BAJ A PALAZZO REALE
di
Alberto Figliolia
Quand’ero
piccolo vedevo le sfilate, le parate militari, la fanfara, le piume dei
bersaglieri, le bandiere al vento ed ero felice. La guerra manco sapevo cos’era.
Ora so che ci sono i generali a Mosca come a Washington, Parigi, Saigon, Roma e
Pechino.
(Enrico Baj)
Il
paradosso, l’assurdo, l’ironia sono le uniche difese rimaste all’umanità. (Enrico Baj)
E
sfilano i ritratti dei Generali - quei Generali distruttori (che
non stanno mai però in prima linea con i fanti: sono sufficienti i cannocchiali
per osservare fuoco e combattimenti): basti pensare ai massacri del conflitto
1915-18, ma è una triste condizione e situazione universale, senza tempo, e
sarebbe più consono scriverli con la g - con il loro bagaglio di tintinnanti
medaglie-patacca e nastrini assortiti in primi piani di crudezza tragicomica o
in parate di vacuità e vanagloria. L’antimilitarismo di Enrico Baj era radicale,
drastico - e come dargli torto pensando all’intrico siriano, alla catastrofe
Palestina-Israele-Libano, al disastro Russia-Ucraina, alla dispersione di vite,
energie, beni che la maledetta guerra è? Il suo antibellicismo/pacifismo
trovava espressione e ragione nelle fantasiosissime figurazioni di cui era
straordinario e splendido artefice, nei geniali assemblaggi di un’azione
artistica fantasmagorica, poetica e civile, in continuo fermento intellettuale
e antiretorica per eccellenza. E in questi tempi di guerra permanente, dove
bombe e armi tecnologicamente sofisticate continuano a versare sangue innocente
- una ecatombe infinita - acquista ancora più spessore l’impegno estetico ed
etico di Baj.
Baj
chez Baj
è la mostra allestita nella rovinosa magnificenza della Sala delle Cariatidi di
Palazzo Reale, là dove venne già esposta nel 1953 Guernica di Picasso.
Una scelta indovinatissima, vieppiù confermata dalla posizione dominante,
centrale, che hanno I funerali dell’anarchico Pinelli, “(...) un
capolavoro dove forma e contenuto vanno di pari passo, dove l’evento storico è
sublimato in una dimensione assoluta”. Un’opera “controversa”, monumentale, in
cui si rivive un dramma epocale e una tragedia individuale, quella di un
innocente precipitato - un libertario pacifista amante di Spoon River,
uno che era stato partigiano - dalle finestre di un luogo dello Stato dov’era
trattenuto senza i crismi della Legge. Ci si siede innanzi alla scena
apocalittica che penetra occhi e anima e coscienza. Una congerie di sagome e
volti con le più diversificate espressioni: indifferenza, rabbia, sgomento,
terribile meraviglia, apatia, impotenza, raccapriccio, dolore… Aguzzini e
vittime sotto un cielo di pietra, segmentato; sopra un tappeto di scarti e
rifiuti.
Imponente. Potrebbe dirsi anche “incantevole” se la tragedia non fosse
lì, sospesa - sospesa e pur definitiva,
ineluttabile - in quell’ultimo interminabile volo prima del crudo e crudele asfalto,
in quel grido rotto che spacca lo spirito di chi, indifeso, inerme o inetto, osserva,
nei nudi seni di dolore della donna piegata, piagata, che guarda e veramente nulla
può. Un manifesto.
Peraltro
l’Apocalisse che accoglie il visitatore all’ingresso, un potente work
in progress durato anni di fatica e creatività, introduce al capolavoro
dei Funerali. Linguadicazzo, il Patacanguro, la Sirena
dell’isola di Patmos, lo Squonk - “tratte dalle acqueforti con cui
aveva illustrato nel 1973 il Manuale di Zoologia fantastica di Jorge
Luis Borges, raro esempio di derivazione di opere uniche da opere grafiche
(mentre più consueto è il contrario)” - insieme con la moltitudine di figure
compongono un mosaico che sta fra il comico e l’agghiacciante nel miglior stile
e ispirazione di Baj.
Il
tema dell’Apocalisse fu scoperto da parte di Baj grazie agli Otto peccati
capitali della nostra civiltà di Konrad Lorenz (fra cui “sovrappopolazione,
indottrinamento e pericolo atomico”). Dall’Apocalisse di Giovanni ai
Trionfi della morte medioevali, dall’Inferno dantesco alle allucinate
visioni boschiane. Oltre 200 sono le sagome della gigantesca costruzione. “In
tale delirio tragicomico, affronta infatti le nostre paure esorcizzandole con
una sana risata. Nell’allegria del suo folle naufragio si condensa l’idea di un
inferno sociale dal retrogusto grottesco e si percepisce l’atmosfera surreale
di un luogo sinistro, come un ballo in maschera”.
Proseguendo in questo zigzag
di visita patafisico - La Patafisica è la scienza delle soluzioni
immaginarie. La materia ha più immaginazione di noi (Giorgio Kaisserlian) -
si succedono:
-
Gli ultracorpi. “Da una materia argillosa, viscida e attaccaticcia,
germinano piccoli golem orfani, creature invertebrate con grandi teste issate
su corpi barcollanti, che muovono passi incerti nella notte della ragione”.
