UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

domenica 22 dicembre 2024

C’È DEL MARCIO IN OCCIDENTE
di Adam Vaccaro


Piergiorgio Odifreddi

Deificazione neoliberista del capitalismo globalizzato. 
 
Questo libro di Piergiorgio Odifreddi (C’è del marcio in Occidente, Raffaello Cortina Editore, 2024, pagine 261) regala un vento benefico che irrompe in una atmosfera soffocata da smog sempre più irrespirabile, e ci aiuta a spazzarla via. È un vento di irrisione di ogni falsità spacciata come verità, dai poteri in atto, in Occidente, ma non solo, nel presente, ma non solo. E per farlo somma una impressionante dotazione di conoscenze pluridisciplinari, dalla filosofia, alla storia, alla letteratura, all’economia, ma non solo. Perché, se si vogliono smascherare i crimini e le menzogne del potere, o meglio, dei poteri storicamente articolati in Occidente, occorre dotarsi di adeguate ricchezze di conoscenze delle sovrastrutture portanti la realtà complessa in cui viviamo. La quale ci riversa verità apodittiche e ideologiche, attraverso un esercito mai così vasto di propaganda massmediatica, con la quale ci raccontano di essere i più liberi e i migliori custodi della Verità e del Mondo secolarizzati. Ne deriva un pensiero unico e assoluto, consono alla radice patriarcale di un fondamentalismo religioso su cui è cresciuto, che ha sempre ucciso socialmente e fisicamente, ogni obiezione critica, o visione altra.
Odifreddi è un esempio, tra i pochissimi, di superamento della divisione tra le due culture – umanistica e scientifica – fonte di impoverimento delle nostre possibilità di conoscenza, e conseguentemente di libertà concreta rispetto alle falsità spacciate e necessarie alla gestione di ogni potere. Tale indirizzo è seguito dall’Autore con passione, coraggio e un lavoro incessante di acquisizione di strumenti di analisi nel corso dei suoi decenni di vita, che questo libro sintetizza con efficacia, non solo di argomentazioni, ma di esposizione chiara e divulgativa, che rende la lettura delle sue 250 pagine, un attraversamento benefico dei temi e problemi intricati con cui, qui e ora, ogni persona dalla mente minimamente viva si confronta quotidianamente.
 Tuttavia, la sua apertura di ricerca, non penalizza una critica serrata rivolta a pressoché tutti i pilastri millenari della nostra identità culturale, a cominciare da quella umanistica “Gli umanisti… dall’Ottocento in avanti hanno rimosso le vere origini dei Greci, inventando il mito di un popolo unico che arrivava dal nulla, e di un sapere unico che non si basava sui nulla… di una razza pura e di un pensiero puro, senza contaminazioni biologiche e culturali. Un mito colonialista, razzista e protonazista durato quasi due secoli, che ha cominciato a essere smantellato soltanto negli anni Ottanta del secolo scorso” (pag. 141-143). È stato in effetti un frutto malsano de Le Origini rimosse, analizzate dal libro di “Martin Bernal, Atena nera. Le radici afroasiatiche della civiltà classica (Il Saggiatore, 2011)”. È un tema enorme di cui mi limito qui a citare qualche spunto, con la finalità di sollecitare la lettura del libro e ulteriori approfondimenti, su questo come sul corollario di problemi complessi sollecitati da un testo spoglio di ogni connotato ideologico, motivato dalla conoscenza di un sistema di potere invisibile e presente in cielo in terra e in ogni luogo, al pari del Dio inventato dai suoi figli prediletti.


