SULLA POESIA
di
Giovanni Borroni
Giovanni Borroni
Qualcuno
deve aver detto che per scrivere ancora poesie da vecchi si dev'essere o molto
bravi o molto stupidi e devo ammettere che, con tutta l’autostima e la
presunzione che pure ho, il dubbio mi rimane e non sono sicuro di volerlo
dirimere. Confesso che, pur avendo letto con impegno e a più riprese
sull’argomento, una definizione di poesia che davvero mi appaghi non l’ho
trovata. Forse perché nessuna mi sembrava abbastanza accogliente da permettermi
di ficcarci tutte quelle “cose” mie che mi rifiuto di rinnegare come poesie. Sono
arrivato alla conclusione, che non pretendo corretta, che è poesia ciò che con
poche immagini a parole ti fa “percepire” emozioni e concetti senza bisogno di
altro. Ritrovo poesia in immagini e musica e anche alcuni brani di prosa sanno
essere non meno ispirati (penso ai ricordi scolastici dei “cori” manzoniani
inseriti nei Promessi sposi). Amo abbinare una immagine (disegno o
fotografia, sempre di mia stessa produzione) a ogni poesia, trovando in
entrambe un nesso ispiratore comune tra l’una e l’altra, come figlie dello
stesso autore.
Dato
che ho avuto l’indubbia fortuna di poter vivere di un lavoro, di una
professione, che ho amato ed amo tuttora, ricambiato quanto mi bastava,
nonostante i limiti di entrambi, mi sono concesso il lusso di non provare a
inseguire la luna di una pubblicazione e, dopo qualche pigro tentativo di
raccogliere e selezionare nei miei cassetti le mie cose migliori, ho infine
deciso di affidarle ad una ad una, man mano che le ripescavo o che mi venivano
nuove, abbastanza mie da non farmele ripudiare in culla, alla corrente della
più nota delle chat line, ormai tipica proprio di quelli della mia età:
Facebook.
È un
po’ come quando, da bambini, adagiavi una barchetta di carta sulla corrente di
un rigagnolo e lo abbandonavi ad un improbabile viaggio.
Te ne torneranno pochi e scontati emoticon e forse qualche generoso commento
dei più affezionati, ma se non pretendi gloria da tanto poco o di sentirti un
“influencer” (che povera cosa da ambire!), ti basta poter pensare di aver
offerto un pretesto per un attimo di riflessione in chi si sia preso la briga
di leggere quelle poche righe, trovandoci un’emozione, una immagine bella e
inattesa, perfino un pensiero da riprendere e proseguire, anche solo dentro di
sé.
Il
vantaggio è che lì non devi chiedere permessi e importuni, non troppo invasivo,
solo chi accetta il modesto fastidio di vederti apparire con un post gratuito,
in cambio solo di un po’ di reciproca tolleranza o simpatia: di solito si
tratta soltanto di amici che prima o poi incontro anche fuori dal social.
A
volte si tratta di davvero poche parole, poco più o anche meno di un haiku o di
un aforisma. Altre sono quasi una pagina di versi che si rincorrono a cascata,
man mano che si sviluppa una storia, un pensiero o un cantare battuto sui
tasti, o appuntato su un foglio qualsiasi. Poi, certo, occorre fermare i
cavalli (perfino quelli da traino a volte provan gusto ad andarsene a zonzo
senza una meta precisa), strigliarli e pulirli per bene e vedere cos’hanno
portato con sé fino alla stalla. Si taglieranno gli eccessi e i passaggi
confusi, i refusi, gli inciampi che spezzano il ritmo (un elemento che spesso
cerco, per dare alle righe una parvenza di musicalità, di nenia o di canto). Se
pubblichi davvero, dovrai rivedere più volte il risultato finale, restando
pronto a lasciarlo da parte per ulteriori occasioni o per più riusciti riesami.
Se invece, come me, ami lasciar navigare la barchetta appena l’hai dispiegata,
non più carta e non ancora veliero ma pur sempre trasportatrice di significati
e di idee, accetti il realistico rischio di accorgerti solo dopo, anche a
distanza di tempo, di aver liberato un vascello che non poteva andare lontano
(ma la Vasa non fece lo stesso, con molto più disonore per i suoi costruttori
ed il re che la sognava invincibile?); ti avvedi di aver lanciato dal nido un
uccello non ancora capace di volare. Ma le poesie non muoiono e i miei pochi
lettori sono soliti perdonarmi senza farmelo pesare, qualcuno con la
compiacenza di avvertirmi subito dei miei errori, dandomi la possibilità di
correggerli al volo. Così ne recupero gli originali e li aggiusto, a futura
memoria.
Giovanni Borroni |