Dischi volanti su paesaggi lacustri… “Gli ultracorpi mutanti di Baj sono l’allegoria
di qualsiasi potere esercitato dall'alto, ma che, silenziosamente, penetra
nella nostra quotidianità”;
-
i Meccano dai montaggi farseschi nonostante l’apparente anonimità
metallica. Lo spaesamento indotto dall’algido esercizio del potere.
-
i Mobili e gli Specchi. Collage di specchi, rotti o tagliati,
che divengono nell'assemblaggio autentici personaggi: “in un gioco ambiguo fra
realtà e percezione, gli Specchi (entri e non sai se ne uscirai, N.d.A.) mettono
lo spettatore di fronte al proprio doppio, che si frantuma e si moltiplica”, un
antropomorfismo caricaturale, ma inquietante, realizzato con impiallacciature,
intarsi, interruttori. Un domestico che non rassicura affatto, sebbene paia
muovere al sorriso (o a una smorfia?), come una minaccia in agguato nell’ombra;
- le Dame. Compagne
dei Generali nella primitività psichica prima, poi indipendenti, ma
segnate da connotati ambigui, di negatività sociale ed esistenziale;
-
le Dame idrauliche, le Donne-fiume, create con l’utilizzo di
passamanerie, sifoni, tubi, valvole, guarnizioni. La donna è un fiume. Se si
innamora è un fiume in piena. Se straripa fa danni ingenti. L’impeto della
donna è pari a quello dei grandi fiumi. […] La donna partorisce acqua
viva, ipse dixit;
-
il Kitsch, ovvero della “bulimia della cultura di massa” in “un sistema
che tutto osserva, controlla e manipola”.
Niente
male per un laureato in Legge, capace di deviare da percorsi precostituiti
tracciandosi fra influenze picassiane e del Surrealismo nuovi itinerari,
tessendo inedite trame. Baj collaborò con
Lucio Fontana, Piero Manzoni, Yves Klein; fondò
l'Istituto Patafisico milanese con Arturo Schwarz, Paride Accetti, Roberto
Crippa, Alik Cavaliere e con l’intervento di Raymond Queneau; ebbe rapporti con
Umberto Eco, Italo Calvino, Edoardo Sanguineti; scrisse per giornali e riviste
e compilò libri. Superfluo aggiungere
di quante mostre fu protagonista e a quante partecipò in Italia e altrove, nel vasto mondo.
E,
ancora, lo Spazialismo, la Pittura nucleare, con la sua
speculazione sull’universo e sul microcosmo, la “galassia subatomica”, con gli
elementi della fisica quantistica, per inesplorati orizzonti. Associazioni e ricomposizioni
nella logica del libero pensiero. Demiurgico e liberatorio.
Le
forme si disintegrano: le nuove forme dell’uomo sono quelle dell’universo
atomico, le forze sono cariche elettriche… La verità non vi appartiene: essa è
nell’atomo. La pittura nucleare documenta la ricerca di questa verità (Manifesto della pittura
nucleare). La pittura nucleare vuol esser la visione intuitiva di un mondo
in cui la materia diventa energia che si riproduce indefinitamente. L’artista
propone di farci partecipare a questo slancio cosmico di liberazione
(Giorgio Kaisserlian).
I
pittori che vogliono rinnovare l’arte cominciano ad abbandonare gli ormai
stanchi soggetti aulici, retorici e celebrativi. In loro vece propongono come
fa Courbet, soggetti veri, popolari e borghesi, che rappresentano una nuova
realtà sociale, quella della gente comune, senza tanti re e imperatori. L’arte
tende alla libertà, a una grande emancipazione e indipendenza. (Enrico Baj)
L’allegria
può distruggere il sistema perché al contrario delle nuove venerate divinità
rispondenti ai nomi di Produzione e Consumo, essa è limite, è regola interiore,
è contentezza di sé e di cose semplici: non per miseria mentale, ma per
saggezza. (Enrico
Baj)
Lasciamo
la chiusa a dei versi (nella forma di un tautogramma “imperfetto”) di
Edoardo Sanguineti che perfettamente si attagliano alla materia: rugge
rachitico/ il rospo ruspante/ rovescia il rodomonte rampicante:/ ruscella raffi
a raffiche il rétro, / ruderi di rubini rococò:/ rinasceranno, rinculando, i
re, / rispolverando, rigidi, il rapé:/ ruvida roccia di ricci rossicci/ rompe
rogne di ragni in raccapricci.
E
a un’ultima considerazione critica di Alain Jouffroy: Baj ha disegnato, nel
corso di mezzo secolo, una circonferenza in cui ogni sorta di stupidità, ogni
sorta di vanità, ogni sorta di aggressività e violenza sono combattute con lo
stesso umorismo destabilizzante, la stessa risata liberatoria, la stessa
rigoroso volontà.
Una
mostra felicemente spiazzante nonché ottimamente allestita. Per divertirsi; per
ribellarsi all’ideologia piatta, stantia, disumana, che vorrebbero imporci; per
pensare.
Baj chez Baj, mostra a cura di Chiara Gatti e Roberta Cerini Baj
Palazzo
Reale, Piazza Duomo, Milano, fino al 9 febbraio 2025.
Orario:
da martedì a domenica dalle 10 alle 19,30
giovedì
dalle 10 alle 22,30