IL RITORNO SGRADITO DELL’INFLAZIONE
di Alfonso Gianni
Pierluigi Bruno
"Una cartolina dall'Italia"
Ieri
si è aperto il nuovo “cantiere sociale”, così è stato chiamato con una certa enfasi
il confronto che un traballante Governo terrà con le organizzazioni sindacali e
poi con le imprese. Pare si voglia ripercorrere il metodo ispirato al patto
Ciampi del 1993. Non proprio un richiamo felice per il mondo del lavoro. Il
primo incontro, assai breve per la complessità dei temi, ha lasciato
insoddisfatto Landini che ha definito buono il metodo ma inesistenti le
risposte di merito, mentre la Cisl ha sfruttato l’occasione per attaccare la
Cgil nel nome di un fantomatico patto sociale. Al tavolo siede anche un “ospite
inquietante” e poco desiderato: l’inflazione. Porta qualche sollievo al Tesoro
per la diminuzione del debito dovuta all’incremento nominale del Pil. Ma per
gli altri c’è poco da gioire. La “tassa diseguale”, come è stata definita
l’inflazione - in un paese nel quale è stato demolito lungo gli ultimi anni lo
stesso principio costituzionale della progressività del prelievo fiscale - pesa
assai di più su chi è già povero. L’Istat ci fa sapere che per le famiglie a
reddito più basso nel marzo di quest’anno l’inflazione era pari al 9,4%, cioè
ben 2,6 punti percentuali in più rispetto al dato mensile medio. I peggio che
modesti aumenti salariali di quest’anno (0,7%) sono stati spazzati via dall’aumento
dei prezzi retrocedendo il potere d’acquisto a quello del 2009. In sostanza ai
lavoratori a reddito fisso viene a mancare un mese di stipendio. Per non
parlare dei pensionati la cui triste condizione è stata illustrata in un
corposo rapporto dal presidente dell’Inps. Lavoro povero e pensioni da fame si
tengono per mano: 4,3 milioni di lavoratori stanno sotto i 9 euro lordi
all’ora, un pensionato su tre deve campare con meno di mille euro al mese.
Parlare oggi del pericolo della spirale prezzi-salari, soprattutto nel caso
italiano, quale concausa dell’inflazione, è una pura provocazione che serve per
bloccare o contenere al minimo l’incremento indispensabile delle retribuzioni. In
Europa e in Italia, in particolare, non siamo affatto di fronte ad una ripresa
rigogliosa della domanda aggregata. Né si può sostenere che la causa scatenante
l’impennata inflazionistica sia dovuta alla politica monetaria particolarmente
espansiva delle banche centrali. Prova ne sia, come ha giustamente commentato Andrea
Fumagalli sul Manifesto, che a fronte di un’immissione di liquidità in sette
anni pari al 20% del Pil europeo, il tasso di inflazione è stato contenuto
entro il 2%. Per questo motivo l’inversione di tendenza con l’innalzamento dei
tassi di interesse, sia della Fed che soprattutto della Bce, rappresenta la
risposta sbagliata che prepara l’avvento della stagflazione. Il nesso causale
fra la creazione di moneta e aumento dei prezzi è stato reciso dalla finanziarizzazione
sempre più spinta del sistema. Quella liquidità ha solo lambito l’economia
reale, fermandosi nelle capaci sacche di quella finanziaria. È stata dunque la
guerra, la dinamica delle sanzioni e delle contromisure messe in atto dalla
Russia, a delineare il nuovo quadro inflattivo che ha perciò dimensione
mondiale. Lo sfilacciarsi delle catene del valore, il brusco contrarsi
dell’accesso a materie prime indispensabili alla produzione ad alto valore
tecnologico, la crescita del prezzo del gas e l’incertezza sulla continuità
delle forniture, l’incremento dei costi della logistica e dei trasporti, nonché
la tormentata vicenda del grano, sono solo alcuni degli elementi che descrivono
un’inflazione da offerta. I sommovimenti monetari – la guerra delle valute – fanno
il resto. Uno vale uno non è più il consunto slogan dei 5Stelle, ma il rapporto
fra dollaro ed euro raggiunto in questi giorni. L’innalzamento dei rendimenti
dei titoli Usa, rispetto a quelli europei, attira flussi di capitali sul
dollaro. A fare le spese di questa “ri-dollarizzazione” sono soprattutto quei
paesi in via di sviluppo che hanno dovuto indebitarsi in dollari e ora
subiscono senza sconti il rincaro della valuta Usa su interessi o acquisti.
Anche qui piove sul bagnato, ovvero come la guerra ha innescato la retromarcia
in tutti i processi trasformativi, compresi quelli più blandi, quali la transizione
ecologica, così le differenze economiche e sociali nei e tra i paesi tornano ad
accentuarsi. D’altro canto la riorganizzazione della produzione su scala
globale, dovuta alle mutazioni geopolitiche indotte dalla guerra, non potrà
avvenire gratis e alimenterà la spirale inflazionistica dal versante
dell’offerta. Torna d’attualità, ma su una scala ben più ampia, l’insegnamento
di Augusto Graziani che nel 1977 scriveva che “l’inflazione ha una funzione
specifica da svolgere nel meccanismo capitalistico; lungi dall’essere un puro
fenomeno nominale, essa assolve alla funzione delicata di redistribuire
ricchezze e potere da un gruppo all’altro”. Come allora a favore del capitale
finanziario. Se la causa determinante dell’accelerazione inflazionistica è la
guerra, la lotta in difesa delle retribuzioni da lavoro si sposa con la causa
della pace e la lotta all’inflazione deve avvenire su un terreno almeno
europeo.
"Una cartolina dall'Italia"