DEMOCRATURE E SEPARAZIONE DEI POTERI
di Franco Astengo
La concentrazione dello sviluppo tecnologico in funzione quasi
esclusiva della comunicazione mediatica, collettiva e individuale, ha portato a
uno spostamento nella percezione di quello che può essere definito “immaginario
del pubblico” incidendo fortemente sui meccanismi di accumulazione del consenso
e di conseguenza di espressione del potere che si realizza così - appunto -
attraverso l’immagine, al di là del campo di riferimento sia questo la politica,
l’economia, lo spettacolo. Su queste basi prendeva corpo
l’idea della Centralità del Parlamento, che sovraintende - tra l’altro -
all’intero impianto istituzionale previsto dalla Costituzione Italiana del
1948. Oggi, non soltanto in Italia, questo
schema si sta rapidamente modificando. Lo
Stato legislativo ha ormai lasciato il posto allo Stato governativo che produce
una sorta di “inflazione normativa” nella forma di decreti e decisioni particolaristiche
(è sufficiente esaminare il lavoro del Parlamento Italiano nel corso degli
ultimi trent’anni). Nello stesso tempo la
Magistratura ha svolto sempre di più funzioni di supplenza al riguardo della
determinazione degli equilibri politici e degli stessi orientamenti
legislativi, intervenendo addirittura su temi di diretta pertinenza al
riguardo delle fonti stesse di legittimazione delle sedi legislative: si pensi
al tema della legge elettorale.
Inoltre i confini del potere politico appaiono confusi rispetto a
quelli del potere economico: su questo punto è avvenuto, sempre per restare
nell’ambito dell’Occidente e ancor più in specifico del “caso italiano”, una
surrettizia (e non completata) “cessione di sovranità” verso le
istituzioni monetarie e finanziarie dell’Unione Europea (queste, tra l’altro,
prive di una legittimazione politica complessiva che è proprietà soltanto del
Parlamento Europeo, provvisto però di una capacità d’incidenza concreta molto
limitata).
Uno spunto di riflessione ulteriore può essere suggerito, a questo
punto, da un aggiornamento d’analisi al riguardo della teoria della
“microfisica del potere” elaborata a suo tempo da Michel Foucault per
rispondere proprio all’evidenziarsi di quella “confusione tra i poteri” cui si
è appena accennato.
La teoria del filosofo francese considera il potere come una
risorsa che circola attraverso un’organizzazione reticolare.
Il potere non si concentra più al vertice ma si disperde nella
società attraverso gli individui: è la tesi della “inflazione del potere” cui
Luhmann risponde considerandola come fonte dell’ingovernabilità con la teoria
della riduzione del rapporto tra politica e società, e di conseguenza con
una sorta di ritorno a forme “decisionistiche” di tipo quasi assolutiste.
La presa d’atto, in sostanza, della necessità di un potere
sovraordinato rispetto al venir meno di confini netti tra potere economico,
politico, ideologico, tra poteri costituenti e poteri costituiti oppure ancora
tra esecutivo, legislativo, giudiziario. Sorge però a questo
proposito una domanda cruciale: come potrà costituirsi, nel concreto, questo
potere sovraordinato?

Locke
Una possibile risposta può venire proprio dall’analisi
dell’attualità del caso italiano. La risposta può venire dalla finzione, dalla messa in scena di un
potere esclusivamente immaginario esercitato in via personale da un attore
capace di interpretare il flusso degli strumenti mediatici (orientati, tra
l’altro, sempre più verso il consumo individuale di notizie e di fittizi
rapporti sociali e di trasmissione di idee). Una finzione, quella attuata prima da Berlusconi e adesso da
Renzi, sulla quale l’opinione pubblica si adagia avendo introiettato sul piano
culturale l’idea della governabilità quale sola sponda possibile per
l’esercizio della funzione politica e ricevendo in cambio il “via libera” a una
sorta di “anarchismo diffuso” sul piano sociale esplicitato nell’assenza di
regole e nel ritorno alla possibilità di esercitare una sorta di “potere
privato” su chi si incontra sulla nostra strada in posizione subalterna. Una
nuova concezione del potere: “di finzione” sul piano del pubblico e “privato”
nella concezione, ormai apparentemente egemone, dell’individualismo quale sola
fonte di rapporto verso gli altri.


Montesquieu
Sono nati così fenomeni molto significativi che hanno dimostrato
una crescita esponenziale del concetto di “personalizzazione” spinto quasi al
limite del “divismo”, nel trionfo dell’apparire in luogo dell’essere e di una
nuova forza dell’effimero nel nascondere la realtà complessa del potere reale.
Forse vale la pena riflettere al meglio su questi elementi di
novità al fine di comprendere davvero ciò che sta accadendo attorno a noi.
L’obiettivo dovrebbe essere quello di attrezzarci al meglio sul
piano teorico: sicuramente, sotto quest’aspetto il concetto e la conseguente
percezione esterna del potere sono mutati nella valutazione di larga parte
dell’opinione pubblica, almeno in Occidente.
Un elemento sul quale, con ogni probabilità, il fattore
globalizzazione ha inciso in maniera inferiore rispetto ad altre tematiche
come, invece, quelle riguardanti la finanziarizzazione dell’economia, la
standardizzazione dei meccanismi comunicativi, l’apertura ai flussi di
migrazione: tutti fenomeni che nell’ultimo ventennio hanno registrato un forte
incremento nel loro peso specifico sulla realtà politica, economica, sociale. Nello
sviluppo del pensiero umano il concetto di potere è sempre stato suddiviso in
“comparti” (per così dire). Aristotele
distingueva nella Politica tre tipi di potere in base all’ambito nel
quale esso era esercitato: il potere dei padri sui figli, il potere dei padroni
sugli schiavi, il potere dei governanti sui governati (vale a dire il potere
politico in senso stretto). In età moderna
Locke riprese la classificazione aristotelica allorquando, aprendo il secondo
dei suoi Trattati sul governo, ribadisce la distinzione tra il potere
del padre sui figli, del capitano di una galera sui galeotti e del governante
sui sudditi.


Weber
