UN LIBRO CHE INSEGNA A OSSERVARE
di
Giovanni Bonomo
Queste note derivano dall’incontro
del 3 novembre 2023 di presentazione del libro La mia Milano, di
Angelo Gaccione, Meravigli ed. 2023, con la presenza dell’Autore e di un vasto
pubblico nella Sala delle conferenze del Museo Martinitt e Stelline.
Non
si tratta quindi di una recensione – ve ne sono già in Internet e su autorevoli
quotidiani con altrettanto autorevoli firme – ma di un lavoro di rielaborazione
di alcuni punti del libro che più mi hanno colpito e che sono serviti, nella
interlocuzione con l’Autore, a interessare il pubblico nei limiti di tempo di
un’ora concessa per la conversazione “salottiera”. Essendo i miei spunti
piaciuti all’Autore, ecco che su suo invito li trascrivo e li pubblico qui.
1. Il libro stimola fin dalle
prime pagine alla scoperta di una Milano ignota ai più, soprattutto a chi ci
vive - questo il paradosso – ed essendo io tra quelli, non posso che
ringraziare Angelo Gaccione per tale impegnativa opera che colma molte lacune
culturali. Mi ha colpito in prima battuta l’accenno alle lingue perdute – che
mi ha subito fatto ricordare il noto saggio di Giorgio Salvi sulle “lingue
tagliate” -, nel primo capitolo con l’aforisma di Licurgo sulla buona
amministrazione di ogni città che inizia dalla cura che ne hanno gli stessi
cittadini. In effetti, dietro ogni lingua dialettale, nel nostro caso il
milanese, ci sono gli intelletti, ma anche le fatiche, i dolori, i conflitti, le
dinamiche sociali di chi ci ha poi lasciato opere meravigliose
nell’architettura e nell’urbanistica.
L'orecchio di Wildt
2. Un’altra cosa che colpisce
il lettore, oltre allo stile narrativo avvincente (che per me non è una novità
conoscendo da tempo l’Autore come finissima penna), sono le notizie storiche e
di storia dell’arte non scontate. Il libro mi ha insegnato a soffermarmi
e osservare meglio palazzi, chiese e monumenti che prima
guardavo solo di passaggio e, appunto, non osservavo. Adesso, per esempio,
quando faccio l’usuale tragitto che mi porta da via San Marco alla via
Osti di porta Romana (la viuzza di pochi metri dove è ora la nuova Biblioteca
Ostinata oggetto di un capitolo del libro), passo per via Carlo Porta, da me
prima non considerata solo per essere di congiunzione con via Turati, e ammiro
sulla destra la Casa delle Rondini della Fondazione Corrente, poi arrivo in via
Palestro, rasentando il parco e la Villa Reale,
percorrendola fino ad arrivare in corso Venezia; da lì svolto dopo
pochi metri a sinistra in via Serbelloni e, al numero civico 10 ammiro
l’Orecchio di Wildt (dal nome dello scultore) incastonato in una nicchia
accanto al portone del palazzo noto come “La Cà de l’Oreggia”, per poi
proseguire, nel “Quadrilatero del Silenzio”, dando uno sguardo allo scorcio di
giardino di villa Necchi, e oltrepassando via Mozart, Vivaio e corso Monforte,
in via Conservatorio, e lì non guardo più solo il Conservatorio di musica
Giuseppe Verdi perché Gaccione mi porta a considerare con maggiore attenzione –
a osservare, ripeto – la Chiesa di Santa Maria della Passione nella sua
monumentale bellezza e imponenza, ricordando che contiene, oltre agli affreschi
del Bergognone nella Sala Capitolare, quel capolavoro dell’Ultima Cena di
Gaudenzio Ferrari, opera precedente e meno nota dell’Ultima Cena di
Leonardo da Vinci nella Chiesa di Santa Maria delle Grazie.