 
Ma mentre quel Dio è silente o parla solo a chi è acceso dalla sua fede, il dio dell’impero odierno continua a parlare e assordarci, raccomandano di mai disconnetterci, perché solo così diventiamo, piccoli atomi del suo corpo, alimento e merci di un circuito incessante di suoi e nostri deliri. È il più potente dio mai creato, perché è dentro di noi, anche non credenti, fatto di cose, succhiate come ostie, senza bisogno di un ministro e una messa. Perché di ministri ne ha un numero immenso e la messa non è solo la domenica, ché è di ogni giorno e notte, senza interruzioni. Una messa officiata da cori di voci trasmutate in meccaniche, fonti di una realtà virtuale, rispetto alla quale è difficile resistere e non farsi ridurre a illusi senzienti senza realtà: “Oggi viviamo infatti in un rintontimento collettivo in cui non contano i fatti, ma solo le fantasie. E non tanto quelle istituzionalizzate come la religione, la metafisica e la letteratura… Quanto piuttosto quelle… del divertimento immediato e mediatico: film, serie televisive, programmi spazzatura, talk show, videogiochi, giochi di ruolo e parchi di divertimento…Oltre al Grande Fratello televisivo, che paradossalmente ha tutto di huxleyiano e niente di orweliano” (p211). È una giostra di illusioni e divertimento, di cui è perno l’industria della pubblicità, il più parassitario, redditizio e fiorente settore economico di questa decantata era della libertà, canestro di chiacchiere, falsità e idiozie che producono soggetti omologhi, quali definiti dalle analisi del meme, delle nuove scienze: la mente fatta anche di neuroni-specchio, che la sua anima bambina, affamata spugna di immagini e suoni, trasmuta attraverso  i cinque sensi del 'cervello bagnato' (come chiamato da Rita Levi Montalcini)  in pandolce  da succhiare, prima di verificare se è un panettone inondato dalla muffa. “Questo spiega la vera e propria epidemia di stupidità che ‘per l’universo penetra e risplende’… prodotto di veri e propri virus della mente”, messi in scena “dal gran circo dei media” e “che si diffonde non perché meriti… ma perché più adatto a farlo”, che “non significa affatto ‘migliore’, e confondere le due cose può causare guai… significa soltanto ‘più contagioso’, e spesso ‘letale’” (pp. 56-57)
Se la letteratura, la poesia e la musica erano condimenti della pietanza della vita, che comunque aiutavano a sentirne il sapore e quindi a conoscerne la sostanza, tanto da poter dire che la poesia in ogni forma era ciò che dava nome alle cose, nel circo mediatico dello spettacolo contemporaneo, ogni funzione di conoscenza della realtà è polvere drogata di emozioni che – con diluvi di cartoons, serial killer, fantasy, soap opera, supereroi ecc. – devono infarcire la capacità di pensare, scodellando un polpettone che diventa la vera realtà mentale. La civiltà dello spettacolo e dell'immagine è un traghetto delizioso di arma di distrazione di massa, che senza una visione critica, castra la capacità di elaborazione conoscitiva della complessità di sé e dell’altro. Il che diventa una vera festa per il dio al potere, se “i nostri occhi sono perennemente puntati su uno schermo, del cellulare, del computer, della televisione, del cinema o dei videogiochi. Raramente interagiamo con altri esseri umani o con il mondo esterno” (p. 211).


 
Il risultato è una massa alienata e passiva di atomi singoli senza identità e comunità, che realizzano il sogno neoliberista di E. Thatcher: “non esiste la società, esistono solo gli individui”. L’essere sociale è cancellato e nel suo vuoto regnano libere le catene invisibili del dio che decide vita o morte di miliardi di esseri viventi (umani e no) con dei clic. Il libro di Odifreddi è, all’opposto, corpo di testo che riafferma come il processo autopoietico dell'identità individuale è alienato, perduto e impossibile, senza l’interazione con l’Altro, costruita entro una complessità e molteplicità sociale e culturale. Per cui una identità individuale o è propaggine di una collettività, o non è. Ed è solo il misticismo che fa della propria potenza di immaginazione un illusorio colloquio e cammino con e nella Totalità personificata nell’Altro, nell’alto dei cieli. Delle tante interazioni di cui il libro si fa scrigno di ricchezze, c’è quella con lo scrittore portoghese Josè Saramago, del quale si ricorda che “il suo Vangelo secondo Gesù Cristo (1991) fu censurato in Portogallo, andò a vivere in volontario esilio nelle isole Canarie, fino alla morte. E dopo uno dei periodici eccessi di difesa perpetrati da Israele nei confronti dei Palestinesi, fu accusato di antisemitismo per aver dichiarato: Mi chiedo se quegli ebrei che morirono nei campi nazisti non proverebbero vergogna per gli atti infami che i loro discendenti stanno commettendo. (p.215). E, a tale proposito, Odifreddi ricorda che “Per difendersi dal disdegno nei confronti delle disumane azioni israeliane, soprattutto quelle dei governi di ispirazione nazifascista del Likud di Begin, Sharon e Netanyahu, gli ebrei hanno iniziato a confondere ad arte “l’antisionismo contro la politica israeliana e l’antisemitismo contro il popolo ebraico” (p.120).
Il pensiero critico di Saramago evidenziava come la democrazia politica, diventa illusione democratica entro una struttura con un “unico indiscutibile potere: la finanza mondiale”. Per cui concludeva: se la “democrazia economica ha ceduto il passo a un mercato oscenamente trionfante” e la “democrazia culturale” rientra anch’essa tra i prodotti sussunti dalla “massificazione industriale” della giostra dello spettacolo, rischia di aggiungersi ai fiori di arredamento di una sovrastruttura priva di capacità dialettica di incidere sulla realtà dell’invisibile potere dominate, talché “Noi non stiamo progredendo, ma regredendo” (pp.216-217).

