PREMIERATO
di
Alfonso Gianni
Prepararsi
al referendum contro il premierato.
Deve
essere da subito chiaro che sul premierato proposto dal governo Meloni si gioca
una partita decisiva per la salvaguardia della democrazia nel nostro paese.
Perciò è necessario prepararsi da subito al referendum che inevitabilmente ci
sarà se il ddl costituzionale non verrà approvato nella seconda votazione dai
due terzi dei componenti di entrambi i rami del Parlamento. Attualmente,
malgrado il soccorso di Renzi, l’attuale maggioranza per quanto sia ampia,
grazie ad una legge elettorale truffaldina, non raggiunge tale soglia. I
propositi, avanzati in particolare dal Presidente del Senato, di allargare i
consensi parlamentari con qualche modifica al testo non paiono destinati al
successo ed è bene che sia così. Del resto la Meloni ha già cominciato, con
tutti i notevoli mezzi a sua disposizione, una campagna a favore del Sì, anche
se la data del referendum sarà probabilmente nel 2025. In coerenza con la
scelta di percorrere la strada di una modifica costituzionale, precisamente
degli articoli 59, 88, 92 e 94 della nostra Carta. Infatti l’obiettivo di fare
decidere direttamente ai cittadini chi deve governare il paese potrebbe essere
raggiunto anche evitando di cambiare la Costituzione, aggirandola mediante
interventi sulla legge elettorale, come suggerisce Roberto D’Alimonte (Il Sole 24 Ore del 10 novembre). Ma
l’obiettivo della Meloni è più ambizioso. Vuole affossare la democrazia
parlamentare nata dalla Resistenza, invoca quindi la nascita della “terza
repubblica” ove l’antifascismo non sarebbe più una discriminante avendo perso
il suo valore fondativo. Un simile disegno ha quindi bisogno di un testo
costituzionale che lo sorregga, ne garantisca la continuità nel tempo e sia
legittimato da una maggioranza popolare espressa nel referendum.
Un referendum che, come si sa, non ha bisogno di essere validato dalla partecipazione al voto della maggioranza degli aventi diritto, non ha quorum, quindi nessuno può rifugiarsi nell’astensionismo. Si tratta di una battaglia frontale, “battaglia soda, sanza corna e sanza piazza” si potrebbe dire usando metaforicamente il Machiavelli. Non pare, purtroppo che il fronte che si dovrebbe contrapporre al disegno meloniano, sia ancora pronto a reggere lo scontro. Ma il tempo c’è per rafforzarlo. Ad alcune condizioni che vanno costruite subito. Sento spesso, non solo in ambienti sindacali, dire che il ddl sul premierato è fumo negli occhi per nascondere le magagne di un’economia disastrata e di una legge di bilancio che la aggrava. C’è anche questo aspetto, ma non è quello predominante. Il premierato rappresenta il punto di arrivo in salsa italiana di un progetto che ha radici lontane, dalla Trilateral Commission alla Loggia P2, e che punta al restringimento di tutti i canali democratici entro i quali possono scorrere i bisogni e le aspirazioni popolari. Quale migliore sistema per ottenere questo risultato che non costruire un impianto, come quello contenuto nei cinque articoli (ma l’ultimo contiene solo norme transitorie sull’entrata in vigore) del ddl governativo, che prevede di ridurre le funzioni del Presidente della Repubblica a quelle di un semplice notaio e un Parlamento asservito – pena il suo scioglimento – ai voleri di un Presidente del consiglio eletto o di un eventuale suo subentrante facente parte della stessa maggioranza e legato al suo programma?
Un Parlamento nel quale la
formazione politica che arriva prima nelle elezioni, senza definire una soglia,
ha assicurato il 55% dei membri? Al contempo bisogna guardarsi dalle tentazioni
emendative, purtroppo già evidenti in settori delle opposizioni, per la
semplice ragione che non si può rimettere in piedi un sistema istituzionale,
completamente stravolto dal disegno sopra descritto, con qualche compensazione.
Si dirà: Mattarella ha firmato l’autorizzazione alla presentazione del ddl alle
camere. Ma non è da oggi che nei discorsi ufficiali del capo dello Stato si
colgono riferimenti agli equilibri fra i poteri. Probabilmente tali argomenti
saranno ancora più frequenti nelle sue esternazioni. Forse la cosiddetta moral suasion è già in atto, anche se
finora non se ne vedono gli effetti. Ma sperare che Mattarella potesse non autorizzare
la presentazione del disegno di legge alle Camere non tiene conto, tra le altre
cose, della accusa che gli sarebbe stata rivolta di difendere in primo luogo il
suo ruolo, con esiti rovesciati rispetto alle intenzioni, come giustamente ha
sostenuto Massimo Villone (il Manifesto
del 15 novembre). Né bisogna farsi spaventare dai sondaggi che indicano una
maggioranza di poco sopra al 50% favorevole all’elezione diretta del presidente
del consiglio. È un dato già in discesa, quindi rovesciabile, come è successo
nei precedenti referendum costituzionali. La vittoria referendaria del NO è non
solo indispensabile, ma possibile, a condizione di muoversi subito, legando la
difesa della Costituzione all’affermazione dei diritti e dei bisogni sociali.