavano. Cassola non ha potuto vedere la caduta del Muro
di Berlino e la fine della cortina di ferro, noi sì. E abbiamo potuto vedere,
per fortuna senza spargimento di sangue, la transizione dei Paesi dell’Est
europeo. Non posso non condividere, dunque, con Arlacchi, lo spirito e la
passione che animano il suo importantissimo libro. L’industria della paura, i
manovali del terrore non devono prevalere. Ora il Patto di Varsavia non esiste
più e mi chiedo anch’io come Arlacchi: ha ancora senso tenere in vita una
mostruosa macchina da guerra dispendiosa, pericolosa e vorace come la Nato? Bisogna
che si lavori alacremente per il suo scioglimento e destinare l’immane spesa
alle necessità ed alle urgenze che la collettività umana tutta, deve
affrontare. Torno a rivendicare ora, come ho fatto nel corso della mia
giovinezza, e non avendo mai smesso, l’uscita unilaterale del mio bellissimo
Paese da questa obsoleta ed inutile alleanza militare. Riconfermiamo la nostra
amicizia con i popoli degli Stati Uniti, ma rivendichiamo il diritto di non
condividere la fobia e la paranoia per la sicurezza dei loro governi, e men che
meno la loro perversa logica che li ha condotti a portare il loro indebitamento
a limiti insostenibili, con spese militari sempre più massicce, con contratti
sempre più esosi presso agenzie di mercenari mandati ad uccidere sotto la
bandiera a stelle e strisce nei vari teatri di crisi, suscitando terrorismo e
odi. In un mondo che diviene sempre più multipolare e interconnesso, la via
maestra deve essere la collaborazione, e le crisi affidate ad organismi legali,
ad istituzioni sovranazionali, non alle armi e alla morte. Deciso avversario di
militarismo e guerre, su questo la penso come il compianto pacifista Alexander
Langer: “Meglio un anno di negoziati che un giorno di guerra”. La gente
di buon senso sa che le guerre non risolvono i problemi, li aggravano. Non sono
le armi che creano sicurezza, ma la loro abolizione. È giunto il tempo per
tornare a rivendicare anche nel nostro Paese una riconversione delle fabbriche
di armi, aiutando economicamente le imprese a questo importante passo, e l’immediata
cessazione delle esportazioni di ordigni di morte. Rimane come una macchia
indelebile di vergogna sull’operato del governo italiano la decisione di non
aver votato a favore del recente Trattato per la messa al bando delle armi
nucleari. Un governo che ha annoverato fra le sue file dirigenti del Movimento
5Stelle di cui molti militanti diffondevano l’edizione cartacea di questo
giornale, e trovavano su “Odissea” idee consonanti al loro sentire. È stata una
decisione politicamente stupida, grave e subalterna al militarismo americano,
divenuto agli occhi del mondo come il principale pericolo di una possibile
guerra.
Come ci esorta il libro di Arlacchi, dobbiamo
mettere la pace “al centro della scena”. È questa la via, quella che lui
definisce “la rivoluzione copernicana”. Non siamo soli: ben 187 Paesi hanno
firmato il Trattato di non proliferazione; il peso morale dei popoli può far
mutare parere ai potenti delle 9 nazioni che possiedono armi nucleari e
spingerli a rinunciarvi. I Paesi dell’ex blocco sovietico sarebbero più sicuri
se come lo Stato del Costarica sciogliessero i loro eserciti, invece di correre
ad intrupparsi nella Nato. Diventerebbero Paesi pacifici e nessuno oserebbe
attaccarli. Lo sarebbe l’intera Europa, e lo sarebbe la democratica America che
si lascia ossessionare da mercanti di morte e consiglieri psicopatici e
fraudolenti. Dobbiamo riprendere la lotta per la dismissione dei sommergibili
atomici e far capire ai possessori che questo possesso non li rende più sicuri.
Dobbiamo convincere russi, americani e cinesi, che il pulsante
dell’annientamento collettivo del genere umano potrebbe finire nelle mani di
decisori irresponsabili come Trump, e che è più saggio rinunciarvi. La tutela
dell’ambiente, la collaborazione contro le pandemie, le iniziative necessarie
in favore della stabilità climatica, la difesa delle risorse necessarie alla
vita (acqua, suolo, aria, cibo), l’impiego delle enormi risorse sprecate nel
settore militare da investire contro la desertificazione, le carestie, gli
esodi di massa da interi continenti, di questo abbiamo bisogno. Non ci servono
né armi né guerre. Le oltre 500 pagine del libro di Arlacchi ci ricordano tutto
questo, e dovremmo farne tesoro.
La copertina del libro |
Contro la paura
La violenza diminuisce.
I veri pericoli che minacciano la pace Mondiale.
Chiarelettere Editore 2020
Pagg. 503 € 21,00