 
Odifreddi, attraverso le parole e gli sguardi delle centinaia di Autori citati, ci spinge a ri-vedere e a ripensare il rovescio anche delle nostre convinzioni più radicate, riattivando così la dinamica e la riappropriazione culturale di libertà autentica del processo autopoietico. Che è tale se rifiuta di rendere indiscutibili ogni termine, a cominciare da potere, democrazia, libertà, termini fondanti ogni polis, di cui l’Occidente pretende di essere il detentore unico e assoluto. E cita a tale proposito anche alcune dichiarazioni di papa Bergoglio: “Dobbiamo tutti ripensare alla questione del potere umano, al suo significato e ai suoi limiti”; “La logica del massimo profitto al minimo costo, mascherata da razionalità, progresso e promesse illusorie, rende impossibile qualsiasi sincera preoccupazione per la casa comune, e qualsiasi attenzione per gli scartati della società”.
Purtroppo l’approccio di un pensiero unico, dogmatico e religioso, spacciato dal potere occidentale, non consente tale salutare riflessione autocritica. Quando ad esempio crollò in Unione Sovietica il sistema staliniano di capitalismo di Stato, teorizzato dallo stalinismo come socialismo in un paese solo, e per la propaganda pro e contro quale socialismo reale, la CIA finanziò con giubilo “un famoso libro collettivo”, dal titolo Il dio è fallito. Ma non finanzierebbe mai un libro che dimostrasse la possibilità teorica del socialismo ideale, e tantomeno un libro come quello del premio Nobel Kenneth Arrow, che “ha dimostrato matematicamente l’impossibilità della democrazia ideale, che è dunque irrealizzabile” (p.195).
D’altronde, quale democrazia può essere possibile, con una struttura economico-sociale che, “in base agli annuali rapporti del Comitato di Oxford per la lotta contro la Fame (OXFAM), l’uno per cento della popolazione mondiale possiede il 60 per cento della ricchezza del pianeta, e il 10 per cento ne possiede il 90”, vale a dire gli 800 milioni dell’Occidente (Europa e Usa), rispetto all’attuale popolazione mondiale di 8 miliardi? Ma è un crimine sociale che prosegue anche in questa area del paradiso del 10%, in cui le sperequazioni e le diseguaglianze crescono anziché diminuire o attutirsi, con milioni di poveri assoluti mentre una minoranza naviga nell’oro e predica la favola della percolazione, secondo la quale l’oro dei più ricchi arricchirà anche i più poveri. Rispetto a tale immane e plateale latrocinio, quali sono le proposte e i programmi dei politici (di destra e di sinistra) che dicono di rappresentare il popolo? Dichiarazioni retoriche, di un ceto parassitario e ricco di privilegi feudali, asservito come mai alla visione neoliberista, che declama per i poveri la novella della libertà: siete liberi di andare dove volete! atomi nudi di ogni dignità, che incarnano quanto detto da Schopenhauer: Un uomo può fare ciò che vuole, ma non può volere ciò che vuole”. È un aforisma su cui Odifreddi, chiosa: “mi ha vivamente ispirato fin dalla giovinezza” (p.32), con il senso implicito di tutto il libro, di ripresa del senso del limite e del sacro, dei quali il potere neoliberista di quell’1% fa strame, pur sapendo che il desiderio e la volontà sono dettati prima di tutto dai bisogni primari, di cui i più poveri urlano al mondo, spinti a vagare verso aree dove potersi sfamare. L’1% sa che diventano così merce dell’esercito di riserva (già analizzato da Marx) di manodopera, votato a offrirsi a basso costo, favorendo caos, guerre tra poveri, illegalità e criminalità, purché contribuiscano a tenere alto il saggio di profitto. Moti migratori di cui le destre fanno predicazioni di paura, e le sinistre di commossi buonismi. Ma per entrambi il vertice dell’1% rimane immune, proni allo status quo, che offre ai miliardi di affamati, miliardi che, anziché riequilibrare la distribuzione della ricchezza, finanziano organizzazioni per salvarli dal loro mare di disperazione.


