FINISCE L’ERA DI BASHAR AL-ASSAD
di Maurizio Vezzosi
Prosegue la
grande guerra del Vicino Oriente.
Con la
fuga di Bashar al Assad a Mosca finisce la storia della Repubblica araba di
Siria nata con il tramonto del mandato coloniale francese. L'offensiva delle
milizie sostenute dalla Turchia è riuscita ad arrivare a Damasco nel giro di
pochi giorni, forte della copertura aerea israeliana che per mesi, ed anzi per
anni, ha bombardato la Siria e della debolezza ormai terminale di Assad. Quello
che le milizie antigovernative non sono riuscite a fare in oltre dieci anni di
guerra civile si è compiuto in una settimana. Le forze israeliane stanno
continuando ad attaccare le infrastrutture dell'ormai ex esercito siriano
avanzando nell'area del Golan - denominando la nuova area d'occupazione “zona
cuscinetto” - e distruggendo con i bombardamenti aerei infrastrutture - come il
porto di Latakia - centri di ricerca ed industriali. Contemporaneamente gli
attacchi delle milizie sostenute dalla Turchia si stanno concentrando sulle
aree controllate dalle forze curde. Il quadro, ancora opaco, fa intravedere
almeno per il momento il maggiore successo israeliano, turco, britannico e
statunitense raggiunto nell'area negli ultimi anni. Oltre a Damasco, le forze
sostenute dalla Turchia avrebbero già anche il controllo di Tartus, città
costiera dove si trova la base navale russa. Il nesso degli eventi siriani con
tutte le altre crisi del Vicino Oriente – su tutte, quella palestinese - è
evidente: non meno evidente è il nesso di questi con la transizione transizione
Biden - Trump. Se si tratti dell'ennesima mossa dell'amministrazione Biden
pensata per mettere condizionare il successore, di una mossa volta ad
anticipare la politica della nuova amministrazione o di un “do ut des” tra
Mosca e Washington legato all'Ucraina diventerà chiaro nel 2025. Quello che è
certo è che quanto è avvenuto in Siria nelle ultime ore non sarebbe potuto
accadere senza l'avallo statunitense, visto anche il presidio delle truppe di
Washington presso i pozzi petroliferi della parte nord-orientale dell'ormai
ex-Siria ed i legami tra gli attori coinvolti con gli Stati Uniti. Mentre l'ex
membro dell'ISIS e di al-Qaeda Abu Mohammed al-Jawlani - Ahmed al-Shara - viene
presentato come l'uomo forte sulla scena, Mohammed
al-Bashir è stato incaricato capo del
gabinetto di transizione dopo un incontro con l'ex primo ministro siriano
Mohammed al-Jalali: quest'ultimo era apparso poche ore prima scortato da uomini
dell'HTS (acronimo di Hayat al Tahrir al Sham, “Organizzazione per la liberazione
del Levante”) che hanno ormai il controllo della capitale Damasco. Questi
elementi potrebbero spiegare le diserzioni di massa tra le forze armate siriane
e come queste ultime abbiano rinunciato ad opporre una resistenza significativa
all'avanzata delle milizie sostenute da Ankara. La debolezza di Assad sul piano
interno era nota da tempo anche a Mosca: una conferma di ciò si può trovare
ricordando i colloqui promossi dal Cremlino tra il governo di Damasco e le
opposizioni nell'ormai lontano 2018: sullo sfondo di questi colloqui era
trapelata persino la bozza di nuova costituzione che avrebbe dato alla Siria un
assetto più decentrato e maggiormente federale. Un progetto riformatore teso a
dare maggiore rappresentatività e potere soprattutto alle grandi comunità
sunnita e curda: un progetto mai attuato anche per l'oltranzismo di Assad con
cui forse, almeno in alcune aree della Siria, sarebbe stato possibile salvare
l'eredità di quel laicismo che appare destinato a scomparire. Considerando il
proprio impegno in Ucraina ed il quadro siriano Mosca ha attuato la scelta
probabilmente più logica in difesa dei propri interessi: del resto con una
forza terrestre estremamente ridotta - impiegata ad oggi principalmente come
polizia militare - e con le forze governative scioltesi - sul piano politico e
militare - come neve al sole qualunque altra scelta sarebbe risultata
velleitaria. Per Mosca ma soprattutto per Teheran il nuovo scenario siriano
apre una nuova fase di rischi ed incognite. Oltre alle basi presenti nell'area
un problema significativo per Mosca riguarda i combattenti jihadisti
provenienti da tutto lo spazio post-sovietico inquadrati tra le fila dell'HTS:
un problema che rimarrà sicuramente al centro dell'interlocuzione tra il
Cremlino e la nuova dirigenza siriana. L'Iran rischia di perdere il corridoio
terrestre con cui attraverso l'Iraq ha avuto fino ad oggi un accesso diretto al
Mediterraneo, oltre a subire una maggiore pressione militare a ridosso delle
proprie frontiere: nonostante questo rischio e la forte contrapposizione degli
anni scorsi tra HTS ed Hezbollah le prime dichiarazioni del partito-milizia
libanese sugli eventi siriani hanno evitato ogni presa di posizione marcata.
L'era di Bashar al Assad è terminata, a differenza della grande guerra che si
sta combattendo in tutto il Vicino Oriente.