3. Molto interessante e suggestivo è anche il capitoletto sulle abbazie fuori porta, da Viboldone a Chiaravalle. Per non parlare dell’abbazia di Mirasole, che se si incappa in una giornata di sole lo spettacolo, come suggerisce il titolo, è ammirevole e struggente. Anche in questo caso apprendiamo che non si presta attenzione a ciò che si ha a pochi passi da casa, finendo per ignorare beni di grande importanza che non si sono mai visti e visitati e che si trovano a un rito di schioppo dal centro di Milano.
Abbazia di Chiaravalle
4. Un’altra cosa che vorrei
sottolineare di questo libro è la passione e il senso civico “per
l’eleganza pubblica e la comodità privata”, come da massima presente in molti
palazzi storici nobiliari di Milano, e in particolare quel motto inciso
sull’archivolto del palazzo Castani in piazza San Sepolcro: Elegantiae
publicae commoditati privatae. Conosco Angelo Gaccione come scrittore di
impegno civile e anche qui, parlando di Milano e delle sue bellezze, non si
smentisce. Mi ha colpito in proposito questa profonda e suggestiva frase (pag.
59): “L’eleganza come rispetto per la dignità pubblica, collettiva; la
bellezza come armonia e decoro civile di cui la comunità intera deve usufruire
per diventare migliore e riconoscersi degna della sua umanità”. Come non
dargli ragione, è proprio questa filosofia che ha permesso a interi agglomerati
cittadini di ereditare un patrimonio architettonico che ancora ci affascina.
Palazzo Castani
5. A pagina 111 ho trovato descritto in modo straordinariamente efficace lo straniamento che la nuova civiltà digitale e multimediale, fondata sull’immagine da smartphone e costruita più sull’audiovisivo che sulla lettura di buoni libri, esercita sui più: “Se salite su un vagone della metropolitana, su un tram, un autobus, un filobus, non vedete che teste reclinate su telefonini e smartphone tutte intente e perse sui display. La velocità dei pollici con cui digitano e compongono numeri e lettere sulle tastiere è impressionante; la mutazione degli arti superiori dell’homo abilis è iniziata: si perde in capacità prensile ma si acquista in quella digitatoria. Intorno può accadere qualunque cosa perché nessuno ci fa caso: intenti a mandare messaggi su WhatsApp e a ‘postare’ su Facebook e Instagram, persi nei meandri di Internet, non ci accorgiamo di nulla”. Ebbene, anch’io penso che l’ignoranza di molte cose della nostra meravigliosa Milano è dovuta a questo, alla mancanza di attenzione per la vita reale, alla mancanza di silenzio, che solo consente raccoglimento e riflessione.
6. Non si può non dire
qualcosa del meraviglioso finale del libro, il capitolo “Campane e campanili”,
i quali si concatenano uno all’altro – ed è bellissimo ripassarli tutti,
compresi quelli fuori porta fino a Pero e Rho, nell’attenta rassegna che ne fa
l’Autore – in un crescente tripudio sonoro di 85 campane che si
svegliano, si animano e zittiscono ogni rumore cittadino, anche la voce
dei tanti che si chiedono, nelle strade e affacciandosi alle finestre, che cosa
stia succedendo e di quale grandiosa festa si possa trattare. Si tratta in
verità di Milano, della nostra “Milano generosa e impietosa; altruista e
indifferente; ribelle e moderata, poetica e desolata; opulenta e
derelitta; scandalosamente bella e ignominiosamente oscena; luminosa e grigia;
vitale e malata; integra e corrotta, devota e farisea; ironica e ferita; colta
e insipiente; spalancata e segreta, allegra e malinconica” che alla fine
prende voce – la voce dei suoi campanili – e sovrasta nella sua bellezza, ora
anche sonora, ogni altro rumore, ogni possibilità di parola. In un concerto
potente con un crescendo sublime, da apoteosi, di cui parlerà il mondo intero.
Campanile di San Gottardo
In copertina: Casa Sartorio al civico 13 di via Piacenza in Porta Romana. (architetto Enrico Provasi, 1910).