 
Si innescano, ahinoi e inevitabilmente, anche speculazioni orrende, legali e criminali, propaggini della coda del problema, cui pare non ci sia altro rimedio che organizzare mille iniziative di aiuti e carità, nell’inutile insegnamento della storia della loro inadeguatezza a eliminare le ignobili cause. Non solo, ma dato lo tsunami umano prodotto dalla logica, innescata da tale esplosivo contesto storico e privo di possibili punti di equilibrio, non può che sfociare in crescenti violenze orizzontali, tra ultimi e penultimi – fino a quando non si coagulasse una coscienza sociale con una massa critica sufficiente di guida adeguata a una azione verticale contro i responsabili.
Solo, se e quando, si concretizzasse questa possibilità, o utopia, si potrà sciogliere questo nodo, perché 
nel capitalismo esiste un’asimmetria strutturale tra produttori e compratori, venditori e consumatori, speculatori e lavoratori, evasori e contribuenti, in ultima analisi, tra ricchi e poveri,”. Con governi “conservatori” e “progressisti”, “alla fine dei conti, i soldi si trovano sempre per salvare le banche, finanziare le industrie e combattere le guerre, e mai per sostenere le pensioni, il lavoro e i servizi. E il motivo è, semplicemente, che in Occidente contano i valori economici, e non i valori etici” (pp.194-195). Ma è un’asimmetria squilibrante, costitutiva dell’attuale struttura imperialistica globale, che non coinvolge solo i rapporti tra capitale e lavoro, ma ogni ambito della vita umana e no, dal crescente squilibrio ecologico all’alimentazione con allevamenti intensivi che assorbono il 60 % delle coltivazioni dedicate a un malsano consumo di carne dei Paesi più ricchi, in primo luogo dell’Occidente. È provato che in “un intestino lungo, da erbivori”, come il nostro, “la carne fermenta e provoca il cancro al colon” (p.179), ciò nonostante, mentre mancano alimenti vegetali per miliardi di persone, “Le cifre dell’eccidio” di “animali sono spaventose… vengono uccisi”, tra “animali terrestri e pesci… 3 miliardi al giorno” (p118).

 

Bertrand Russell

Questo libro di Odifreddi è anche il racconto del percorso autopoietico della propria identità culturale nello spazio e nel tempo del Paese-Mondo, attraverso i crinali storici e intellettuali, emersi e condivisi o meno, e fatti oggetto di critica impietosa e serrata. Il suo è stato un percorso consolidato in viaggi, non da turista, ma di lunghe soste di lavoro in Paesi decisivi del mondo contemporaneo, a cominciare dagli USA alla Russia, e non solo. Ma ogni esplorazione, quanto più se inesausta come la sua, definisce il proprio punto di partenza, una Itaca reale e mentale, che diventerà il paradigma di giudizio, la pietra miliare cui rapportare gli altri ceppi significativi – positivi o negativi – incontrati e trasmutati in materia di sé. Ci racconta così, tra gli anni ’60 e ’70, da ragazzo sollecitato anche dalla musica di George Harrison dei Beatles, del suo iniziale “interesse per la musica, la letteratura, la filosofia, la matematica e la scienza indiane, che contribuì ad allentare le pesanti catene dell’occidentalismo che allora mi imprigionavano”. Precisa che le sue “ispirazioni non si fermavano alle canzonette, per quanto socialmente e politicamente impegnate”, infatti: “Nel 1969 mi apprestavo arditamente a iscrivermi a ingegneria”, quando “trovai per caso su una bancarella di libri usati l’Introduzione alla filosofia matematica (1919) di Bertrand Russell”, che lo spinse non solo a iscriversi a matematica, con laurea in logica, ma “divenne il mio maestro intellettuale”, a partire da quel libro scritto “in carcere nel 1918, durante la Prima Guerra mondiale per propaganda antibellica”.
Al maestro Russell unì poi Einstein, in particolare col Manifesto Russell-Einstein contro la proliferazione atomica e del movimento Pugwash degli scienziati contro la guerra, insegnamenti capaci di “introdurmi all’utopia matura di un mondo senza chiese, senza stati, senza possessi e senza armi” (pp.249-251).
 


Oggi gli occidentali infantili o adolescenziali credono che un mondo senza dèi, senza frontiere, senza multinazionali e senza atomiche sia solo una pia illusione. Forse un giorno gli occidentali maturi si accorgeranno che altrettanto illusorie apparivano le nazioni ai tempi delle città-stato, le confederazioni e gli imperi ai tempi degli stati nazionali e le superpotenze prima della guerra fredda. Purtroppo, come le nazioni si sono costituite con guerriglie tra le città, le confederazioni e gli imperi con guerre tra le nazioni, e le superpotenze con la Prima e la Seconda Guerra mondiale, anche il nuovo ordine mondiale si costituirà con la Terza Guerra Mondiale, combattuta tra l’Occidente e il resto del pianeta. La Quarta, come disse Einstein, si combatterà poi tra bande armate di pietre e bastoni. Osservandolo dal di fuori, sembra che l’Occidente stia effettivamente preparando e fomentando la guerra atomica… Ma sa, o dovrebbe sapere dalla sua Bibbia che ci sono due possibili esiti: la fine di Sansone (insieme a tutta l’umanità), e la fine di Golia (per mano del mondo sottomesso)”. Una soluzione alternativa sarebbe ammettere “le proprie secolari malefatte”, rami della radice e del tronco, connessi al Principio, di un dio unico che ha creato il Tutto col solo fiat verbale, e che indicava, “crescete e moltiplicatevi” senza limiti, dominate Natura e ogni altro essere vivente, quale popolo eletto tra tutte le altre razze, create al solo scopo di essere asservite.
Odifreddi, nell’immenso bosco di forme viventi, e lungo le teorie di ere e tempi che alternano favole, follie, deliri di onnipotenza e vertici di sapienza umana, raggiunge la sua baia “razionalista”, paradossalmente ricongiunta al “monaco medievale Ugo di San Vittore, che additava l’ecumenica via di un superamento di tutte le divisioni”: “capisco per credere”, in luogo del fideistico “credo per capire”, dettato da Anselmo e ogni adepto al dettato fondamentalista di una delle religioni monoteiste, giudaica, cristiana o musulmana.
La visione aperta di Odifreddi non è dunque di razionalismo contrapposto al fideismo, con affermazioni altrettanto apodittiche e dogmatiche che squalificano a priori la sensitività diversa altrui. Per cui, nei due capitoli che chiudono il libro, Coro finale e Accordo conclusivo (pp.215-253), raccoglie per così dire nella rete riassuntiva, voci disparate che vanno da José Saramago a papa Bergoglio – passando per il palestinese Edward Said, l’americano Al Gore, l’australiano Julian Assange, l’uruguaiano Pepe Mujica, il nigeriano Wole Soyinca, l’indiano Subrahmanyam Jaishankar, ma includendo dichiarazioni di Osama bin Laden e dei leader russo e cinese, Vladimir Putin e Xi Jinping. È dunque un magistero antifondamentalista, che rigetta la logica del pensiero unico, di verità indiscutibile, benedetta dal Dio, Gott mit uns, padre e radice di razzismo, legittimazione di infiniti genocidi, di centinaia di milioni di esseri umani, numeri che rendono piccoli gli orrori nazisti contro ebrei, zingari e omosessuali. Un tragitto infinito di sangue, guerre, schiavismi e massacri, che gli Occidentali hanno perpetrato contro i nativi americani, gli africani, gli australiani e non solo, con cancellazioni di etnie e civiltà, definite subumane, quindi da eliminare o asservire con pieno diritto. Croci e Crociate di una catena di violenze disumane, benedette da predicazione civilizzatrice di popoli inferiori.
Ciò considerando, “Quanto a male, L’Occidente non ha infatti niente da invidiare al nazismo”, anche se “oggi in Occidente il nazismo ha un volto umano, o almeno una maschera umana. Ma chi pensasse che certi eccessi non torneranno”, dovrebbe ricordare “Robert Musil, che alla fine degli anni Trenta meditava: Molto tempo prima dei dittatori, la nostra epoca ha prodotto la venerazione spirituale dei dittatori” (pp.66-67).


 
Permane il fulgore dell’alba di questo millennio, del capitalismo ipertecnologico, finanziario e globalizzato, che non ha più bisogno della benedizione di Dio, per proseguire nella nobile e santa missione di salvare gli esseri inferiori. La salvezza sono io, qui e ora, e non nella promessa di una paradiso ultraterreno. Sono io il Dio atteso, con in mano il decalogo della libertà e della democrazia, illusionista che maschera ogni verità, compresa quella della propria identità patriarcale. È mia la Democrazia declinata in forma di religione assoluta, di cui vendo la Bibbia. E chi non è d’accordo è un eretico, voce del demonio, da ricacciare nell’inferno del Nulla. Per cui, persino una canzone di “utopia ingenua… antireligiosa, antinazionalista, anticonvenzionale e anticapitalista” come Imagine di John Lennon, finì “nella lista di titoli ‘antiamericani’, da non trasmettere dopo gli attentati alle Torri Gemelle”. Le due rive del paradiso promesso e trionfalmente realizzato dal-nel capitalismo sono: il regno reificato nel diluvio di cose, e quello della surreale infinita e immanente fantayland, su cui dondola un gonfiabile Gott Mit, solo per noi – e che gli altri siano dannati! Che, beninteso, non sono i brulicanti sottofondi costitutivi di droghe, mafie e corollari. I dannati da combattere fino alla loro radicale eliminazione, sono le presenze di chi non si sottomette al dominio schizofrenico: idolatrare la sua essenza e reificare ogni essenza umana. Quanto alla deificazione, è in linea anche con quanto promesso dalla “la religione dell’amore” di Cristo, “versione non violenta del giudaismo… se il Gesù predicatore non fosse incorso in un grave errore: incitare gli apostoli ad ‘andare e predicare a tutte le creature’, e minacciare che ‘chi non crederà sarà dannato’ (pp.76-77). Ma per il processo di deificazione e glorificazione del paradiso in terra non contano più le predicazioni apostoliche. Il suo universo va ben oltre la magia di rendere consustanziale nell’ostia il corpo del Cristo, rendendo in ogni istante consustanziale la sua anima nel corpo dei viventi a lui asserviti. Per cui non è facile vederne i sottofondi, i sortilegi e prodigi de “La rimozione della realtà”, di un multiverso, nel quale paradossi e ossimori sono rozze figure retoriche per una realtà iperreale e imprendibile come il Vero Dio – capace di convincere i poveri di spirito, raffinati sapienti di idiozia di un politicamente corretto, per i quali “non esistono i fatti”, ma “solo le interpretazioni” (pp.163-164). E si può chiosare che è una interpretazione che viene applicata anche a livello sessuale dai furori del fondamentalismo neoliberista, per cui il dato bio-fisiologico è azzerato, rispetto al volatile momentaneo moto percettivo (Postmoderno degenere, pp. 158-163). Pochi gli interrogativi e i dubbi su questo splendido servizio offerto al sogno di eternizzazione dello stato di fatto e del relativo potere, che così chiude il cerchio tra immanenza e inesistenza, per cui non è possibile combattere ed eliminare ciò che non appare e, pare, non esista!
Ciò nonostante, il libro non trasmette disperazione perché è su un crinale ossimorico di tragicità serena, eticamente pacificato dalla coscienza e canoscenza di continuare a dare tutto sé stesso. Il che gli fa lucidamente concludere: “Chi vivrà vedrà. Ma scommetto che non sarà una bella visione, comunque andrà”. Che non gli cancella il lampo irridente di Spengler (“Il tramonto dell’Occidente”) e di Eliot, di un mondo che finisce “Non con il botto ma in una lagna” (p.214). E questo, da parte mia e per tutti noi, lo prendo come augurio.
 

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